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Perché il Covid-19 non è uguale per tutti

Esistono marcate differenze tra paesi nel numero di decessi causati dal Covid. Perché? Composizione demografica, inquinamento e ordine in cui gli stati sono stati colpiti sembrano fattori rilevanti per spiegare il fenomeno, almeno nei paesi avanzati.

Cosa spiega le differenze tra paesi

Il virus ha colpito diversi paesi in modo differente. Anche guardando ai soli stati cosiddetti “avanzati”, le differenze nel 2020 nel numero dei decessi sono enormi. Si passa dai valori minimi di Nuova Zelanda e Corea del Sud (rispettivamente 1 e 2 decessi ogni 100 mila abitanti) al valore massimo del Belgio (171 decessi; figura 1).

Se si considera la figura 1, si nota subito che i paesi asiatici, seppur geograficamente prossimi all’epicentro della pandemia, hanno registrato un numero di decessi piuttosto contenuto. La ragione potrebbe risiedere nelle differenti abitudini culturali caratterizzate da contatti fisici meno diffusi e dall’uso comune di strumenti di protezione, quali le mascherine, anche prima della pandemia.

Per quanto riguarda gli altri paesi, la risposta è meno immediata. Vari lavori hanno analizzato, attraverso modelli statistici, i fattori che spiegano il diverso grado di severità della pandemia Covid-19 tra aree geografiche riportando evidenze piuttosto miste. Senza pretese di esaustività, abbiamo rivisitato la questione attraverso un modello econometrico che analizza il numero medio giornaliero dei decessi nel 2020 rapportati alla popolazione per i 31 paesi Ocse avanzati (la versione integrale del lavoro è disponibile a questo link). Il nostro è il primo lavoro che copre l’intero 2020, evitando quindi di dover spiegare differenze relative alla diversa stagionalità tra paesi. Abbiamo trovato che tre fattori sono rilevanti (per i motivi spiegati, il modello contiene anche una variabile dummy per i paesi asiatici).

Il primo fattore è la composizione demografica della popolazione: paesi con una popolazione più anziana hanno avuto più decessi. Che la popolazione anziana sia più vulnerabile al virus non è di certo un risultato sorprendente: in Italia il 95 per cento dei decessi per Covid riguarda persone over 60, e anche negli altri paesi del campione considerato la percentuale di morti over 60 rappresenta la quasi totalità. Secondo uno studio della World Bank (2020) il tasso di mortalità per la fascia di età 70-79 anni è 12,6 volte quello della fascia 50-59 nei paesi ad alto reddito. Il rapporto tende però a diminuire nei paesi a più basso reddito, attestandosi a 3,6.

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Il secondo fattore che spiega le diversità nel numero dei decessi è il livello di inquinamento dei paesi, in linea con quanto già rilevato da altri lavori (Becchetti et al. 2020, Cole et al. 2020 e Austin et al. 2020). In particolare, più alto è l’eccesso di polveri sottili (nella forma di PM2.5, ovvero quelle di dimensioni minori) rispetto alle norme fissate dalla Organizzazione mondiale della sanità, più alto è il numero di decessi. Questo legame statistico può essere dovuto al fatto che le polveri sottili creano precondizioni per un decorso grave della malattia arrecando due tipologie di danni ai polmoni: lo stress ossidativo, ovvero produzione di radicali liberi che danneggiano i tessuti, e l’aumento delle infiammazioni dovuto all’attivazione della risposta immunitaria (vedi Comunian et al. 2020).

