Dopo i ritardi nella consegna dei vaccini nei primi mesi del 2021, la Commissione europea ha reagito prima con il divieto d’esportazione e poi annunciando un’azione giudiziale contro AstraZeneca. Il rischio è che si traduca in una tardiva prova di forza.

La strategia europea per la fornitura dei vaccini anti Covid-19

La strategia europea per la negoziazione e la distribuzione dei vaccini coinvolge tutti i livelli istituzionali all’interno dell’Unione. Al primo livello, la Commissione europea negozia, conclude e co-finanzia (d’intesa con gli stati) gli accordi per la produzione e la fornitura dei vaccini. Al secondo livello, gli stati acquistano le dosi secondo i quantitativi e le condizioni fissate negli accordi. Al terzo livello, in Italia, il commissario straordinario per l’emergenza, la Conferenza stato-regioni e le varie articolazioni del sistema sanitario cooperano nella ripartizione e somministrazione delle dosi, secondo le direttrici del Piano Vaccinale anti Covid-19.

Sembrerebbe una strategia vincente: al tavolo delle trattative siede un committente forte, in grado di far valere la forza negoziale di tutti gli stati dell’Unione, i quali rimangono autonomi nella pianificazione dell’utilizzo dei vaccini.

Qualcosa, però, non ha funzionato. Molte clausole degli accordi conclusi con le imprese (su aspetti quali tempi di consegna, manleva della responsabilità, obblighi di indennizzo ed altri elementi essenziali) dimostrano che le trattative si sono svolte in situazione di disparità, a svantaggio della Commissione, quasi necessitata ad accettare condizioni che, in circostanze normali, probabilmente non avrebbe sottoscritto.

Questo non significa che la strategia fosse sbagliata, era – ed è – difficile pensare che un solo stato, negoziando direttamente con le imprese farmaceutiche, avrebbe potuto far valere leve contrattuali più efficaci. Non a caso, si era scelto un committente forte, per disponibilità economica, conoscenze tecniche, relazioni col settore farmaceutico. Non si dimentichi che la Commissione ha negoziato l’acquisto di oltre 2,6 miliardi di dosi vaccinali, nell’ambito di una serie di commesse tra le più rilevanti (sotto il profilo economico e quantitativo) a livello mondiale.

Nel momento negoziale si sarebbe comunque potuto fare di meglio. Ad esempio, si sarebbe potuta riservare maggiore attenzione alla fase di esecuzione, stabilendo forme di pagamento in grado di equilibrare meglio i rischi, ovvero sistemi di bonus correlati alla effettiva distribuzione del maggior numero possibile di dosi. Al contempo, l’uso di clausole come quella del best reasonable effort non ha impedito ritardi indesiderati nella consegna dei vaccini.

Per altro, che le trattative non fossero semplici era intuibile, tenuto conto del contesto caratterizzato da tensione competitiva globale, dalla necessità di sviluppare in tempi brevi vaccini nuovi, sicuri e in grandi quantità, dalla presenza di pochi e grandi fornitori (per lo più multinazionali extra europee), dall’emergenza sanitaria e dalla crescente pressione sociale. Non si è trattato soltanto di negoziare l’acquisto di prodotti esistenti, ma di investire sullo svolgimento di attività necessarie a sviluppare vaccini che non esistevano e a sperimentarne l’efficacia (secondo standard di sicurezza propri del committente).

I ritardi nelle consegne e le reazioni della Commissione

Il tema della produzione e della consegna tempestiva dei vaccini è decisivo per completare in tempi rapidi la vaccinazione della popolazione, tenuto conto anche della comparsa delle varianti del Covid-19.

