I microchip sono prodotti in Asia con un lungo processo di lavorazione. La pandemia ne ha aumentato la domanda, ma anche rallentato la produzione a causa delle misure di contenimento del virus. Tutte le soluzioni del problema richiedono tempo.

La pandemia e le catene mondiali del valore

Dopo più di un anno di convivenza con il Covid-19, si può dire che il suo impatto sulla produzione manifatturiera a livello mondiale sia stato radicalmente differente da tutti quelli causati dalle altre pandemie nel corso degli ultimi cento anni: quella attuale ha infatti colpito quasi in contemporanea tutte le maggiori economie manifatturiere provocandone una quasi simultanea recessione, data la loro stretta interdipendenza produttiva, supportata dai molteplici e profondi flussi commerciali pluridirezionali a livello globale.

Dalla metà degli anni Ottanta, infatti, si è assistito a una sempre più stretta interconnessione produttiva fra aree internamente integrate e differentemente specializzate, che ha prodotto un sempre più consistente scambio di beni finali e intermedi a livello planetario, dando origine alla cosiddetta global value chain. Ovviamente, l’effetto recessivo manifestatosi non è dovuto al virus in sé, bensì alle azioni di politica sanitaria ed economica decise per contrastarne la diffusione dalle differenti le autorità nazionali e alle conseguenti aspettative che si sono generate.

Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, il settore manifatturiero globale ha dovuto così sopportare shock di differente natura, sequenziabili sotto il profilo temporale e vicendevolmente rafforzantisi.

  – Da principio, c’è stata l’interruzione dei flussi di offerta provocato dalle politiche sanitarie restrittive ha ostacolato e ridotto la produzione a livello globale: il virus ha innanzitutto colpito l’area asiatica, considerata il cuore della manifattura mondiale, imponendo la chiusura dei siti produttivi lì ubicati, provocando così l’interruzione della fornitura principalmente di beni intermedi esportati verso altre arre produttive. In seguito, la pandemia si è diretta verso altri giganti industriali (Germania e Usa fra gli altri) costringendoli all’adozione di misure restrittive che, contraendo la produzione soprattutto di macchinari, ne hanno ridotto la fornitura anche ad aziende appartenenti all’area asiatica. Il risultato di questa catena di effetti è stato che l’intera offerta aggregata globale ha subito una contrazione, amplificatasi a ogni passaggio e sfociata in una negativa reazione a catena.

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  – Successivamente, anche il lato della domanda aggregata ha subito una riduzione le cui cause sono da imputarsi sia alla diminuzione del reddito disponibile indotta dalla recessione che a decisioni di rinvio degli acquisti da parte dei consumatori dei beni non di prima necessità, così come di differimento degli investimenti da parte delle imprese.

Il caso dei microchip

Un esempio di bene intermedio la cui offerta ha patito tutte le negative conseguenze provocate dall’applicazione delle misure di contenimento della pandemia e la cui scarsità costringe oggi le industrie produttrici di diversi beni a ridurre la produzione, quando non addirittura a sospenderla come nel caso dell’industria europea dell’auto, è rappresentato dai microchip. Sono prodotti principalmente in Asia ed esportati in Occidente, dove sono utilizzati dall’industria per la produzione sia di beni finali sia di macchinari, a loro volta riesportati verso Oriente in quanto componenti necessarie per ottenere l’incremento della capacità produttiva locale, anche degli stessi semiconduttori.

Nel corso del 2020, la domanda mondiale di microchip è aumentata del 6,5 per cento a causa dello spostamento, provocato dalle misure di contenimento della pandemia, della domanda finale verso beni la cui produzione ne richiede una maggiore quantità, ma anche una migliore qualità. Le evidenze di domanda relative al primo trimestre del 2021 fanno prevedere che il trend non solo continui, ma possa rafforzarsi nel prossimo futuro.

Per far fronte all’aumento di domanda, nel breve periodo, l’industria dei semiconduttori ha risposto con un incremento del tasso di utilizzo degli impianti, passato da un 80 per cento medio pre-pandemia al 100 per cento. L’operazione però non è esente da complicazioni, richiede tempo e cura, data la complessità del ciclo produttivo: per la realizzazione delle sole basi di silicone possono infatti essere necessari fino a 1.400 passaggi. Di conseguenza, il tempo per la fabbricazione di un chip finito può variare fra le 14 e le 20 settimane, ma per la consegna servono altre 6 settimane per la fase dei controlli del prodotto, giungendo così a totalizzare 26 settimane, corrispondenti a circa sei mesi, per raggiungere il cliente finale. La lunghezza del processo spiega quindi perché alcune industrie siano attualmente costrette a rallentare la propria produzione, se non a sospenderla, in carenza di forniture dedicate.

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Nel medio-lungo periodo, per rispondere agli ulteriori incrementi di domanda di chip, sarà necessario aumentarne la capacità produttiva. L’industria globale dei semi conduttori ha già pianificato un incremento degli investimenti sia in nuovi impianti che in ricerca per lo sviluppo di nuovi e più potenti modelli. Negli Stati Uniti, una coalizione trasversale dell’industria americana sta esercitando pressioni sul presidente Biden e sul Congresso per ottenere stanziamenti di risorse finanziarie, ma anche iniziative di ricerca che permettano al paese di diventare la sede sia di una più ampia quota della produzione globale che della connessa innovazione. Comunque, anche la realizzazione di questa operazione esigerà i suoi tempi.

Nel breve periodo, bisogna quindi rassegnarsi a una prolungata carenza di offerta di microchip sui mercati mondiali con le conseguenze negative già manifestatesi.

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