La novità più importante della riforma del pubblico impiego è l’introduzione della “progressione verticale” per l’accesso alla qualifica dirigenziale. Ma una procedura guidata e riservata al personale già dipendente si presta a condizionamenti.
Cos’è la progressione verticale
Si schiudono le porte alla carriera dirigenziale nel pubblico impiego, ma attraverso percorsi che non paiono esattamente rispondenti al “merito”, pur considerato il faro della riforma voluta dal governo Draghi.
La novità essenziale consiste nell’introduzione della “progressione verticale” come sistema di accesso alla qualifica dirigenziale. Per inquadrare esattamente la questione, ricordiamo che finora l’accesso alla dirigenza di ruolo, con contratto a tempo indeterminato, avveniva esclusivamente a seguito del superamento di un concorso pubblico, aperto a quei funzionari che avessero maturato almeno cinque anni di lavoro nella qualifica immediatamente precedente a quella dirigenziale.
Cos’è la “progressione verticale”, o, come scritto nella norma, “progressione fra aree”? Non un concorso pubblico aperto a tutti, ma una prova selettiva esclusivamente riservata al personale ai vertici della qualifica di funzionario già dipendente dell’ente.
La progressione verticale, quindi, si ottiene in primo luogo mediante un percorso selettivo estremamente abbreviato, nel quale la competizione tra candidati è estremamente ridotta, se non nulla, a differenza di quanto avviene mediante il concorso pubblico o per effetto della selezione col corso-concorso gestito dalla Scuola nazionale dell’amministrazione.
Già questo primo elemento evidenzia un rischio molto forte della valutazione qualitativa e del “merito” dei possibili candidati, che accedono eventualmente alla qualifica dirigenziale in assenza di una competizione ampia, ma con un percorso “protetto” e sostanzialmente guidato.
Non vi sarebbe troppo da storcere il naso: nelle aziende private è normale far crescere i dipendenti con un percorso mirato. Non bisognerebbe però dimenticare mai che il principio generale dell’accesso agli impieghi pubblici mediante concorso pubblico, posto dall’articolo 97 della Costituzione, pur derogabile, presidia due specifici interessi generali. Il primo: garantire la selezione dei migliori tra il più possibile ampio lotto di scelta; il secondo: garantire quanto più possibile imparzialità e terzietà delle scelte, fattori che contribuiscono ulteriormente a valorizzare il merito.
Il condizionamento politico
Restringere la selezione al personale interno non solo riduce la competizione, ma espone al molto concreto rischio dell’ingerenza politica sul percorso di carriera, in particolare negli enti nei quali questi condizionamenti sono estremamente forti: enti locali, aziende sanitarie locali, regioni, ministeri. Qui, i percorsi di ascesa verso funzioni dirigenziali maggiormente adiacenti agli organi decisori politici potrebbero essere fortemente condizionati proprio da un imprinting politico.
Anche perché, oggettivamente, la formula normativa per “selezionare” i funzionari interni non sembra essere eccessivamente improntata alla rigorosa valutazione delle capacità dei funzionari. È scritta in modo da rendere amplissimi i margini di discrezionalità, fino quasi all’arbitrio. Si prevedono, infatti, procedure comparative (cosa diversa dai concorsi) bandite dalla Scuola nazionale dell’amministrazione; la comparazione avverrà tra candidati interni, sulla base:
a) della valutazione connessa all’attività svolta, ai titoli professionali, di studio o di specializzazione ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso alla qualifica dirigenziale (la laurea);
b) della tipologia e del numero degli incarichi rivestiti, con particolare riguardo a quelli inerenti agli incarichi;
c) della valutazione delle capacità, attitudini e motivazioni individuali. A tal fine, i bandi definiscono le aree di competenza osservate e prevedono prove scritte e orali di esclusivo carattere esperienziale, finalizzate alla valutazione comparativa e definite secondo metodologie e standard riconosciuti.
È evidente che elementi totalmente soggettivi di valutazione, come le motivazioni individuali, o situazioni soggettive, come l’aver rivestito specifici incarichi, lasciano larghissimi margini per la predeterminazione della scelta della persona. Sin dalla stessa attribuzione degli incarichi, utili per la costruzione del percorso prefissato.
Se si aggiunge che la riforma liberalizza anche la “mobilità volontaria”, cioè la possibilità per i dipendenti pubblici di trasferirsi da un ente all’altro senza che quello di appartenenza possa negare il trasferimento, il rischio di percorsi di carriera “pilotati” è ancor più evidente.
Per esempio, un comune di piccole dimensioni il cui sindaco sia nella sfera di un maggiorente di partito “più in alto” può assumere un dipendente con i percorsi selettivi molto semplificati, ma anche molto impoveriti (basta uno scritto e un orale). In quel piccolo ente, con poche competenze ed estensione, basta poi assicurare incarichi e valutazioni positive a profusione, agevolare il trasferimento verso l’ente di più ampie dimensioni nel quale opera il “maggiorente” di partito che voglia assumere dirigenti mediante “progressione verticale” e quindi preparare il terreno. I titoli formalmente potrebbero esservi tutti, la motivazione anche, la concreta esperienza e capacità risulterebbero non comprovabili, ma solo formule arcane. Come, del resto, quelle delle prove scritte e orali “di esclusivo carattere esperienziale”: non mirate, quindi, all’approfondimento delle competenze e conoscenze, ma a non ben chiari elementi dell’esperienza acquisita, valutabili come l’oro, in modo molto duttile e malleabile.
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Savino
I corsi concorsi sono più meritocratici e formativi
Teresa
Sono politici.punto
EB
Non sono affatto d’accordo. Invece, la valutazione dei titoli e del lavoro svolto solo i SOLI criteri oggettivi di valutazione.
Angelo Bonaldi
Concorso attraverso selezione anonima. Altroché la selezione meritocratica tanto cara alla politica
Loenzo
Ottimo e magari gestione tramite IA.
Luca
Dopo 20 anni di esperienza e certificazioni positive da chiunque ( OIV, Corte dei conti, revisori) non c’è concorso pubblico che tenga in termini di oggettività nel valutare la preparazione di una persona.
Elsa Ranno
Gentile dott. Oliveri, sono totalmente d’accordo con lei, tranne che per un aspetto: non si tratta di rischio, ma di realtà verificata nei fatti e concretizzata proprio con quello strumento che lei invoca a presidio del merito, il concorso pubblico. Vede, i bulli amministrativi non trovano alcun tipo di ostacolo e per chi bullo non è, semplicemente non cambierà niente. Non cambierà nulla tanto meno, ahimè, dal punto di vista della qualità amministrativa che si dichiara di voler migliorare