A seguito dei ritardi nelle consegne agli stati europei, emersi con particolare evidenza nel primo trimestre 2021 da parte di tutti i produttori dei vaccini finora autorizzati (BioNTech-Pfizer, Moderna, AstraZeneca, Janssen Pharmaceutica), si è resa manifesta una situazione paradossale: i termini pattuiti non vengono rispettati nonostante gli stabilimenti presenti nell’Ue costituiscano una delle principali fonti di produzione dei vaccini per tutto il mondo, con destinazione soprattutto verso Regno Unito, Canada, Messico, Giappone, Arabia Saudita, Hong Kong, Singapore, Stati Uniti, Cile e Malaysia.

Leggi anche:  Elezioni europee: anatomia dell'affluenza

La situazione ha portato la Commissione ad adottare con urgenza, a fine gennaio 2021, un regolamento che subordina l’esportazione dei vaccini prodotti negli stati membri al preventivo rilascio di un’autorizzazione. In dettaglio, il regolamento stabilisce che l’autorizzazione viene accordata “solo se il volume dell’esportazione è tale da non costituire una minaccia per l’esecuzione degli accordi conclusi dall’Unione con i produttori di vaccini”. In mancanza dell’autorizzazione, l’esportazione è vietata (Vaccine dispute: Great Britain wants to avert export ban; Ue, von der Leyen: AstraZeneca rispetti le consegne o bloccheremo le esportazioni; Ue: contatti con Londra su stop a esportazione dosi AstraZeneca da sito produttivo in Olanda).

L’Italia è stato il primo Stato dell’Unione ad applicare il regolamento, vietando, a inizio marzo 2021, l’esportazione di 250mila dosi di vaccino AstraZeneca, imballate nello stabilimento di Anagni (Frosinone) e destinate all’Australia.

Quello dei ritardi è un tema delicato non solo perché causa l’allungamento dei programmi nazionali di vaccinazione, ma anche perché mina la fiducia sull’operato delle istituzioni europee, come dimostrano i sondaggi realizzati a dicembre 2020 (The EU and the coronavirus outbreak; Public opinion on Covid-19 vaccination in the EU). Il rischio è che si metta in discussione uno dei punti centrali della strategia europea, ovverosia l’essere basata su un approccio comune e su trattative centralizzate, magari invocando il “successo” del modello inglese, attuato post Brexit, gestito somministrando principalmente dosi di vaccino prodotte dalla multinazionale AstraZeneca in collaborazione con l’università di Oxford.

La causa giudiziale contro AstraZeneca

È difficile dire se le ragioni della causa giudiziale contro AstraZeneca, annunciata dalla Commissione europea (con l’accordo di tutti gli stati membri), siano motivate dai ritardi, dall’aver privilegiato stati extra-europei nella consegna dei vaccini, a partire dall’Inghilterra, o dall’insufficienza delle giustificazioni sul mancato incremento dei ritmi di produzione.

L’accordo stipulato (di seguito il “contratto”) prevede che le eventuali controversie saranno rimesse a un previo tentativo di composizione stragiudiziale tra AstraZeneca e la Commissione (art. 18.5 del contratto) per poi essere devolute, in caso di esito negativo, alla cognizione esclusiva delle courts located in Brussels, con applicazione della legge belga (art. 18.4 del contratto).

Nell’ipotesi in cui le parti non dovessero raggiungere un accordo stragiudiziale, il Tribunale di Bruxelles (o meglio, il Tribunale commerciale trattandosi di causa avente a oggetto un contratto commerciale di fornitura) sarà chiamato a decidere sulla controversia probabilmente volta ad accertare l’inadempimento contrattuale e il danno subito dalla Commissione (e per l’effetto dagli stati membri) a causa dei ritardi e cancellazioni operati da AstraZeneca.

