La chiusura delle scuole dovuta alla pandemia ha avuto forti ripercussioni sugli apprendimenti degli alunni. Un primo studio per l’Italia mostra che ne fanno le spese i bambine e le bambine più bravi quando sono figli di genitori non laureati.
Come misurare la perdita di competenze
Per contenere la diffusione del Covid-19, la maggior parte dei paesi ha chiuso le scuole ad aprile 2020: circa 1,6 miliardi di studenti e studentesse, il 90 per cento dell’intera popolazione studentesca mondiale, non hanno frequentato la scuola in presenza. L’obiettivo era di limitare le infezioni, perché la scuola era considerata una probabile fonte di diffusione del contagio, con tanti bambini che si trovano al chiuso nella stessa stanza per diverse ore.
Diverse organizzazioni internazionali hanno sottolineato gli effetti negativi che la pandemia in generale, e la chiusura delle scuole in particolare, potrà avere su tutti i bambini e ragazzi in termini di apprendimenti, di salute mentale e di socialità (tra le altre, Commissione europea, Undp, Ocse). Il timore, inoltre, è che la chiusura delle scuole possa ampliare il divario fra i bambini provenienti da famiglie povere e da contesti fragili e gli altri ragazzini. Questo perché, anche se la didattica in presenza è stata sostituita dalla didattica a distanza, le due modalità di insegnamento non sono ugualmente efficaci.
In Italia, primo paese europeo dove sono stati accertati casi di Covid-19, durante il primo lockdown le scuole sono state chiuse per un periodo particolarmente lungo, dal 24 febbraio 2020 fino alla fine dell’anno scolastico, per un totale di 80 giorni. Ove possibile, si è fatto ricorso alla didattica a distanza, la cui piena realizzazione è stata tuttavia ostacolata dalla limitata disponibilità di strumenti digitali.
Misurare la perdita delle competenze dovuta alla chiusura delle scuole è un passo fondamentale per la definizione di interventi e politiche scolastiche che mirino a mitigarne le conseguenze. Grazie alla disponibilità dei dati derivanti da test standardizzati ripetuti nel tempo, in alcuni paesi sono state effettuate le prime valutazioni: la maggior parte stima una perdita netta nell’apprendimento degli studenti. Vi è inoltre evidenza che, come temuto, abbiano sofferto di più coloro che provengono da famiglie svantaggiate e i bambini più piccoli (si veda anche la rassegna curata da Robin Donnelly e Harry Anthony Patrinos).
Questi primi risultati sottolineano l’importanza di quantificare l’impatto della pandemia sull’istruzione anche nel nostro paese, con particolare attenzione ai soggetti più fragili. Purtroppo, nell’anno scolastico 2019-2020, la rilevazione degli apprendimenti condotta annualmente da Invalsi è stata cancellata, proprio a causa della pandemia.
Lo studio
Per la prima volta in Italia, in un nostro recente progetto, guidato dall’Università di Torino, stimiamo l’impatto della chiusura delle scuole durante la primavera 2020 sugli apprendimenti in matematica nella scuola primaria. La letteratura scientifica suggerisce infatti che la perdita in questa materia possa essere maggiore. Il nostro campione è formato da bambini iscritti in terza in un gruppo di scuole della provincia di Torino; la perdita di competenze matematiche è misurata attraverso il confronto fra due coorti di studenti. Il primo gruppo (coorte pre-Covid) è costituito dagli alunni che hanno frequentato la terza primaria nel 2018-2019; il secondo gruppo (coorte Covid) è composto da bambini che hanno frequentano la terza nelle stesse scuole nel 2019-2020. L’effetto del primo lockdown viene stimato confrontando gli apprendimenti in matematica nelle due coorti, a parità di competenze matematiche in seconda primaria (prima della pandemia per entrambe le coorti) e di caratteristiche socio-demografiche (si veda la figura 1).
