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Passaggio in India

La vicenda dei marò si è ingarbugliata negli ultimi giorni. L’Italia ha ottime ragioni nel sostenere la sua giurisdizione sull’incidente. Così come non può essere limitata la libertà del nostro ambasciatore. Ma quali sono le ragioni della decisione del Governo di non rispettare l’impegno preso?
La questione dei marò – vale a dire l’incidente al largo delle coste del Kerala nel quale due pescatori indiani, scambiati per pirati, sono rimasti uccisi per opera di due fucilieri della Marina – si è negli ultimi giorni ulteriormente e inaspettatamente ingarbugliata. Forse si può fare un po’ di chiarezza affrontando separatamente le tre questioni che si sono intrecciate.
Il problema originario della vicenda era costituito dall’individuazione di quale Stato, l’Italia o l’India, avesse giurisdizione sull’incidente, avvenuto a 20,5 miglia marine dalla costa indiana. Sul punto la posizione italiana appare più solida di quella indiana. L’India sostiene di avere giurisdizione perché le vittime erano cittadini indiani e il codice penale indiano sarebbe applicabile su tutta la zona economica esclusiva, vale a dire sino a 200 miglia marine oltre il limite esterno del mare territoriale.
L’argomento è molto debole. In virtù della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, a cui sia l’India sia l’Italia aderiscono, i poteri sovrani dello Stato costiero si estendono solo sulle acque territoriali, ossia, fino a 12 miglia marine come limite massimo. Sulla Zona economica esclusiva, lo Stato costiero ha solo poteri funzionali alla conservazione e allo sfruttamento delle risorse naturali, e non gode del potere di esercitare la sua giurisdizione penale. Sotto questo profilo, dopo le 12 miglia, si entra in acque internazionali e la giurisdizione è esercitata in via esclusiva dallo Stato di bandiera della nave.
Ma vi è un ulteriore a ancora più forte argomento a favore dell’Italia. Secondo il diritto internazionale consuetudinario, uno Stato non può esercitare la sua giurisdizione nei confronti degli organi di un altro Stato. Questo in virtù del principio che tra ‘pari’, ossia tra enti egualmente sovrani, non ci si giudica. Ora è pacifico che i due marò agirono nel caso di specie, non come semplici cittadini italiani, bensì come militari e, in quanto tali, come ‘organi’ dello Stato italiano. Dunque, non sono sottoponibili a processo da nessun giudice straniero, ma solo dai giudici italiani.
LA DECISIONE DI NON RIMANDARE I MARÒ IN INDIA
Sulla decisione di non rimandare in India i due marò, al contrario, la posizione italiana è molto debole. Infatti, il rimpatrio dei marò per le elezioni era Stato concesso dalle autorità indiane dietro garanzia prestata dall’ambasciatore italiano che i due sarebbero rientrati entro un mese. A quanto pare di capire, l’Italia giustifica il mancato rispetto dell’impegno perché tra i due Stati si è instaurata una controversia internazionale che va risolta attraverso un arbitrato internazionale e non mediante un giudizio interno, come stabilito dalla Corte suprema indiana in una sentenza resa il 18 gennaio scorso. (1) Tuttavia, il fatto che sussista una controversia internazionale, e che l’Italia sia disponibile a regolarla mediante arbitrato, non esenta dal rispetto della parola data. Tanto più che questa parola è stata fornita dopo (il 22 febbraio) che la Corte suprema si è pronunciata.
IL DIVIETO DI LASCIARE IL PAESE PER L’AMBASCIATORE
Sul punto la posizione italiana torna molto forte. Secondo le regole della Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche, firmata sia dall’Italia che dall’India, gli agenti diplomatici beneficiano d’immunità dalla giurisdizione dei giudici interni – dunque anche quella della Corte suprema. Inoltre, hanno pieno diritto di circolare liberamente nel paese e, se lo desiderano, di lasciarlo. Infatti questi privilegi riguardano l’essenza stessa della funzione del diplomatico che è quella di assicurare, nella maniera più libera e completa, la rappresentanza e gli interessi dello Stato che lo invia nello Stato che lo riceve.
Si potrebbe pensare che le misure restrittive della libertà personale imposte all’ambasciatore italiano siano in qualche modo giustificabili come contromisure al mancato rispetto dell’impegno di far rientrare i marò. Si tratterebbe di un’opinione errata. Infatti, la Corte internazionale di giustizia nella vicenda degli ostaggi americani a Teheran ha precisato che un’eventuale azione abusiva di un diplomatico può essere sanzionata solo mediante i rimedi espressamente previsti dalla Convenzione di Vienna. Tra questi non rientra il divieto di lasciare il Paese in cui si è ospitati. Per contro, essendo previsto dalla Convenzione, l’India poteva, ad esempio, dichiarare l’ambasciatore italiano “persona non grata” e espellerlo dal paese.
LE IMPERSCRUTABILI RAGIONI DI UNA SCELTA
Di fronte a questo quadro rimane da capire il perché della decisione italiana di non rispettare l’impegno preso. Sinora il Governo si era comportato in maniera accorta. Aveva evitato di esacerbare il confronto, aveva ottenuto di spostare la giurisdizione dal luogo ove erano avvenuti i fatti, aveva elaborato solidi argomenti giuridici, aveva conquistato la fiducia e il rispetto dell’India e dell’opinione pubblica indiana onorando la promessa di riconsegnare i marò dopo il permesso natalizio. In ultima analisi, il Governo stava costruendo le premesse per una soluzione negoziata e soddisfacente per entrambi i paesi.
Perché dunque ha cambiato rotta? Verrebbe da pensare che il Governo abbia avuto fretta di riportare i marò a casa per appuntarsi la “medaglia” sul petto prima di dimettersi. Ma gli esiti nefasti sulla credibilità internazionale del paese di una tale goffa operazione erano talmente prevedibili che questo pensiero deve essere senz’altro scacciato.
(1) http://www.esteri.it/MAE/IT/Sala_Stampa/ArchivioNotizie/Comunicati/2013/03/20130311_Maro_restano_in_Italia.htm.,11 marzo 2013.

