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La guerra delle valute si sposta sul digitale

La Fed ha avviato la sperimentazione di un dollaro digitale. Perché proprio ora? Per contrastare l’attivismo della Cina. La moneta digitale potrebbe essere infatti il prossimo terreno di scontro fra superpotenze. E gli Stati Uniti vogliono essere pronti.

Arriva il dollaro virtuale

La Federal Reserve ha avviato la sperimentazione di un dollaro digitale, anche in collaborazione con ricercatori del Mit di Boston. Lo ha confermato il governatore della Banca centrale statunitense, Jerome Powell, intervenendo giovedì 18 marzo a una conferenza della Banca dei regolamenti internazionali dedicata alle nuove frontiere dei sistemi di pagamento.

La notizia era stata anticipata quasi un mese prima da chi lo ha preceduto in quel ruolo, l’attuale segretaria al Tesoro, intervistata da un giornalista della Cnbc. Rispondendo a una domanda generica sulle numerose iniziative in materia di monete digitali da parte delle banche centrali di tutto il mondo, fra cui la Bce, Janet Yellen aveva rivelato che anche la Fed sta lavorando alla sua moneta digitale, sottolineando in particolare i benefici che ne deriverebbero in termini di inclusione finanziaria. Con un dollaro digitale, pagamenti elettronici rapidi, sicuri e a basso costo sarebbero accessibili a tutti, e non soltanto a coloro che hanno una carta di credito o un conto in banca.

Il giorno dopo, in un’audizione al Congresso, in risposta a una richiesta del senatore repubblicano Bill Hagerty, Powell aveva confermato che la banca centrale americana sta “valutando seriamente” l’opportunità di emettere un dollaro digitale. Aveva specificato, anzi, che si tratta di un “progetto ad alta priorità”.

Da dove viene tutta questa urgenza, dopo anni di inerzia? Ora, è difficile credere che la decisione di emettere un dollaro digitale possa dipendere esclusivamente da considerazioni di politica interna, volte a rendere il sistema dei pagamenti più efficiente e inclusivo, come ha sostenuto in un recente editoriale l’autorevole economista Barry Eichengreen.

Un nuovo terreno di scontro

Per comprendere da dove arrivi la spinta verso l’adozione di un dollaro digitale, occorre guardare soprattutto all’estero. La Cina è stata la prima, ormai cinque anni fa, ad avviare lo studio e la sperimentazione di monete digitali di banca centrale. Ha già attivato quattro progetti pilota in altrettante città. All’inizio di febbraio, per celebrare il capodanno cinese, sono stati distribuiti 1,5 milioni di dollari in yuan digitali. Pechino mira a una piena attuazione del sistema in occasione delle Olimpiadi invernali del 2022, ammonisce il presidente dell’Atlantic Council, Frederick Kempe.

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Del resto, già nel 2018, a una conferenza delle Nazioni Unite, Yao Qian, allora direttore del Centro di ricerche sulla moneta digitale della banca centrale cinese, aveva preannunciato che, dopo la robotica, l’intelligenza artificiale e i big data, la moneta digitale sarebbe stata la prossima frontiera di una nuova guerra fra le superpotenze.

Nella sua testimonianza al Senato, Powell ha dichiarato che, anche al fine di preservare lo status di valuta internazionale di riserva, di cui oggi il dollaro gode, l’importante non è arrivare primi, ma “fare le cose per bene”. Non è detto che basti, però. E gli Stati Uniti dovrebbero saperlo meglio di chiunque altro: una volta che una valuta si è imposta come moneta internazionale, è difficile scalzarla.

L’economia statunitense ha perso peso nel commercio globale nel corso degli ultimi decenni: dal 1990 a oggi, la quota degli Stati Uniti nelle esportazioni mondiali è più che dimezzata dal 18,5 all’8,5 per cento (come risulta dai dati delle Banca mondiale). Ciononostante, il dollaro continua a fungere da moneta mondiale e costituisce ancora di gran lunga la valuta più utilizzata, sia come strumento di riserva (il 60 per cento delle riserve valutarie globali sono in dollari contro il 2 per cento in yuan, secondo i dati del Fondo monetario internazionale), sia come mezzo di pagamento (il 38 per cento dei pagamenti internazionali sono effettuati in dollari e appena il 2 per cento in yuan, secondo i dati di Swift).

Ora, non sembra che la Cina abbia intenzione di affermare lo yuan come valuta di riserva.

Per farlo, dovrebbe liberalizzare i movimenti di capitali e non si vedono passi significativi in questa direzione. Tuttavia, ciò non le impedisce di promuovere l’uso dello yuan come mezzo di pagamento, grazie alla quota crescente del dragone nel commercio globale. Nel 2015 ha lanciato il sistema di pagamenti Cips per non dipendere dal sistema Swift. L’accordo di libero scambio siglato la scorsa estate con l’isola di Mauritius prevede la costituzione della prima piattaforma di compensazione e regolazione in yuan fuori dalla Cina. A inizio febbraio, come riferisce Voice of America, la Banca centrale cinese ha annunciato una partnership con Swift che concerne anche la moneta digitale. Attraverso tutte queste iniziative, lo yuan potrebbe guadagnare rapidamente peso come mezzo di pagamento internazionale.

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Se gli Stati Uniti vorranno preservare e addirittura rafforzare la loro egemonia globale, come le recenti, bellicose dichiarazioni del presidente Joe Biden sembrano preannunciare, dovranno costruire un arsenale monetario all’altezza dell’era digitale.

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  1. Cicci Capucci

    L’aumento globale dei pagamenti elettronici e la concomitante riduzione di quelli cash sta marginalizzando la creazione di moneta delle banche centrali a favore dei privati. Il saldo del mio conto corrente è un credito verso la mia banca che può fallire chiudere, sparire. La banconota che ho in tasca è garantita dalla Banca d’Italia e dalla BCE. Le banche centrali , per dare stabilità al sistema, debbono necessariamente creare moneta elettronica. Vedere retroscena geopolitici in questo è fantasia complottista, in linea con i temp, ma controproducente sul piano dell’educazione finanziaria.

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