A settembre entrerà in vigore il nuovo Codice della crisi di impresa. Prevede l’introduzione delle cosiddette procedure di allerta. Ma forse è meglio rinviare. Con la crisi da Covid-19 rischiano di esservi sottoposte molte società ancora vitali.

Le procedure di allerta e lo stato di crisi

Una delle principali novità del nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, la cui entrata in vigore è stata posticipata a settembre 2021 a causa dell’epidemia di Covid-19, è costituita dalle procedure di allerta. Si tratta di un sistema volto alla tempestiva identificazione della crisi dell’impresa e all’adozione di misure, anche concordate con i creditori, per la sua soluzione.

La procedura di allerta può essere avviata volontariamente oppure in seguito alla segnalazione agli amministratori della presenza di “fondati indizi della crisi” da parte degli organi di controllo societari (o anche all’avviso che l’esposizione debitoria ha superato “l’importo rilevante” da parte di creditori pubblici qualificati: Agenzia delle entrate, Inps e Agente della riscossione). In caso di mancata o insoddisfacente risposta da parte dell’amministrazione, la società è indirizzata agli Organismi di composizione della crisi (Ocri) istituiti presso le Camere di commercio. Dopo una prima valutazione sull’effettiva sussistenza dello stato di crisi l’Ocri può coadiuvare l’impresa nella ricerca della soluzione per porvi rimedio, sia mediante interventi di tipo gestionale, sia facendo uso degli strumenti di ristrutturazione – o, eventualmente, di liquidazione – previsti dal Codice. In alternativa l’impresa debitrice può presentare istanza di composizione assistita della crisi per la ricerca di una soluzione concordata con i creditori, sotto la supervisione e con l’ausilio dell’Ocri. In caso di mancato accordo su una ristrutturazione, qualora ritenga che l’impresa si trovi in uno stato di insolvenza, l’Ocri ha comunque l’obbligo di segnalare al pubblico ministero l’esito negativo dei procedimenti per l’avvio di una liquidazione giudiziale.

L’indicatore dello stato di crisi

Nelle procedure avviate su segnalazione degli organi di controllo l’obbligo di segnalazione scatta in presenza di “indicatori della crisi” rilevati attraverso appositi indici elaborati dal Consiglio nazionale dei commercialisti e degli esperti contabili (Cndcec). Da un punto di vista quantitativo, la presenza di un patrimonio netto inferiore al limite legale è l’indicatore che di fatto identifica lo stato di crisi: l’aggiunta degli altri indici di bilancio proposti dal Cndcec farebbe aumentare il numero di imprese in stato di crisi solo marginalmente.

Un recente lavoro mostra che effettivamente la sottocapitalizzazione anticipa in molti casi la cessazione dell’attività di impresa. Circa il 60 per cento delle società il cui patrimonio netto si riduce in un dato anno al di sotto dei limiti legali – qui fissati a 50 mila euro per le spa e a zero per le altre società di capitali – non è più attivo a tre anni di distanza, mentre il tasso di uscita dal mercato delle imprese con un patrimonio netto superiore ai limiti legali (imprese non in stato di crisi) è inferiore al 20 per cento. Circa il 13 per cento delle imprese in crisi risulta coinvolto entro tre anni in una procedura concorsuale, evento che riguarda solo l’1,4 per cento delle imprese non in crisi (figura 1).

Il possibile impatto del Covid-19 sulle procedure di allerta

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Applicando retrospettivamente il criterio della sottocapitalizzazione, nel 2018 si sarebbero trovate in stato di crisi circa 7 mila imprese tra quelle attualmente soggette all’obbligo di costituzione dell’organo di controllo (poco meno di 120 mila). Nel periodo 2010-2018, risulta che in media sarebbero entrate in stato di crisi circa 3 mila imprese ogni anno. Questi numeri forniscono un’indicazione del carico di lavoro atteso per gli Ocri, nel primo anno di entrata in vigore delle procedure, qualora questa fosse avvenuta nel 2018, e “a regime”.

Tuttavia, i bilanci dell’esercizio 2020, quelli di riferimento per le segnalazioni da parte degli organi di controllo se le procedure di allerta entreranno in vigore a settembre del 2021, saranno molto diversi da quelli del periodo 2010-2018. Usando la metodologia di una recente Nota Covid-19 della Banca d’Italia è possibile stimare che, nonostante le misure di sostegno varate nel corso dell’ultimo anno, al momento dell’entrata in vigore delle procedure di allerta, le imprese sottocapitalizzate– e che quindi dovrebbero essere segnalate agli Ocri – sarebbero circa 13 mila: quasi il doppio di quelle attese se l’attività degli Ocri avesse avuto inizio in “tempi normali” e più di quattro volte il flusso di procedure attese “a regime”. Va inoltre considerato che non vi è garanzia di un ritorno rapido a un flusso di equilibrio simile a quello atteso prima della pandemia.

I compiti degli Ocri

Due sono le principali funzioni del sistema dell’allerta. Da un lato, dovrebbe spingere il debitore ad affrontare le sue difficoltà prima di perdere il controllo della situazione (e ridurre la possibilità di soddisfazione dei creditori), fornendo al contempo all’impresa la necessaria assistenza per la risoluzione della crisi: ciò può essere particolarmente utile per le imprese di minori dimensioni, che spesso faticano ad accedere ai tradizionali strumenti di ristrutturazione. Dall’altro, la valutazione degli Ocri dovrebbe contribuire a identificare in anticipo i casi di crisi “irrecuperabile”, da destinare alla liquidazione, riducendo così il fenomeno delle “imprese zombie” e incrementando le possibilità di recupero per i creditori.

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Gli Ocri dovranno quindi anzitutto essere in grado di distinguere le imprese destinate alla liquidazione da quelle ancora potenzialmente profittevoli (viable), delle quali è opportuno tentare la ristrutturazione. Ma la valutazione contempla ovviamente margini di errore. Anche in tempi normali, la scelta della platea di imprese da assoggettare al sistema dell’allerta richiede un delicato bilanciamento. Una molto ampia includerebbe anche casi di crisi temporanee e reversibili, con il rischio di un inefficiente intervento su imprese ancora potenzialmente redditizie. Se invece alle procedure accedessero solamente poche imprese in grave difficoltà, si perderebbe la capacità del sistema di anticipare l’insolvenza e favorire la ristrutturazione preventiva.

L’introduzione delle procedure di allerta nel contesto attuale potrebbe risultare problematica, tanto che è possibile che l’entrata in vigore del Codice sia ulteriormente prorogata nella speranza di avviare il sistema dell’allerta quando l’attività economica sarà tornata più vicina alla normalità. Infatti, quando verranno gradualmente meno le principali misure di supporto economico, è possibile che un numero consistente di imprese si trovi temporaneamente in stato di crisi, pur rimanendo potenzialmente vitale. La difficoltà di gestire casi particolarmente complicati con uno strumento nuovo e non rodato, insieme all’elevato carico di lavoro – per di più in un periodo caratterizzato da grande incertezza sull’andamento dell’economia – potrebbe rendere gravoso e meno efficace il compito degli Ocri. Nella situazione di emergenza si potrebbe pensare di limitare la platea di imprese soggette al sistema dell’allerta a casi particolarmente gravi, per contenere il rischio di liquidazioni inefficienti. La funzione “preventiva” del sistema dell’allerta potrebbe essere in via temporanea effettuata con altri strumenti, ad esempio con incentivi più favorevoli alla ristrutturazione per le diverse parti in causa.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire agli autori e non investono la responsabilità dell’Istituzione di appartenenza.

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