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24 commenti

  1. Michele

    Buongiorno. Come pensa che la vicenda dei marò possa legarsi al recente scandalo delle presunte tangenti per la fornitura di elicotteri Augusta Westland all’india da parte di una società del gruppo Finmeccanica? Un “tira-molla” a doppio filo su quel versante e su quello dei marò sarebbe per lei da vedersi come possibile oppure è troppo fantasioso, visto che in ballo vi sono (altri) ingenti interessi economici privati ed un peggioramento dei rapporti tra i due Stati (ed in particolare un risentimento da parte dell’opinione pubblica Indiana) sarebbe fortemente pregiudizievole per questi? Distinti saluti.

    • pietro manzini

      Non sono a conoscenza di connessioni tra le due vicende, ma -dati i protagonisti- non mi sentirei di escluderle per il futuro.

  2. Rick

    Professore, dal punto di vista politico, non trova che quanto fatto per riportare i marò in Italia controbilancia l’inganno con cui l’Enrica Lexie è stata attirata a Kokhi? Poichè il fatto è avvenuto in acque internazionali, fin dall’inizio i marò non dovevano finire sotto custodia indiana.
    Dal punto di vista giudiziario, mi sembra di capire che ora gli indiani sono con le spalle al muro. Non possono con nessun mezzo legale riportare i marò in India, se andassero all’arbitrato internazionale prenderebbero torto e (speriamo) non arrivino a sequestrare il nostro ambasciatore.
    Che contromosse crede che possano prendere?

    • pietro manzini

      L’inganno della Enrica Lexie è un argomento che si può senz’altro spendere politicamente, mentre è debole giuridicamente. Ora è necessario cercare una soluzione negoziale onorevole per tutti. Tra gli elementi da utlizzare da parte Italiana vi è il processo ai marò, che va celebrato senza indugio dai ns. giudici.

