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Se la casa cerca credito

L’edilizia è spesso vista come un settore che può dare un forte contributo alla crescita del paese. Ma oggi le stime dicono che ci sono circa 340mila nuove abitazioni invendute. Anche perché le banche hanno praticamente bloccato la concessione di mutui. Gli strumenti per cambiare la situazione.
IL MERCATO DELL’INVENDUTO
Da più parti si affida al settore dell’edilizia un ruolo primario per la crescita economica e dell’occupazione nel nostro paese. Il sostegno al mercato dell’edilizia abitativa può rivelarsi particolarmente efficace, considerando che vi sono impiegate principalmente risorse private e che quello della casa è il problema la cui soluzione è una priorità per le famiglie.
Gli investimenti in questo segmento fanno segnare un andamento negativo dal 2007. Quello che accadrà nel futuro prossimo è condizionato dall’eredità della situazione di mercato che si è determinata in questi anni di crisi e dalle iniziative che si riuscirà ad attivare per superarla.
Il mercato della casa è caratterizzato dall’esistenza di un ampio stock di alloggi invenduti: è da qui che può venire un contributo alla ripresa, in coerenza con l’obiettivo, ormai condiviso, di contenere la trasformazione di terreno agricolo in suoli edificabili.
Non esistono, o almeno non sono a nostra conoscenza, stime convergenti sulla dimensione di questo fenomeno. Per definirne l’ordine di grandezza possiamo prendere a riferimento la serie storica dei permessi di costruire, distribuiti per soggetti che li hanno richiesti, prodotta dall’Istat per gli anni dal 2003 al 2010. Il loro numero ha iniziato a ridursi dal 2006, con una forte accelerazione dal 2008.
Per la stima del numero di alloggi invenduti, la fine della serie al 2010 non ha rilevanza, considerato che i tempi medi di costruzione si aggirano sui ventiquattro mesi. Ai fini di una stima di massima del numero di nuovi alloggi invenduti abbiamo ipotizzato che: 1) siano destinati al mercato solo gli alloggi costruiti da imprese e cooperative; 2) il numero delle abitazioni costruite costituisca una percentuale di quelle per le quali si è ottenuta la concessione, oscillante tra il 100 per cento del 2003 e il 65 per cento del 2010, con un fattore di riduzione del 5 per cento all’anno; 3) gli alloggi vengano offerti in vendita a partire dal terzo anno successivo a quello della concessione; 4) per vendere l’intero stock di nuovi alloggi offerti ogni anno a partire dal 2006 occorrano otto anni, con una vendita annua pari a un ottavo.
Sotto queste ipotesi si può stimare un numero di abitazioni invendute intorno alle 340mila, di cui 310mila di imprese e 30mila di cooperative. Ovviamente, modificando le ipotesi di partenza, cambiano anche i risultati: facendo oscillare la percentuale del punto 2) tra 85 e 50 per cento, lo stock invenduto si riduce di 70 mila unità; invece, lo stock invenduto aumenterebbe allungando il periodo di vendita. L’entità resterebbe comunque rilevante, conseguenza della debolezza della domanda effettiva, riconducibile a un insieme di fattori, tra i quali è prioritario quello dell’accesso al credito, come attestano i dati sull’andamento negativo dei finanziamenti ipotecari.
IN ATTESA DEI BOND CASA
Gli istituti di credito hanno stretto i cordoni della borsa sia per le imprese di costruzione sia per i privati che vogliono acquistare le abitazioni. Nei confronti delle prime non vogliono aumentare la loro esposizione, ma manifestano anche una scarsa propensione a concedere mutui alle famiglie il cui reddito è sufficientemente elevato per poter far fronte senza problemi al servizio del debito. Una parte dei mutui per le famiglie si configura come l’accollo all’acquirente di una quota di un finanziamento già concesso all’impresa costruttrice. Anche in questi casi, che comportano un frazionamento del rischio, le banche sono restie a concedere i mutui.
Ai comportamenti degli istituti di credito può essere mosso più di un rilievo, ma riflettono, da un lato, una oggettiva difficoltà di provvista dei capitali di durata adeguata a quella dell’ammortamento dei mutui e, dall’altro, il timore di appesantire i bilanci di ulteriori crediti in sofferenza.
Ormai da alcuni mesi ministero del Sviluppo, Abi, Ance e Cassa depositi e prestiti hanno annunciato iniziative per favorire le famiglie nell’acquisto delle abitazioni, come la emissione di obbligazioni per raccogliere capitali da trasformare in mutui e la concessione, alle banche, di garanzie aggiuntive alle ipoteche iscritte sugli immobili.
