Le difficoltà nel procurarci i vaccini anti-Covid riflettono lo stato del nostro sistema produttivo. Nella produzione di beni e servizi dovremmo puntare sulla complessità. Potrebbe anche favorire il riequilibrio territoriale, frenando la fuga dei cervelli.
Produzione e capacità di innovazione
Le difficoltà nella fornitura di vaccini, come di reagenti e kit per i tamponi all’inizio della diffusione del Covid-19, impongono una riflessione sull’importanza di un accesso diretto e immediato ai prodotti farmaceutici e medicali in una pandemia. In vista degli impegni che il nostro paese assumerà con il Recovery Plan, è utile riflettere su come indirizzare il nostro assetto produttivo per garantirci crescita, benessere e, del pari, autonomia nell’approvvigionamento di beni essenziali in un contesto globale carente di una gestione coordinata delle politiche e degli standard sanitari.
Alcuni studiosi dell’economia dello sviluppo economico hanno mostrato come la tipologia di beni prodotti incida enormemente sulle possibilità di diversificazione, innovazione e crescita economica dei paesi. Tramite l’analisi dei network, è emerso che la probabilità di introdurre nuovi prodotti dipende in buona parte dalla conoscenza che si applica, si sviluppa e si trasforma all’interno del sistema di produzione. Questa conoscenza è per lo più specifica e specializzata e, proprio per questo, promuove l’avanzamento della frontiera della conoscenza stessa. La complessità implicita nella struttura produttiva di un paese ne determina la crescita economica perché delimita l’ampiezza entro cui le capacità e competenze del paese possono combinarsi e ricombinarsi in innumerevoli modi per creare nuova ricchezza. Ma se ciò che si può combinare e ricombinare è limitato, saranno limitate anche le prospettive di crescita e la capacità di resilienza di fronte agli shock.
All’arrivo del Covid, in Italia è stato facile reindirizzare tempestivamente il sistema manifatturiero verso la produzione di beni semplici come le mascherine, riadattando in parte produzioni già esistenti, ma è stato molto più difficile, se non impossibile, attivare ed espandere la produzione nazionale di reagenti, respiratori e di beni intensivi in conoscenza produttiva specifica ed altamente avanzata.
Cosa ci dicono i dati
L’organizzazione mondiale delle dogane, in accordo con quella della sanità, ha predisposto una lista dei codici HS che corrispondono ai circa 60 beni protagonisti dell’emergenza Covid-19.
Utilizzando l’indicatore suggerito da Ricardo Hausmann e Cesar Hidalgo, che misura la complessità di un bene in termini dell’esclusività e al contempo della varietà delle capabilities/competenze richieste dalla sua produzione, è possibile ordinare i prodotti “Covid” in termini della loro complessità. Così facendo, si scopre (tabella 1) che i prodotti più complessi, ossia con un ranking relativo vicino a 0, sono proprio i reagenti, i kit e la strumentazione per condurre i test. Nella stessa posizione si collocano anche i tanto agognati vaccini. Nella classifica della complessità seguono poi i veicoli, intesi sia come ambulanze che come veicoli clinici e radiologici mobili. Troviamo, poi, le apparecchiature per ossigenoterapia e altri dispositivi medici, i disinfettanti, le mascherine e i sistemi di protezione facciale e, in fondo alla classifica, si trovano i guanti chirurgici. L’uso degli indicatori Unctad sul contenuto di capitale umano e fisico dei prodotti rivela un ordinamento analogo.
Per analizzare come la produzione italiana di questi prodotti in relazione alla loro complessità si pone nel contesto internazionale, la Figura 1 mostra sull’asse orizzontale la posizione relativa dei prodotti nella graduatoria della complessità e sull’asse verticale, come misura di specializzazione produttiva riflessa nel commercio internazionale, il saldo netto normalizzato. È evidente come, per l’Italia, il grado di specializzazione aumenti al ridursi della complessità dei prodotti. Per la Francia si osserva un andamento simile, ma meno marcato. Uno opposto si osserva invece per la Germania e gli Stati Uniti. La Figura 2 estende l’analisi a tutti i prodotti esportati dall’Italia e ripropone un’analoga evidenza, mentre la Figura 3 mostra che il dato aggregato nasconde il tradizionale divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord, che si ripropone anche in termini di complessità. Tuttavia, esistono differenze all’interno di ognuna delle aree, con una più pronunciata polarizzazione nella specializzazione delle province meridionali verso una bassa complessità, con pochissime eccezioni.
Figura 1 – Saldi netti normalizzati nei prodotti Covid-19 e complessità degli stessi per gli anni 2017-2019
Fonte: WITS-Comtrade WCO-WHO, BACI. Elaborazioni proprie.
Figura 2 – Saldi netti normalizzati nei prodotti in cui l’Italia ha una quota esportativa superiore a 0,001 per cento e complessità degli stessi per gli anni 2017-2019. Valori fittati e intervalli di confidenza al 95 per cento.
Fonte: WITS-Comtrade, BACI. Elaborazioni proprie.
