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Rotta bulgara per i rifiuti illegali

Negli ultimi anni si sono intensificati i flussi di rifiuti italiani verso l’Est Europa, in particolare la Bulgaria. Spesso nascondono una gestione illecita, favorita da faccendieri che sfruttano debolezze italiane e controlli transfrontalieri blandi.

Perché i rifiuti vanno a Est

Una perversa osmosi industriale di tipo criminale si è cementata tra l’Italia e alcuni paesi dell’area balcanica, Bulgaria su tutti. Una osmosi fatta da inefficienze complementari nella gestione dei rifiuti e mercati poco competitivi, centrali elettriche da mandare a regime e un brulicare di faccendieri e trafficanti.

Sono almeno quattro le “affinità elettive” che portano i rifiuti sulla strada sbagliata, alla volta dell’Est Europa e in particolare della Bulgaria. Dal lato italiano, l’accoppiata tra cronico deficit impiantistico e una legislazione ambientale e penale sempre più stringente, accompagnata da una capacità investigativa davvero all’avanguardia, che sempre più spinge verso lidi meno pericolosi i trafficanti di rifiuti. Dal lato bulgaro, c’è la domanda di rifiuti da importare (compresa quella criminale), legata ai minori costi di gestione dei rifiuti (rispetto all’Italia) e alla contestuale presenza massiccia di impianti rivolti prevalentemente al mero smaltimento e al recupero energetico (non al riciclo), a cui va aggiunta la minore esperienza e in genere la ridotta capacità da parte delle forze di polizia bulgare nel contrasto ai trafficanti di rifiuti. Infine, abbiamo un quadro regolatorio sui movimenti transfrontalieri – che accumuna tutti i paesi, questa volta – fumoso e puramente formale, quindi privo di controlli e sanzioni efficaci: una montagna di carte che non spaventa nessun malintenzionato. Andiamo con ordine.

Il deficit impiantistico

Se in Italia aumentano le raccolte differenziate, sia degli urbani che degli speciali, gli impianti rimangono al palo, pochi e maldistribuiti, soprattutto al Centro-Sud. La continua peregrinazione di camion gonfi di immondizia alla ricerca del loro ineluttabile destino è una delle piaghe dell’intero ciclo. Soprattutto per gli scarti degli scarti, ossia i sovvalli delle operazioni di trattamento dei rifiuti e quelli non riciclabili tout-court. Quando non riescono a diventare Css (ovvero combustibile solido secondario che, ai sensi del Dm n. 22 del 14 febbraio 2013, se rispetta determinati e rigidi criteri è considerato end of waste – non rifiuto – quindi combustibile green, destinato a sostituire fonti fossili in centrali e cementifici) rischiano di essere attratti, fatalmente, dai circuiti informali.

L’enorme buco impiantistico è il principale combustibile dell’emorragia criminale dei rifiuti. Spesso la valvola di sfogo ideale per rifiuti più problematici diventano i forni di inceneritori o centrali termoelettriche dove trasformare i costi (di smaltimento dei rifiuti) in immediato valore (energia prodotta), che hanno pure il pregio di far sparire ogni eventuale traccia ambigua con una bella fiammata.

Intendiamoci: recuperare energia dai rifiuti non è certo un reato, anzi, se fatto seguendo i principi della gerarchia dei rifiuti (ai sensi dell’art. 179 del Testo unico ambientale) è una opzione pienamente circolare. Però è reato falsificare i documenti e fare diversamente da quanto giustificato. Ed è quanto scoprono gli inquirenti appena mettono il naso in flussi di rifiuti che si muovono su rotte troppo lunghe. Non a caso finiscono nei circuiti criminali solo determinate tipologie di scarti provenienti prevalentemente dagli impianti di trattamento meccanico-biologico (Tmb), che a valle non trovano mercati di valorizzazione, gravitando pericolosamente, quindi, solo in una logica di mero smaltimento.

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A fare esplodere la situazione ha sicuramente contribuito la recente chiusura delle frontiere della Cina, da sempre il principale importatore di rifiuti e in particolare di plastiche del mondo. La necessità spinge verso soluzioni immediate, facili ed economiche. E spesso dritti tra le braccia dei trafficanti. Come mostrano le tante indagini dei carabinieri.

La differenza dei costi

L’altro fattore che spinge i rifiuti a varcare le frontiere è la differenza dei costi di smaltimento, che risultano molto inferiori al di là dell’Adriatico, sia in termini di mano d’opera che di esercizio degli impianti. Costi differenti che naturalmente risentono della diversa legislazione. Benché la cornice penale in materia ambientale sia simile (la direttiva europea 99/2008), diverse sono le declinazioni penali, peraltro gelosamente custodite da ciascun paese. Basti dire che, rispetto al nostro paese, in Bulgaria, per esempio, non esiste l’equivalente del “traffico organizzato di rifiuti” previsto dal nostro codice penale (art. 452 quaterdecies), né esistono i delitti di inquinamento e disastro ambientale (art. 452 bis e quater cp), che spesso sono contestati proprio insieme al traffico organizzato, per rafforzarne la forza repressiva.

