Dopo anni di miglioramenti, le condizioni occupazionali dei neolaureati tornano a peggiorare. Un risultato che non sorprende, dovuto alla situazione straordinaria causata dalla pandemia. Il futuro potrebbe invece riservare nuove opportunità ai laureati.
Cala il tasso di occupazione dopo anni di crescita
I dati del rapporto annuale di Almalaurea 2020, pubblicato il 18 giugno 2020, offrono un primo importante quadro dell’effetto della crisi Covid sul lavoro dei giovani, in particolare di quelli più qualificati. Il rapporto mostra in particolare il tasso di occupazione e le retribuzioni dei laureati e delle laureate a uno e a cinque anni dal conseguimento del titolo, oltre a dati sul tipo di contratto di lavoro ottenuto, sul divario di genere e sul lavoro da remoto. Studiando in particolare i numeri a un anno dalla laurea, dunque, siamo in grado di capire qual è stato l’impatto della crisi sull’ingresso nel mercato del lavoro dei neolaureati.
La pubblicazione del rapporto Almalaurea è iniziata nel 2008, quando l’economia italiana toccò un picco che alla vigilia della crisi dovuta al Covid non era ancora stato recuperato. Per questo motivo, la situazione occupazionale dei laureati è sempre stata peggiore rispetto ai livelli di quell’anno. A partire dal 2015, però, il tasso di occupazione dei laureati a un anno dal conseguimento del titolo era tornato a crescere, in particolare per le triennali e le magistrali biennali. Ora la crisi pandemica ha portato a una nuova riduzione.
Il calo in termini occupazionali rispetto al 2019 sembra essere stato maggiore per le donne, confermando le tendenze registrate nel mercato del lavoro in generale, soprattutto tra le laureate triennali: la riduzione dell’occupazione per questa categoria è stata dell’8,8 per cento, contro il 7,2 degli uomini. Non sembrano invece essersi registrati effetti particolarmente rilevanti per i laureati a cinque anni dal titolo, probabilmente a causa della maggiore esperienza, della prolungata presenza sul mercato del lavoro e anche della maggiore quota di occupati a tempo indeterminato, protetti dal blocco dei licenziamenti, rispetto ai laureati a un anno dal titolo.
Crescono le retribuzioni, ma non per tutti
I dati sulle retribuzioni mostrano una situazione apparentemente inversa rispetto all’andamento dell’economia nel 2020. Gli stipendi a uno e cinque anni dal conseguimento del titolo, infatti, sono cresciuti nel corso dell’anno della pandemia. Almalaurea sottolinea però che esiste una netta separazione tra chi ha trovato lavoro prima e dopo lo scoppio della crisi: fino a marzo, le retribuzioni hanno seguito il trend di crescita iniziato nel 2015, mentre chi è entrato nel mercato del lavoro dopo la pandemia ha dovuto accettare salari inferiori. Nel complesso, le retribuzioni a un anno dalla laurea sono salite del 5,4 per cento rispetto al 2019 per i laureati di primo livello e del 6,4 per cento per quelli di secondo livello (magistrali e magistrali a ciclo unico).
Aumenti così significativi del premio in termini di retribuzione per i laureati sono sicuramente una notizia molto positiva. Per coloro che sono entrati nel mercato del lavoro dopo l’inizio della crisi, però, le retribuzioni nette sono in calo del 6,3 per cento per i laureati di primo livello e del 4,7 per quelli di secondo livello. In media, le laureate guadagnano 89 euro in meno degli uomini a un anno dal conseguimento del titolo. Il conseguimento di una laurea di secondo livello garantisce invece un premio di 161 euro in media rispetto a un titolo di primo livello.
Esiste poi una forte differenziazione a seconda del settore disciplinare di studio: i laureati del gruppo letterario umanistico, per esempio, ricevono in media 302 euro mensili netti in meno di chi ha frequentato una disciplina medico-sanitaria e 255 euro in meno dei laureati nel settore dell’informatica e delle tecnologie (Ict). Una laurea in economia garantisce in media 135 euro netti mensili in più rispetto a un titolo nel settore disciplinare letterario-umanistico.
Meno posti fissi per i neolaureati, ma il titolo premia nel medio periodo
I laureati triennali assunti a tempo indeterminato a un anno dal conseguimento del titolo sono solo il 26,9 per cento del totale. Erano il 41,8 per cento nel 2008. Come nel resto dell’economia, la crescita del lavoro precario ha riguardato anche i neolaureati.
Nel medio periodo, però, il possesso di un livello di istruzione elevato garantisce sempre più un contratto a tempo indeterminato, in particolare per i laureati di secondo livello. Per chi ha ottenuto una laurea magistrale o magistrale a ciclo unico, la probabilità di avere un posto di lavoro a tempo indeterminato è stata di cinque punti percentuali superiore rispetto al 2012. Per i laureati di primo livello, la percentuale di occupati a tempo indeterminato è ancora inferiore al 2012, ma è cresciuta di 9,5 punti dal 2017.
Un anno difficile, ma che potrebbe offrire molte opportunità
I dati mostrano che l’impatto della pandemia sui giovani laureati, come del resto su tutti i giovani, è stato del tutto negativo, almeno nel breve periodo. Le tendenze positive precedenti la crisi, oltre alla crescente richiesta di competenze elevate da parte delle aziende, rendono però in qualche modo più roseo il futuro dei neolaureati.
La pandemia, infatti, ha colpito soprattutto i lavoratori poco qualificati, mentre il personale qualificato potrebbe essere al centro della ripartenza, integrato in un modello di sviluppo basato sulla competenza, l’innovazione e la digitalizzazione. Nonostante i dati negativi, dunque, i laureati possono sperare che la pandemia diventi solo un breve incidente all’interno di un percorso di crescita.
Per scoprire cosa accadrà in futuro, però, dovremo aspettare almeno il rapporto Almalaurea del prossimo anno.
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