  3. luciano

    Sinceramente mi sento molto a disagio perché il Governo mi rappresenta di fronte al mondo e mancare alla parola data è universalmente riconosciuto come uno di peggiori atteggiamenti che individuo possa assumere

  4. Francesco

    Oltre alle motivazioni di diritto che appaiono solide, come è possibile che dal 19 febbraio 2012, la Corte Indiana non sia stata in grado di giungere ad una decisione?

  5. AM

    L’Autore da per scontato che i 2 marò abbiano ucciso i 2 pescatori. Io invece pensavo che fossero innocenti dal momento che i militari italiani nelle missioni all’estero hanno sempre mostrato di non avere il grilletto facile come i militari di altri paesi. Pensavo che fossero ben catechizzati in proposito. In questo caso poi la gravità sarebbe maggiore dato che avrebbero sparato al altezza uomo per primi solo per il fatto che il peschereccio si trovava nelle vicinanze della nave. Senza attendere quindi un attacco con l’uso di armi da fuoco o un tentativo di arrembaggio. Se questa tesi corrispondesse alla realtà dei fatti ci troveremmo di fronte ad un caso sconcertante: 2 militari irrispettosi degli ordini, privi di preparazione e mal selezionati (mancanza di equilibrio mentale in situazioni di tensione).

  6. Davide

    Secondo me hanno avuto paura che il nuovo instabile Governo Italiano non sarebbe riuscito a far fronte e soprattutto assistere i due Marò. Col rischio che gli Indiani li potessero condannarli a morte. Secondo me hanno fatto bene a riportarli a casa. Il governo indiano avrebbe dovuto riconoscere da tempo che la questione non stava sotto la loro giurisdizione.

  7. fabrizio

    Nelle acque indiane c’erano due navi: la nostra e una SPAGNOLA. i pirati hanno attaccato la nostra ma vedendo che era presidiata dai militari che hanno sparato in alto hanno rinunciato. la nave spagnola era invece “protetta” da contractor, guardie giurate evidentemente non avvezze alle regole d’ingaggio e che alla vista del peschereccio hanno pensato ad un attacco e hanno sparato uccidendo i pescatori. gli apsagnoli hanno pensato bene di dileguarsi. la nace italiana è stata attirata in porto con l’inganno. guarda caso il peschereccio è affondato e i proiettili ritrovati non corrispondono alla dotazione dei marò. il tutto da fonti ben informate.

    • Alberto Baldazzi

      Mi sembra strano che quest dati, importantissimi se veritieri ,non siano apparsi da nessuna parte …in particolare l’osservazione sui proiettili.

  8. zaf

    non mi trovo daccordo sull’ immunita’ che l’india dovrebbe garantire ai maro’, in quanto “organi di un altro stato”.
    Mi pare che la questione dovrebbe essere regolamentata dalla convenzione di Vienna il cui articolo 4 afferma che non esiste un automatismo che permette al “sending state” di eleggere unilateralmente un elenco di individui a cui concedere l’immunita’, ma che tale stato deve assicurarsi che l”agrément” dello stato ospite sia stato garantito per tali individui. La parte 2 di tale articolo in particolare asserisce che lo stato ospite non e’ tenuto a fornire ragioni per la non conessione di tale status. Qui a meno che, le autorita’ italiane hanno in mano una dichiarazione delle autorita’ indiane che garantisce che i due maro’ godono di immunita’ diplomatica, non vedo come essi non possano essere considerati come semplici cittadini italiani.
    Mi sembra invece molto piu’ convincente l’applicazione della unclos, essendo il fatto avvenuto, per le autorita’ indiane, in zona contigua. quella credo sia la strada da percorrere.

    • pietro manzini

      L’immunità dei marò non è regolata dalla CV sulle immunità, ma dal diritto internazionale consuetudinario. La regola è pacifica e spesso riconfermata dalla ICJ.