I risultati di quel lavoro tardano e non si sa quando arriveranno. Nel frattempo una spinta al mercato potrebbe derivare dall’utilizzo di altri strumenti.
QUELLO CHE C’È
La Cassa depositi e prestiti, il ministero delle Infrastrutture, le fondazioni bancarie e altri soggetti hanno costituito il Fondo investimenti per l’abitare (Fia), con una dotazione superiore ai 2 miliardi di euro, per sostenere i programmi di edilizia residenziale sociale. Malgrado un’intensa attività promozionale, non sono molte le iniziative locali che hanno richiesto di utilizzare le risorse. La crisi ha inciso negativamente anche sull’edilizia residenziale sociale, le cui prospettive sono legate alla generale ripresa del settore dell’edilizia abitativa.
Il Fia ha ancora risorse “libere” per almeno 1,5 miliardi di euro, difficilmente impiegabili nel breve termine. Con questa cifra si potrebbe, ora, fare provvista per le banche vincolata alla concessione di mutui fondiari. I piani di ammortamento potrebbero essere formulati in modo tale da rendere il più celere possibile la restituzione del capitale.
Senza una garanzia accessoria all’ipoteca, la sola disponibilità della necessaria liquidità non è, però, sufficiente a convincere le banche a concedere i mutui alle famiglie. Per la copertura del rischio d’insolvenza degli acquirenti nel pagamento delle rate, si potrebbe ipotizzare un migliore impiego del fondo istituito (comma 3bis articolo 13 legge 133/2008) per favorire l’accesso al credito delle giovani coppie, attraverso il rilascio di garanzie fideiussorie. (1) Attualmente quel fondo ha una dotazione di 50 milioni di euro e opera con un moltiplicatore 10, cioè può garantire fino a 500 milioni di euro. A settembre dello scorso anno le domande ammesse erano centoundici per un importo complessivo di circa 10 milioni di euro, ma le operazioni garantite erano quarantacinque per 5 milioni di euro. La scarsa operatività di questo strumento è dovuta anche a errori di progettazione della policy che dovrebbe contribuire a realizzare e ai troppi vincoli operativi che rischiano di renderlo di fatto inutilizzabile.
Incrementare la dotazione del fondo di un centinaio di milioni (non certo un grande sforzo per le finanze pubbliche) consentendone l’accesso a tutti gli acquirenti e non solo alle giovani coppie, e chiedere alle banche un raddoppio del moltiplicatore potrebbe accrescere la produttività di risorse pubbliche per ora di fatto ibernate.
LE CARE, VECCHIE, CARTOLARIZZAZIONI
Sono, queste, ipotesi non certo risolutive, ma con il merito di una fattibilità in tempi relativamente brevi e di un positivo effetto “segnaletico” in un settore cruciale per la nostra economia.
Occorre, però, anche guardare, con un po’ di coraggio, verso nuovi orizzonti nei quali il pubblico può giocare un ruolo determinante. Sfidando una ostilità, legata più alla evocazione narrativa che alla realtà dei fatti, Fannie Mae e Freddie Mac, le famose Government –sponsored entities (Gse) statunitensi, possono rappresentare un buon punto di riferimento. Le due agenzie governative, con il compito di acquistare mutui successivamente cartolarizzati, portano la croce addosso come uno dei maggiori responsabili della crisi dei subprime per aver favorito il credito facile e irresponsabile attraverso il noto meccanismo originate and distribute. Ma, come testimoniano recenti ricerche, da un lato quel meccanismo si è messo in moto quando le cartolarizzazioni si sono progressivamente spostate verso i private-label, e cioè i veicoli privati creati dalle banche di investimento, dall’altro la situazione è degenerata per successivi interventi regolamentari che hanno consentito alle Gse di derogare a una disciplina che consentiva l’acquisto dei mutui secondo rigorosi criteri di selezione. (2) Adesso, salvate dallo Stato, stanno restituendo i finanziamenti ricevuti con un anticipo sulla tabella prevista.
Seguendo il vecchio detto, non buttiamo via il bambino con l’acqua sporca: la securitization non è la madre di tutte le disgrazie, ma uno strumento che, correttamente utilizzato, può rientrare a tutti gli effetti nella tastiera degli interventi pubblici per favorire l’accesso ai mutui. E visto che da noi il problema non è tanto quello di favorire, ma di riaprire un rubinetto ormai chiuso (v. C. Milani, Il mutuo, sempre più un miraggio, su www.lavoce.info) che potrebbe avere positivi effetti a catena sulla agognata crescita, le care vecchie cartolarizzazioni possono essere utili.
 