Il terzo fattore è l’ordine in cui i vari paesi sono stati colpiti: quelli che sono stati colpiti per primi hanno avuto più decessi anche in termini di mortalità media giornaliera. Questo può essere spiegato col fatto che paesi colpiti successivamente hanno beneficiato dell’esperienza acquisita nel tempo dall’osservazione dei paesi colpiti per primi e siano quindi riusciti a gestire meglio la pandemia attraverso un aumento della capacità diagnostica e curativa. Ci si potrebbe chiedere se un più elevato livello della spesa sanitaria precedente alla pandemia abbia costituito un vantaggio. In realtà, sia nel nostro studio sia nei lavori precedenti non c’è evidenza di un nesso tra gravità della pandemia e risorse a disposizione della sanità. La relazione bivariata tra numero dei decessi e spesa sanitaria appare irrilevante (figura 2) ed è confermata dalle stime econometriche. Questo non vuol dire che l’aumento della spesa sanitaria non sia una priorità, ma l’assenza di efficacia di quella passata nel proteggere dal Covid suggerisce che, anche nei paesi dove è più elevata, non sia stata adeguatamente mirata a ridurre gli effetti di una possibile pandemia, che infatti ha colto tutti di sorpresa. I paesi avanzati, forse a differenza di quelli meno sviluppati, negli anni scorsi non avrebbero investito risorse nei settori sanitari che potevano offrire un vantaggio nella lotta contro le malattie infettive, destinando invece più risorse al contrasto di malattie più comuni (tumori, disturbi cardiocircolatori, diabete).

Quali paesi hanno gestito meglio la pandemia?

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Risulta complesso effettuare una valutazione dell’impatto delle politiche restrittive sul contenimento dei decessi. Secondo la nostra analisi, per Nuova Zelanda, Australia e Germania si osservano molti meno morti rispetto a quanto previsto dal modello. Un numero più elevato di decessi si vede invece per paesi come Stati Uniti, Svezia e Regno Unito. Il risultato potrebbe riflettere il fatto che questi paesi hanno tardato nell’applicazione delle misure restrittive ed erano guidati da leader che hanno inizialmente negato la gravità del problema.
Che giudizio dare dell’Italia? Il nostro paese ha purtroppo registrato un numero molto elevato di decessi (figura 1), ma ciò sembrerebbe spiegato dalla struttura demografica sfavorevole, dall’elevato inquinamento e dal fatto di essere stato uno dei primi paesi colpiti. D’altra parte, il numero di decessi è stato inferiore rispetto a quello previsto sulla base dei tre fattori. Questo suggerisce che il nostro paese abbia gestito relativamente bene la crisi, pur con tutte le criticità che si sono manifestate.

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10 commenti

  1. Alice

    A quanto dovrebbe ammontare la “compensazione” in termini di risorse per contrastare le malattie più comuni (tumori, disturbi cardiocircolatori, diabete) qualora queste nel 2020 abbiano ricevuto una minore attenzione, a causa dell’emergenza Covid-19, onde evitare “la resa dei conti” nel giro di qualche anno?

  2. Ringrazio il prof. Cottarelli e la dott.ssa Paudice per il loro contributo. Trovo che nel modello manchi tuttavia una variabile importante: il livello d’efficienza degli ospedali e dei diversi protocolli sanitari applicati nei diversi paesi. Sono Italiano, vivo in Francia, e se mi venisse il Covid preferirei farmi curare in Francia, piuttosto che in Italia: il rapporto tra contagi e decessi, o ospitalizzazioni e decessi, é molto più basso in Francia vs. Italia… Cordialmente, RP

  3. ROSARIO FONTANELLA

    La minore abitudine al contatto tra le persone non può essere considerato, in base ad una valutazione seria, la motivazione che ha prodotto un numero infinitamente minore di contagi. I motivi sono: tamponi, tracciamento ed isolamento. Tutti i paesi del sud est asiatico hanno adottato queste metodologie, anche perchè arrivavano dall’esperienza della SARS. Inutile dire che i loro piani pandemici erano aggiornati! Inoltre è sicuramente vero che i paesi con la popolazione più anziana hanno avuto più morti ma come la mettiamo con il Giappone che, insieme al nostro paese, ha la popolazione più vecchia al mondo? Il segreto è presto rivelato: TAMPONI, TRACCIAMENTO E ISOLAMENTO!! I paesi asiatici (quasi tutti…), regimi autoritari o solide democrazie, hanno avuto pochissimi contagi e pochissimi morti (Taiwan 12 morti, per esempio, da inizio pandemia). Comprendo la paura del confronto ma il fallimento dell’Occidente nella lotta al COVID19 è un dato di fatto. Per rispondere poi a quelli che dicono che molto ha pesato l’elemento culturale, ricordo che Australia e Nuova Zelanda, applicando gli stessi metodi di Taiwan, Corea del Sud, Giappone ecc. hanno ottenuto gli stessi risultati.