    • klement

      Non solo, ma i militari erano affittati a un armatore nel suo interesse (altrimenti sarebbe stato lui pagato per il trasporto). E la missione antipirateria poi era al Corno d’Africa sull’altro lato dell’Oceano Indiano, quindi in India avrebbero comunque dovuto evitare l’uso di armi. La petroliera era italiana, ma il peschereccio indiano, quindi dove è avvenuto il fatto? E la sparatoria comunque non è un incidente come la collisione.
      L’arbitrato è vincolante solo se accettato preliminarmente da entrambi i paesi, e l’ha fatto solo l’Italia nel 1997. Perfino allo stadio urlano arbitro cornuto e lanciano bottiglie.
      L’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo sia per la lentezza dei processi che per le condizioni disumane delle carceri. Non avendo la pena di morte, Cucchi si è dovuto arrangiare

      • ANDREGARD

        È di dovere una correzione: la barca non era indiana e neanche iscritta nei registri della marina indiana. Il problema rimane però sempre il filmato originale indiano nel quale il capo pesca dichiara, sotto il controllo della polizia che era molto buio, le 21 e 30 e non hanno visto nulla, hanno sentito un gran rumore…ma…subito dopo l’arresto dei 2 marò magicamente erano dalle 16 alle 16 e 30, era giorno, non hanno sentito nessun rumore e avevano visto tutto. Da qui poi è partito il tutto. E qual’è l’unica nazione che avrebbe pagato prima di verificare l’accaduto. …ovvio…noi. In realtà 20.5 miglia sono mare contiguo, dove, per ammissione di più giudice indiani, l’India non ha giurisdizione penale! È comunque un gran pasticcio creato ad hoc e l’attuale situazione con la richiesta del l’inversione dell’onere delle prove pone in una situazione non credibilissima degli inquirenti indiani che hanno sempre spergiurato di aver prove inconfutabili…bo!

  9. Alberto Baldazzi

    Sono perfettamente d’accordo con l’analisi del Prof Manzini! Come lui sono assai rattristato da questo “vaudeville” giuridico attorno a un drammatico fatto i cui contorni sono ,per me, assai poco chiari .Ragione per cui sarebbe stato meglio meglio essere prudenti , come lo sono sempre gli inglesi e gli americani. Il “sequestro” dell’ambasciatore é la grande e stupida cafonata che ci porterà una grande solidarietà internazionale, che non credo sia del tutto meritata; né per quanto concerne i maro’ ,né per quanto concerne la nostra diplomazia.

  10. AM

    Ritengo i 2 marò innocenti anche per il fatto che, dopo il rientro in Italia, sono apparsi in foto sulla stampa accanto alle massime autorità dello Stato, quasi fossero degli eroi. Se vi fosse stato solo un dubbio di colpevolezza i nostri vertici, per un minimo di prudenza e di responsabilità, non avrebbero accettato di posare a fianco dei marò. Per inciso queste foto hanno generato irritazione in India.

    • Ivano Zatarra Terzo

      dici che i due marò hanno “suicidato” i due pescatori? Mettiti l’anima in pace. Su questo non c’è alcun dubbio. I due “eroi” italiani hanno ucciso i due pescatori indiani

  11. Antonio B.

    Interessantissimo e lucido articolo. Come è evidente l’India sin da principio si è comportata in modo da violare le regole del diritto internazionale e i diritti degli stessi marò. Il governo italiano si è mosso bene nel trattenere i propri militari ed anzi ha concesso troppo all’India in quanto tale netta presa di posizione andava assunta ben prima. Non saremo mai un grande Paese se non tuteliamo i diritti dei nostri connazionali (militari in questo caso) e se continueremo a farci calpestare da chiunque nella umiliante ricerca del solito “accomodamento all’italiana”.

  12. Ivano Zatarra Terzo

    Buonasera professore. Qui vedo un avvitamento di posizioni: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=878
    Mentre lei dimostra la debolezza delle “visioni” indiane, dall’altra la giustizia italiana, nel poco remoto 2008, confermava si quelle visioni, ma tentava anche di affermare un principio valido per il futuro. Mi pare poi di ricordare che l’India non riconosca la presenza di militari a bordo di navi mercantili. Se quindi nel caso Calipari si può parlare di immunità organica perché conseguente un’attività militare ritenuta da entrambe le parti (Italia e Stati Uniti) sovrana, nel caso indiano la questione appare più fumosa perché l’India non riconosce, appunto, la presenza di militari a bordo di navi mercantili. Se il “diritto internazionale” è tale quando è riconosciuto e condiviso dagli agenti internazionali coinvolti, diventa invece qualcosa di diverso quanto l’internazionalità del o di quello specifico diritto non è riconosciuta da uno dei soggetti sovrani. Quanto ci sono andato vicino. O lontano?

