Le piogge torrenziali sulle città diventano sempre più comuni e intense, così come le ondate di caldo. Accusare i sindaci per i danni risolve poco. È invece necessaria una politica di adattamento ai cambiamenti climatici a tutti i livelli di governo.

“Piove, comune ladro”

Gli allagamenti e gli altri danni causati da piogge torrenziali come quelle che hanno colpito alcune città italiane nei giorni scorsi vengono sistematicamente strumentalizzati per fare campagna elettorale. Le accuse ricadono puntualmente sulle amministrazioni in carica ma, nel corso del tempo, le classi politiche si trasformano con disinvoltura da accusatori in accusati e viceversa, quando si alternano tra maggioranza e opposizione.

In questo valzer cieco che si ripete ciclicamente, spesso ci si dimentica che lo stato delle città è il prodotto di decenni di urbanizzazione selvaggia, cementificazione e impermeabilizzazione del suolo, le cui responsabilità sono trasversali agli schieramenti e alla società civile. E ci si dimentica del tutto che, ormai da molti anni, il mondo muta velocemente a causa dei cambiamenti climatici: la manutenzione delle strade, dei canali di scolo o delle fogne, sebbene necessaria, non è sufficiente a risolvere il problema. Bisogna fare di più.

Poca attenzione alle politiche di adattamento

L’Ipcc, il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite per la valutazione del cambiamento climatico, sottolinea da tempo che molti mutamenti osservati negli ultimi cinquanta anni sono senza precedenti. Vi sono compresi il surriscaldamento dell’atmosfera e degli oceani, lo scioglimento dei ghiacci, l’aumento nel livello dei mari e il notevole incremento delle piogge torrenziali in varie parti del globo. Non a caso, nelle scorse settimane, eventi estremi come le cosiddette “bombe d’acqua” si sono verificati non solo a Roma e a Milano, ma in simultanea in Campania, in Belgio, in India, in Arabia Saudita e fino in Australia. Le piogge torrenziali diventeranno sempre più comuni e intense nelle nostre città, mentre le ondate di caldo saranno sempre più frequenti e durature. È dunque urgente una politica seria e integrata di adattamento ai cambiamenti climatici a tutti i livelli di governo, dal nazionale al locale.

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Nonostante la gravità della situazione, sull’adattamento ai cambiamenti climatici si fa ancora troppo poco e non è un problema solo italiano. Per esempio, come evidenziato in uno studio condotto di recente per il Parlamento europeo, nel periodo 2014-2020, fatte 100 le risorse Ue per la coesione socio-economica e territoriale dedicate al clima, meno del 20 per cento è stato destinato alle iniziative di adattamento ai cambiamenti climatici. L’80 per cento è stato utilizzato per promuovere efficienza energetica e fonti rinnovabili.

L’Italia ha un territorio particolarmente vulnerabile non solo alle piogge torrenziali, ma anche a siccità, innalzamento del livello dei mari o erosione costiera, eppure ha fatto poco rispetto ad altri paesi che, nonostante siano meno esposti, hanno dedicato fino al 50 per cento dei fondi per il clima a interventi di adattamento (figura 1). Se consideriamo i programmi operativi italiani finanziati dal Fesr-Fondo europeo di sviluppo regionale (figure 2 e 3), possiamo osservare che solo alcuni enti hanno dedicato una fetta significativa di risorse all’adattamento ai cambiamenti climatici. Alcune regioni non se ne sono preoccupate, nonostante abbiano territori indifesi, esposti a innalzamento del livello delle acque, erosione e altri rischi naturali.

Il cambio di passo necessario

Che la scarsa attenzione al problema sia fonte di preoccupazione lo dimostra anche il fatto che l’Ue ha adottato a febbraio 2021 – e approvato qualche giorno fa – una nuova strategia di adattamento al cambiamento climatico. Nasce dalla necessità di prepararsi agli effetti inevitabili del surriscaldamento globale. I cambiamenti climatici sono infatti un processo cumulativo. Anche se cambiassimo le nostre abitudini oggi, per esempio abbandonando i combustibili fossili e riducendo radicalmente le emissioni di gas a effetto serra, dovremmo comunque fare i conti con l’eredità del passato in termini di concentrazione di CO2 e di altri gas climalteranti nell’atmosfera. Ciò rende le politiche di adattamento essenziali, da affiancare a quelle di mitigazione che l’Ue persegue con azioni per ridurre le emissioni.

Ora, il Green Deal, la strategia europea per la sostenibilità, l’ambiente e il clima, e le risorse del Recovery Fund possono dare un forte impulso all’adattamento, ma bisogna attrezzarsi adeguatamente per cogliere le opportunità. È necessario accelerare, a tutti i livelli di governo, definendo interventi per migliorare il monitoraggio dei rischi e rafforzare la resilienza rispetto alle conseguenze di nubifragi, ondate di caldo o siccità, per fare solo alcuni esempi.

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Una possibilità è integrare, non a parole ma con i fatti, l’adattamento, a livello locale, nei Piani di azione per l’energia sostenibile (Paes) elaborati nel contesto del Patto dei sindaci, e a livello regionale, nelle strategie per lo sviluppo sostenibile, oppure definire roadmap specifiche per l’adattamento.

Qualunque sia l’approccio di ciascuna amministrazione, è fondamentale calendarizzare con urgenza azioni concrete, se si vogliono prevenire i danni invece che contare le vittime dopo una catastrofe naturale. I proclami e lo scambio di accuse tra i politici non fermeranno le piogge torrenziali e le inondazioni, che si ripresenteranno puntuali nei prossimi mesi.

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