Gli apprendimenti in terza sono stati rilevati mediante un test elaborato da studiose di didattica della matematica nell’ambito di un precedente progetto di ricerca, che ha interessato i bambini e le bambine della coorte pre-Covid. Lo stesso test è stato sottoposto ai bambini e alle bambine della coorte Covid a inizio ottobre 2020. I dati sono stati poi collegati ai risultati alle prove Invalsi in seconda primaria, effettuate rispettivamente nella primavera del 2018 e del 2019, e ai dati demografici disponibili nello stesso dataset.
Figura 1 – Disegno di valutazione
I risultati
A seguito della chiusura della scuola causata dalla pandemia i bambini e le bambine della coorte Covid hanno perso in media 0,19 deviazioni standard rispetto alla coorte precedente, una perdita equivalente a circa quattro mesi di scuola.
Il danno maggiore in termini di apprendimento è stato sperimentato da bambini e bambine con genitori non laureati e rendimenti scolastici superiori alla media (fino a -0,51 deviazioni standard per i bambini più bravi – figura 2). Hanno perso di più in termini di apprendimento anche le figlie femmine di genitori senza una laurea (-0,30 deviazioni standard). Un’ipotesi è che questi bambini e bambine siano quelli che traggono maggior beneficio dagli stimoli offerti dalla scuola in situazioni normali. Tenendo conto del contesto – scuole della provincia di Torino – si può verosimilmente supporre effetti negativi ancora più forti in zone con minore disponibilità di strumenti digitali e connessione in banda larga (per esempio zone rurali, montane, o alcune parti del Sud d’Italia).
Figura 2 – Effetto della chiusura delle scuole sugli apprendimenti in matematica dei bambini, a seconda del livello di partenza e dell’istruzione dei genitori
I nostri risultati mostrano chiaramente come la scuola in presenza svolga un ruolo centrale sia nel processo di apprendimento sia nella riduzione delle disuguaglianze educative. Una perdita di apprendimento si traduce in minor capitale umano e sociale a livello individuale nel medio-lungo termine, con effetti nel mercato del lavoro, in termini di occupazione, salario, e produttività, e possibili effetti negativi intergenerazionali. Tra gli altri, Eric A. Hanushek e Ludeger Woessman simulano una perdita di reddito del 2,6 per cento per tutta la vita lavorativa per gli studenti esposti alla chiusura nella primavera 2020 e un impatto economico di lungo periodo sulla crescita del Pil (-1,5 per cento all’anno per il resto del secolo).
La chiusura della scuola primaria dovrebbe perciò essere considerata l’ultima ratio per il contenimento della pandemia. In vista del ritorno in aula a settembre, il governo dovrebbe dare priorità alla sicurezza delle scuole e ai trasporti, per assicurare un rientro normale e non a singhiozzo.
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Savino
Ancora una volta, la scuola è stata ritenuta da chi governa la Cenerentola d’Italia; in questo Paese sulla scuola si può fare risparmio di tempo e di danaro, tanto le priorità sono le discoteche e i ristoranti. Chi materialmente ha fatto perdere due anni scolastici certamente non entrerà nella storia.
Max
Onestamente, ma ci vuole una pandemia ed il fatto che le scuole/università chiudano per riconoscerne utilità e valore? Ed il fatto che l’istruzione e la ricerca siano state da sempre considerate settori da cui recuperare invece di investire risorse? E quello che i docenti vengano continuamente posti nelle peggiori condizioni per svolgere il proprio lavoro a prescindere da ordine e grado di istruzione? Mantenere aperte le scuole/università è si importante, ma non mi pare condizione sufficiente a garantire una buona istruzione, bastasse quello. La critica non riguarda le autrici dell’articolo ma chi politicamente si erge a paladino della qualità dell’istruzione semplicemente sostenenedo che la DAD fa male o che bisogna(va) tenere le scuole aperte. Una cattiva istruzione in presenza non fa cmq bene. Occorre investire nell’istruzione, sia che sia in presenza sia che sia a distanza, fornendo i mezzi, gli incentivi e le skills necessarie ai docenti così da raggiungere il risultato di una istruzione di qualità per tutti. Non vorrei – visto il dibattito in corso – che ci accontentassimo solo di mantenere le scuole aperte…