  13. Sembra che il Governo, quello italiano però, torni sui suoi passi. I maro’ partiranno infatti stasera alla volta dell’India. Deve essere accaduto qualcosa che ancora non è stato reso noto. Devo dire che nonostante la fumosa gestione della vicenda –che naturalmente interessa entrambi gli attori in gioco– la cosa si fa sempre più interessante.

  14. pietro manzini

    L’immunità organica è pacifica nel diritto internazionale per il solo fatto di essere ‘organi’ di uno Stato secondo le regole di quest’ultimo e a prescindere dal riconsocimento di altri Stati. L’avvitamento di posizioni è piuttosto nella decisione di rimandare i marò in India. Decisione che lascia senza parole. Immagino che questa sia la reazione anche dell’autorevole collega che lei cita e che ha commentato la vicenda qui: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2268

    • Spero pubblichi presto un nuovo articolo in modo da avere, se possibile, una visione più completa della situazione. Magari motivando le decisioni prese dal Ministro Terzi e dal Premier Monti. E’ evidente –almeno spero sia così– che nelle ultime ventiquattro ore deve essere accaduto qualcosa di nuovo e, forse, anche diplomaticamente e giuridicamente inedito. Sara un caso che “farà scuola”?.
      Buon lavoro

  15. Giorgio

    “Il problema originario della vicenda era costituito dall’individuazione di quale Stato, l’Italia o l’India, avesse giurisdizione
    sull’incidente, avvenuto a 20,5 miglia marine dalla costa indiana. Sul
    punto la posizione italiana appare più solida di quella indiana. […]”
    A me pare proprio il contrario. Se non c’è una giurisdizione terza, e quindi essa può essere solo italiana o indiana, non si capisce per quale motivo debba essere del paese dalla cui nave sono partiti i proiettili e non del paese nella cui nave sono arrivati uccidendo. I militari americani che compiono reati nei paesi nei quali sono stanziati, ad esempio in Italia o in Giappone o in Irak, non vengono processati in questi paesi non in nome di un preteso diritto internazionale consuetudinario ma in nome di precisi trattati, generalmente imposti. A Milano sono invece stati processati dei funzionari della CIA per il rapimento di Abu Omar e la CIA è certamente un’agenzia del governo degli Stati Uniti.

  16. ANDREGARD

    Qualche specifica:
    1-la barca dei pescatori non è indiana e neanche iscritta nel registro della marina indiana
    2-le 20,5 miglia sono nel mare contiguo dove, per stessa ammissione dei giudici che si sono rimpallati il processo, l’India non ha giurisdizione penale
    3-il capo pesca getta un’ombra di menzogna nelle sue dichiarazioni nel non ancora iniziato processo: nel filmato originale indiano afferma, spalleggiato dai poliziotti, che non ha (hanno) visto nulla, era buio, erano le 21,30, ha (hanno) sentito un grande rumore e ci sono 2 morti e nessun ferito. Bene, subito dopo l’arresto dei 2 marò il racconto diventa: erano poco dopo le 16, pieno giorno, nessun rumore, abbiamo visto tutto e da dove sparavano e anche io sono ferito e devo essere risarcito. Dopo questo io non sarei così sicuro che i marò abbiano sparato proprio a questi pescatori.
    4-risulta anche sospetto che non sia stata determinata l’ora del decesso, che in questi casi è la prima cosa che viene determinata dagli investigatori di tutto il mondo. I casi sono 2: o è stata evitata per qualche ragione o è segno di una certa incompetenza. Il risultato è uguale…anche le altre prove sono state determinate in modo molto approssimativo.
    5- per quanto riguarda la non esistenza dei pirati in Kerala cercate Kerala piracy…no pirati?

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