Le regole europee e internazionali

A tutto ciò si aggiunge il fatto che i flussi verso l’export sono, per paradosso, meno soggetti ai controlli: rientrano infatti all’interno dei meccanismi puramente teorici e privi di sanzioni effettive della Convenzione di Basilea e del relativo regolamento 1013 dell’Ue. E, soprattutto per le categorie di rifiuti elencati nella Lista verde, sono soggetti solo alla mera comunicazione nel paese di destinazione (evitando il più laborioso meccanismo delle notifiche).

Sta di fatto che quando destinati all’estero, i rifiuti finiscono per rientrare nel perimetro di una cornice legislativa e penale molto meno stringente rispetto a quando girano all’interno del nostro paese. Quando, in Italia, si apre una notizia di reato, il delitto di traffico organizzato di rifiuti consente indagini molto penetranti, supportate da intercettazioni telefoniche e ambientali, rogatorie internazionali e anche con l’uso di agenti sotto copertura. Diversamente, per i flussi diretti all’estero, in mancanza di notizie di reato, i controlli si fermano solo al livello cartolare, quindi meramente burocratico, facendo a meno di ispezioni e verifiche analitiche. Al massimo, i pochi controlli ispettivi si fanno a campione, senza nessuna analisi di rischio o attività di intelligence. Il libero commercio soffre sempre di controlli asfissianti alle frontiere. Quando, in passato, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli con una mirata attività di intelligence ha iniziato a innalzare la qualità dei controlli, portando a una crescita esponenziale di sequestri di carichi di rifiuti destinati illegalmente all’estero, sia da parte di segmenti del mondo politico sia, soprattutto, del mondo economico italiano si sono levate vibranti proteste, sfociate persino in Parlamento con interrogazioni e richieste di risarcimento dei danni a carico dei doganieri troppo solerti.

L’attività investigativa

Sotto questo aspetto, l’Italia per mille motivi (che qui non si ha il tempo di descrivere) ha sviluppato buone capacità investigative, che la rendono una eccellenza nel mondo, come raccontato anche nell’ultimo Rapporto Ecomafia di Legambiente. Basti pensare alla impressionante sequela di inchieste chiuse nell’ultimo anno, mandando alla sbarra pericolose reti criminali, con propaggini mafiose, attive anche sul fronte degli incendi agli impianti di gestione dei rifiuti (operative persino su scala internazionale) grazie al lavoro della Direzione distrettuale antimafia di Milano insieme al gruppo di carabinieri per la Tutela ambientale coordinato dal comandante Massimiliano Corsano. Non a caso nessuna criminalità straniera ha mai messo piede nel nostro paese per questo genere di crimine. È una capacità che le nostre forze di polizia stanno condividendo con i colleghi bulgari in percorsi di training iniziati da tempo. E i risultati si dovrebbe vedere a breve.

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Sta di fatto, però, che negli ultimi anni i flussi di rifiuti verso l’Est Europa si sono intensificati, soprattutto in uscita, prevalentemente verso la Bulgaria, principale meta del Css prodotto in Italia, ancora un tabù per il nostro paese, una manna dal cielo per le centrali bulgare. Insieme ai carichi legali si sono inseriti quelli illegali, come da copione. Dal lavoro inquirente emerge il ruolo fondamentale, strategico, dei broker (iscritti in Italia alla categoria 8 dell’Albo gestori ambientali), lesti nel mettere insieme domanda e offerta, e di “società trecartiere”, quelle che servono a fare il gioco-delle-tre-carte, per far figurare trattamenti (quindi costi) mai in realtà sostenuti, così da ingannare il fisco e riciclare un bel po’ di denaro sporco.

La Bulgaria, seppure non troppo vicina, è dunque pronta ad alimentare le proprie centrali termoelettriche con i nostri rifiuti: invece di comprare combustibile, i proprietari degli impianti hanno addirittura la possibilità di farsi pagare per bruciare la nostra spazzatura.

Se incenerire rifiuti non è un reato, lo è falsare i documenti. Ed è quello che troppe volte accade, laddove i carichi di rifiuti si muovono con documenti contraffatti e sono fatti passare come diretti (innocuamente) a recupero di materia (con società di riciclo che almeno formalmente offrono una giustificazione legale ai flussi). Per fortuna, anche in Bulgaria associazioni e gruppi di cittadini hanno cominciato a denunciare i traffici illeciti e a chiedere che si fermino.

Per i trafficanti internazionali di rifiuti, dunque, il loro business non è nient’altro che la prosecuzione delle logiche di mercato con altri mezzi. Le ciniche leggi della domanda e dell’offerta attraggono inesorabilmente anche i rifiuti nei gorghi del malaffare. I trafficanti sono la risposta concreta ai fallimenti di mercato e alla facile demagogia, sguazzano nelle zone d’ombra e danno risposte economicamente efficienti, che il sistema legale non è in grado di offrire, sfruttando debolezze e tentennamenti del nostro paese.

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  1. Lorenzo

    Siamo stati bravi a trasformare un sistema di tracciabilità (Sistri) in un problema burocratico. Purtroppo la gestione all’estero dei rifiuti è una cosiddetta win win solution per i territori che non vogliono gli impianti, per i politici che cercano il consenso, per le mafie e anche per i proprietari di impianti in Bulgaria

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