Figura 3 – Complessità media pesata delle esportazioni delle province italiane
Fonte: COE Anno 2016, BACI. Elaborazioni proprie.
La limitata presenza italiana nelle produzioni più complesse, che pure è un tratto comune ad altri partner europei, non ci ha favorito nella crisi pandemica e potrebbe ostacolarci anche nel percorso di crescita futuro, che si giocherà sempre più sulla capacità di produzione di servizi complessi. Uno studio recente mostra che sono tali i servizi che, come i beni complessi, prevalentemente impiegano occupazioni ad alta intensità di conoscenze e competenze Stem (Science, Tecnology Engineering, Mathematics). In questo ambito il ritardo italiano è ancor più marcato.
Che fare?
Le principali azioni da intraprendere sono già note e riguardano i fattori che, congiuntamente, danno origine ai vantaggi comparati in beni complessi: il capitale umano e la qualità istituzionale.
L’Istat ha da poco rilevato che il numero di emigranti è aumentato del 4,5 per cento nel 2019 e che di questi uno su tre è laureato. Allo stesso tempo, il numero di immigrati stranieri in Italia è diminuito del 7,3 per cento e circa il 95 per cento degli immigrati è caratterizzato da bassi livelli di istruzione. Se non ci saranno misure volte a favorire e creare la domanda di lavoratori della conoscenza, gli interventi in istruzione e formazione sono destinati a generare ulteriore dissipazione di capitale umano nel futuro.
Sembra quindi che la chiave di volta possa essere ricercata nella qualità istituzionale. Come dimostra la vicenda dei vaccini, le produzioni complesse sono molto spesso oggetto di contratti incompleti per via della loro natura altamente innovativa. Assumono rilievo, allora, le istituzioni che garantiscano stabili rapporti contrattuali. Il ritardo dell’Italia in questo ambito è noto. Nel 2019 il ranking medio del nostro paese in quanto a qualità di Rule of Law è sensibilmente più basso rispetto ai paesi Ocse ad alto reddito (61.54 contro 87.41), così come in termini di Government effectiveness (69.23 contro 87.59) e di Political Stability (60.95 contro 74.75).
In questo quadro ben si innesta il programma Next Generation EU. Le raccomandazioni specifiche per paese spronano le autorità nazionali a intraprendere un percorso di riforma della giustizia, di sburocratizzazione e digitalizzazione della pubblica amministrazione che ci porterebbe a colmare un imbarazzante e ormai insostenibile ritardo. A completamento, però, serve un coraggioso sostegno alla ricerca di base in collegamento a una altrettanto coraggiosa e organica politica industriale declinata in chiave moderna: dentro ai settori occorre nutrire le nicchie e le filiere più intensive in conoscenza. L’evidenza mostra, infatti, che, a parità di altre condizioni – tra cui la dotazione di lavoratori Stem e il peso delle industrie high-tech -, i territori caratterizzati da una più elevata complessità occupazionale nella manifattura e, soprattutto, nei servizi registrano una più elevata crescita pro-capite. Potremmo, dunque, impiegare al meglio il capitale umano che pure produciamo, ma tristemente sperperiamo. D’altra parte, il rapporto Svimez per il 2019 ci rammenta che la continua emorragia di cervelli viene soprattutto dalle regioni del Sud. Parimenti, la carente qualità istituzionale nazionale nasconde realtà territoriali altamente eterogenee, con le regioni meridionali che registrano i più bassi livelli di qualità di governo dell’intera Europa.
Come alcune esperienze mostrano, puntare sulla complessità nella produzione dei beni e, conseguentemente, dei servizi, oltre a assicurarci un accesso diretto e preferenziale alle produzioni che oggi sono più centrali, potrebbe favorire il riequilibrio territoriale frenando la fuga dei cervelli e attirando ulteriore capitale umano e finanziario anche dall’estero.
In particolare, creare le condizioni per l’ingresso delle imprese nella produzione di servizi intensivi in conoscenza commerciabili e trasportabili in digitale potrebbe rappresentare una chiave di riscatto per il Mezzogiorno che, da annosa e dolente questione, potrebbe trasformarsi in una nuova leva per lo sviluppo futuro dell’intero paese.
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Savino
E’ una nazione che ripudia i giovani e i competenti e non farà molta strada. Si è trovato solo lavoro e reddito per gli improduttivi e per quelli che non hanno mai studiato. La ricerca dei figli dell’Italia che non hanno avuto il piacere di essere profeti in patria ha dato risultati colossali che non vengono riconosciuti dai connazionali attaccati ai loro averi, ai loro orticelli e che si esaltano nella ricerca delle scorciatoie, ma il virus ha detto che le bugie hanno le gambe corte, che solo la competenza vince.
tiberio damiani
il nostro paese aveva una industria farmaceutica importante e di prim’ordine, che purtroppo è stata progressivamente ceduta a gruppi esteri. questo fatto contribuisce in quale misura ad accentuare la dipendenza dai mercati esteri per i nostri fabbisogni di farmaci e vaccini e e in quale misura contribuisce a rendere poco appetibile il lavoro in Italia per i giovani laureati in farmacia e branche collegate?