(1) Per un approfondimento vedi R. Lungarella, Le politiche statali e regionali per l’autonomia abitativa dei giovani, in G. Cordella , S.E. Masi., Condizioni giovanili e nuovi rischi. Quali politiche?, Carocci editore, Roma, 2012.
(2) A. Levitin, S.M. Wachter, Explaining the Housing Bubble, in The Georgetown Law Journal, 2012, p. 1183, disponibile anche su www.ssrn.com
 
 
 

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Il Punto

  1. Laura Invernizzi

    Non credo che l’edilizia possa di nuovo essere il volano della ripresa economica dal momento che gli appartamenti costruiti devono poi essere acquistati e da chi se la disoccupazione giovanile è così elevata , il lavoro giovanile è soprattutto precario per cui le banche non erogano mutui se non si ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato e non sempre i genitori possono o vogliono controfirmare per il mutuo del figlio essendosi abbassate anche le pensioni . Il volano della ripresa è il lavoro che va creato per tipo di offerta e per numero di posti soprattutto facendo arrivare in Italia investitori e imprenditori stranieri creando condizioni fiscali perchè creino posti di lavoro . Non come il gasdotto inglese che dopo quasi 12 anni di attesa per procedure burocratiche in Puglia abbandona il progetto e quindi non fa più nulla compreso i posti di lavoro che si sarebbero creati!Siamo proprio sicuri che solo gli Italiani siano capaci di fare gli imprenditori qui ? I nostri delocalizzano anche appena fuori dai confini per le più vantaggiose condizioni fiscali creando lavoro per gli stranieri e noi siamo qui che arranchiamo per colpa di una classe politica concentrata solo sui propri interessi la conservazione dei propri benefici e gli altri si arrangino

  2. Marco Spampinato

    Quello che veramente non comprendo è come mai lavoce.info insista nel pubblicare solo contributi favorevoli alla ripresa della domanda nel settore dell’edilizia privata. E’ evidente che gli autori di questi articoli non usano bene l’informazione statistica, che se ben utilizzata dimostra inequivocabilmente che l’Italia ha puntato sin troppo su questo settore nel decennio 2000. Se gli autori usano male le serie storiche (troppo brevi!!) possono dimostrare ciò che vogliono, ovviamente. La realtà è diversissima. Ciò a cui assistiamo è il NECESSARIO ridimensionamento di un comparto che non può avere alcuna ambizione di guidare (tantomeno da solo) la crescita di un paese troppo “avanzato” per puntare su questi driver di “sviluppo” (non è sviluppo in realtà). Se la voce.info mi assicura di non censurarlo, posso impegnarmi a scrivere un articolo con indicatori semplici (che tutti o quasi possono comprendere) sul come si “vede” la bolla edilizia in Italia, anche guardando alle consguenze su altri comparti (banche e industria).
    Una anticipazione: le banche in Italia hanno finanziato un mare di mutui da costruzione e di mutui per l’acquisto di case! Ora dovremmo preoccuparci di salvarle dal matrimonio con costruttori che non hanno più mercato?
    Ci sono altre soluzioni per dare una casa a chi la cerca. La prima è tassare le case che i proprietari non usano (dalla seconda in poi) in maniera progressiva, cosicché questi trovino conveniente venderle, riducendo le loro pretese sul prezzo. Che si riducano i prezzi (e complessivamente la rendita non produttiva) è un bene per i giovani che vogliono comprare senza accollarsi mutui troppo onerosi. Mutui elevati (in prop. al reddito) determinano effetti pericolosi sulla loro vita: se si pagano mutui troppo alti i soldi non sono sufficienti per molte altre spese necessarie: sanità, istruzione per sé e per i figli, e consumi di tutto ciò che “conta” e che si vuole.
    Il mio punto non è solo fare una corretta informazione (che già sarebbe meglio che la disinformazione imperante in Italia), ma anche promuovere una analisi economica nell’interesse (di breve e lungo termine) di chi ha di meno: cioè di chi ha più bisogno di una cultura economica meno servile verso gli interessi più forti, o meglio rappresentati.

  3. Le banche non finanziano mutui, così si comprano molte meno case, il mercato scende e ugualmente diminuisce il valore delle garanzie immobiliari della banche, che così riducono ancora i mutui…….
    Un perfetto circolo vizioso
    Sono completamente d’accordo con le conclusioni dell’articolo, ma mentre si aspetta un governo degno di questo nome ( e mi sa che dovremo attendere molto vista l’arroganza della nuova partitocrazia), forse le banche potrebbero metterci un freno se avessero un pò più di fiducia nei loro correntisti.
    Chi ha rapporti con il mercato è pieno di esempi di persone oneste, con un lavoro che non riescono ad ottenere un mutuo.
    La prudenza e la serietà sono una cosa, la grettezza che si vede in giro un’altra.

  4. Giuseppe CUSIN

    Condivido pienamente il commento di Marco Spampinato, in particolare la proposta sull’imposizione delle case sfitte. In questo momento sulle case sfitte non si paga l’imposta sul reddito, rendendo meno conveniente dare in locazione una casa e incentivando l’evasione fiscale se la casa è data in locazione.

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