  4. Come gli Autori stessi notano, la spesa sanitaria. qui assunta procapite, potrebbe essere indirizzata verso settori ininfluenti sul controllo della pandemia. Oppure non essere universalistica: quella USA per esempio è molto disuguale nella popolazione. Sarebbe interessante osservare la relazione tra mortalità e quota destinata alla prevenzione e, separatamente, alla medicina generale. Tra i paesi storici della UE interessante vedere il Portogallo che su quest’ultima pare avviarsi a notevoli riforme. Un altro fattore potrebbe essere la precocità delle terapie nei soggetti paucisintomatici. ma comprendo che è difficile tenere sotto controllo troppe variabili. Analisi molto interessante. Grazie

  5. Savino

    In Italia manca ogni forma di welness ed il welfare corrisponde alla pensione. Parliamo meno di pensioni, così come le ha realizzate la prima Repubblica, e parliamo più di benessere psico fisico per gli anziani con l’assistenza e per i giovani con il lavoro e i diritti.

  6. Enrico Motta

    Tra i fattori che hanno determinato una diversa mortalità nei i paesi orientali, compresi Australia e N.Z., ed Europa, consiglio un articolo di The Lancet del 28 Novembre 2020, autore J. Martinez Hernandez, pag 1733. L’autore critica la Direttiva EU 2020/739, in cui si classifica il virus del Covid come rischio 3 (che non è il livello massimo), mentre i paesi orientali con Australia e N.Z. lo hanno classificato rischio 4, il massimo, come peste, Ebola e vaiolo. Da ciò, secondo l’autore è conseguito un diverso approccio alla pandemia.

  7. Massimo

    Risulta un po’ piccolo il numero di variabili considerate, e sarebbe anche interessante conoscere l’associazione con alcuni fattori che possono essere associati all’inquinamento come la densità di popolazione o l’uso dei mezzi pubblici

  8. valentino compagnone

    Prima di ogni riforma, per comprenderne la necessità ,occorre spiegare agli italiani (non solo ma anche a chi ha un interesse potenziale per l’ìItalia ) che non si tratta di una foruncolosi riformista (come quella che portò alla emanazione di una nuova legge bancaria laddove bastava qualche correttivo di quella esistente e Cottarelli ne sa qualcosa) ma di rimedio a che cosa non ha funzionato o sia inadeguato rispetto alla supermeditata riforma degli anni 70,anzi farei di più un aggiornamento del Plebano :la storia di un paese vista attraverso la evoluzione e le dottrine della sua finanza best

  9. Maurizio Pratolli

    I criteri per il conteggio dei decessi attribuiti al covid sono uniformi fra tutte le nazioni oppure la vera discriminante fra i paesi sono prprio i sistemi di rilevazione dei casi?

  10. Marcello

    Comincerei con il farmi una domanda molto semplice: è credibile il numero di contagi e di morti segnalato dalla John Hopkins e dal WHO? Si registrano 148 mil di contagi e circa 3 mili di morti con un tasso di fatalità del 2%. 5 tra i paesi del G7 sono tra i primi 20 per numero di morti da covid per milione di abitanti. Vi sembra credibile che i paesi con i NHS più avanzati del mondo abbiamo i più alti tassi di mortalità, di 5 volte superiori a quello della Turchia? Escludiamo i paesi asiatici “modello”, cioè Cina, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Singapore, cioè paesi che avevano in qualche modo sperimentato la presenza della SARS e che avevano dei piani di comporatmento, i dati sul resto dei paesi in Africa, Asia , Sud America vi sembrano affidabili? Vi sembra credibile che Svizzera, Germania e NL, che dichiarano un numero di decessi covid per milione della metà circa di quello dell’Italia, abbiano un tasso di mortalità più elevato di Iran, Russia, Uruguai, Pakistan ecc? Ho molti dubbi, anzi attribuisco una probabilità molto elevata all’inattendibilità di quei dati. Le isole come NZ e Aus fanno storia a se. In EU ci sono criteri di classificazione della causa di decesso diverse. Credo che i dati italiani siano quelli più credibili e accurati: segnalano un tasso di letalità (CFR) attorno al 4% che è quello comunicato dalla Cina all’inizo della pandemia.. L’aspettativa di vita, l’inquinamento, la numerosità delle coorti più anziane non spiegano differenze così elevate.

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