Il giudice belga dovrà quindi affrontare il tema molto delicato della configurazione del possibile inadempimento contrattuale di AstraZeneca nell’ambito del perimetro interpretativo definito dalla clausola di best reasonable efforts. Dal contratto emerge, infatti, che l’azienda si impegna a “fare del suo meglio” (rectius: intraprendere ogni azione prudente, risoluta e ragionevole) per sviluppare la capacità di produrre 300 milioni di dosi. La clausola “best reasonable efforts” dovrebbe determinare l’intensità dello sforzo che l’azienda è tenuta compiere per conseguire il risultato finale. Si tratta di una clausola dal contenuto vago, per la quale le precisazioni specifiche contenute nel contratto non offrono indicazioni nette sulla portata dell’obbligazione assunta dall’azienda. La conseguenza si può rappresentare in questi termini: se l’azienda “fa del suo meglio” ma non raggiunge il risultato, potrebbe non essere considerata inadempiente.

Leggi anche:  Il Patto che non c'è*

È evidente che la clausola, di chiaro stampo anglosassone, dovrà essere interpretata alla luce dei principi di diritto civile propri della legge belga e decisamente assonanti con i principi espressi dal nostro codice civile, ove predomina il principio dell’assenza di colpa del debitore per esimere lo stesso da responsabilità contrattuale.

A questo punto, il tema dell’accertamento dei best reasonable efforts richiesti ad AstraZeneca non potrà che essere condotto attraverso una consulenza tecnica che il giudice belga dovrà disporre, auspicabilmente su istanza della Commissione, per determinare, con l’ausilio di un tecnico, se e quando AstraZeneca abbia violato il contenuto del precetto negoziale volto a definire i best reasonable efforts con particolare riguardo all’applicazione dell’articolo 5 del contratto, ai sensi del quale: “AstraZeneca farà del suo meglio per produrre le dosi iniziali destinate all’Europa all’interno dell’Ue e per consegnarle ai centri di distribuzione, sulla base dell’autorizzazione all’immissione in commercio dell’Ue“.

In sostanza, il giudice belga, alla luce della propria legge, dovrà valutare se sussista una responsabilità contrattuale di AstraZeneca per non aver fatto quanto possibile per evitare, senza sua colpa, un danno alla committente. E per l’appunto l’assenza di colpa ci sarà nei limiti in cui il consulente tecnico sia stato in grado di accertare che AstraZeneca si è comportata con quel grado di sforzo che un’azienda di dimensioni simili (…) dovrà intraprendere o utilizzare nello sviluppo e nella produzione di un vaccino, nella fase di sviluppo o commercializzazione pertinente, tenuto conto dell’urgente necessità di un vaccino che metta fine a una pandemia globale che provoca gravi problemi di salute pubblica, impone restrizioni alle libertà personali e ha effetti economici in tutto il mondo, ma tenendo conto della sua efficacia e sicurezza“: è questa la definizione di best reasonable efforts presente nel contratto.

Tutto ciò fa comprendere il grado di aleatorietà del giudizio che la Commissione pare stia per intraprendere contro AstraZeneca, tanto più se si considera che non sono stati previsti contrattualmente termini di consegna perentori ma semplicemente approssimativi (letteralmente “approximately” ai sensi dell’articolo 5.1 del contratto).

In conclusione, l’utilizzo da parte dei negoziatori di AstraZeneca del concetto di best reasonable efforts, e la sua definizione in termini altrettanto generici e per nulla univoci, non potrà che rendere particolarmente difficoltoso, sul piano giudiziario, l’accertamento della responsabilità contrattuale di AstraZeneca, ma non per questo impossibile. In vero non si può escludere che lo sforzo messo in atto da AstraZeneca potrà risultare insufficiente rispetto alla straordinarietà della situazione. Ma anche tale valutazione dovrà scontare la determinazione tecnica del consulente del giudice, ancorata inevitabilmente a parametri obbiettivi sindacabili dai consulenti di parte che i contendenti nomineranno, ma che il giudice farà propri.

La responsabilità contrattuale di AstraZeneca comunque non potrà ricevere protezione dall’applicazione di interpretazioni mutuate dalla common lawal concetto di best reasonable efforts, dovendo il giudice civile belga applicare, nel caso di specie, solo la propria legge.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Elezioni europee: anatomia dell'affluenza