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Per la giustizia in ritardo la riforma è necessaria

La riforma Cartabia ha tra i principali obiettivi quello di velocizzare i tempi della giustizia italiana. Ma quali sono i risultati ottenuti dai tribunali negli ultimi vent’anni? Si rilevano differenze territoriali? Due indicatori spiegano la situazione.

I tempi lunghi della giustizia

Il riassetto della giustizia, insieme a quello della pubblica amministrazione, costituisce una delle due riforme “orizzontali” del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Nel confronto internazionale, l’Italia presenta infatti un poco invidiabile primato, sia nella durata media dei procedimenti (disposition time, Dt) sia nella capacità di smaltimento dell’arretrato (clearance rate, Cr).

Secondo l’Oecd, la durata media stimata di un procedimento civile nei tre gradi di giudizio è di circa 788 giorni nei paesi aderenti all’Organizzazione, con un minimo di 368 in Svizzera e un massimo di quasi 8 anni in Italia.

Un aspetto meno noto dei problemi della giustizia italiana è nella differenziazione delle performance dei tribunali italiani. Qui ci riferiamo in particolare alla giustizia civile, e analizziamo gli indicatori di Dt e Cr nelle macro-aree italiane per il periodo 2004-2019, sulla base di dati di fonte ministero della Giustizia, Dg-Stat e Consiglio superiore della magistratura. I due indicatori sono inclusi nella dimensione “rule of law” dell’Iqi – Institutional Quality Index calcolato per le province italiane dal 2004 al 2019.

I due indicatori

I dati sul disposition time, sintetizzati nella figura 1, mostrano un ampio e persistente divario tra i tribunali localizzati nel Nord del paese, i cui tempi variano tra i 282 e i 341 giorni, quelli del Centro (383-440 giorni) e quelli del Mezzogiorno, che hanno tempi medi dei procedimenti ben superiori (tra i 492 e i 674 giorni). La tendenza generale nell’ultimo quindicennio è in chiaro miglioramento: i tempi di un processo civile si sono ridotti dai 467 giorni del 2004 a 382 giorni nel 2019. Anche i divari sembrano essere diminuiti, grazie a un miglioramento più pronunciato nel Sud, dove la durata dei processi si è contratta maggiormente, con un risparmio di tempi valutabile in oltre il 25 per cento.

L’indicatore clearence rate, il rapporto tra il numero di casi risolti e i casi iscritti ogni anno in un certo tribunale, misura la capacità di smaltimento dell’arretrato. Valori maggiori dell’unità indicano che il tribunale è in grado di terminare un numero di procedimenti maggiore di quelli sopraggiunti e quindi in grado di smaltire arretrato. Il contrario avviene se Cr è minore di 1 e si accumula arretrato. La figura 2 descrive l’andamento del Cr nelle tre macroaree. Fino al 2010 si evidenzia una capacità di smaltimento piuttosto debole in tutto il paese, con un valore dell’indice intorno a 1 e per il Mezzogiorno talora al di sotto dell’unità. Dopo il 2010, la tendenza appare in generale miglioramento (fatta eccezione per l’anno della riforma del 2013) fino al 2015. In questo quinquennio, la capacità di smaltimento dell’arretrato si attesta tra il 10 e il 15 per cento in tutto il paese. A partire dal 2016, si apre di nuovo una fase di andamenti divergenti: i tribunali del Centro-Nord riprendono a migliorare, realizzando Cr superiori al 10 per cento, mentre quelli del Mezzogiorno vanno incontro a un graduale peggioramento nel Cr che, nell’ultimo triennio, si colloca appena al di sopra dell’unità.

Domanda di giustizia e numero di magistrati

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Le peggiori prestazioni dei tribunali meridionali potrebbero essere legate a fattori di contesto di natura istituzionale e alla maggiore domanda di giustizia nelle regioni del Mezzogiorno. Per esplorare quest’ultima possibilità, la figura 3 mostra il numero di nuovi casi sopravvenuti (settori civile e penale) in rapporto alla popolazione. Come è evidente, il rapporto risulta stabilmente più alto nel Sud: nei 15 anni osservati, in media 777 nuovi casi iscritti a ruolo ogni anno (per 10 mila abitanti) contro i 541 del Nord.

Rispetto a una maggiore domanda di giustizia, la dotazione di magistrati è corrispondentemente più alta nelle regioni meridionali, come appare dall’esame della figura 4. Per tutto il periodo considerato, il numero di magistrati togati è superiore alle 11 unità per 100 mila abitanti nel Mezzogiorno e intorno a 9 e 7 unità rispettivamente nel Centro e nel Nord. Seppur in maniera meno forte, l’evidenza di una maggiore dotazione di personale togato nei tribunali del Sud è confermata dalla figura 5, che mostra il rapporto fra nuovi casi sopravvenuti e numero di magistrati in pianta organica. Nonostante la maggiore pressione sui tribunali derivante dalla maggiore domanda di giustizia al Sud, il carico di lavoro dei giudici risulta più elevato al Nord, dove nel 2019 ogni magistrato ha operato su 741 nuovi fascicoli (500 del settore civile) contro 776 (550 nel settore civile) al Centro e 639 nuovi fascicoli (450 settore civile) al Sud.

Complessivamente i dati analizzati ci restituiscono una situazione di generale difficoltà del sistema giustizia italiano nell’assicurare tempi ragionevoli dei procedimenti e nella ancora troppo debole capacità di smaltimento dell’arretrato. A livello territoriale è altresì evidente il ritardo dei tribunali del Mezzogiorno rispetto a quelli del Centro e del Nord, seppur con alcuni incoraggianti segnali di miglioramento negli ultimi anni.

L’andamento del disposition time e del clearance rate indica come i cambiamenti istituzionali indotti dalla riforma del 2013 abbiano prodotto, dopo una prima fase di riordino e riorganizzazione, effetti postivi nel medio periodo. Questo fa ben sperare per la riforma ora in discussione che può rendere i tribunali italiani più produttivi nella misura in cui riesca ad agire sui fattori più rilevanti dell’offerta di giustizia: la quantità e qualità delle risorse finanziarie e umane disponibili, gli assetti organizzativi e di governance degli uffici giudiziari, il grado di efficienza nell’impiego delle risorse, il grado di informatizzazione degli uffici, il monitoraggio dei processi.

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  1. Alex

    L’interessante articolo rimette in luce quanto già da tempo era a perfetta conoscenza di tutti gli addetti ai lavori e cioè una situazione di generale e grave difficoltà del sistema giudiziario italiano nell’assicurare tempi ragionevoli dei procedimenti. In uno stato di diritto, per rimediare a questa lacuna forse occorrerebbe intervenire con strumenti, risorse e proposte che vadano nella direzione di assicurarla la giustizia, non di denegarla. Ovvero non si può sostenere che “non si riescono a concludere i processi,…allora mettiamo una tagliola, rendiamoli improcedibili, e facciamoli morire stì processi”. Una volta per tutte. Penso che questo principio sia estraneo a uno stato democratico e garantista. Uno Stato con la nostra tradizione giuridica deve far sì che i procedimenti giudiziari abbiano una ragionevole conclusione e mettere in campo le relative soluzioni normative e tecniche per assicurare piena tutela a tutte le parti in causa.

  2. MICHELE LALLA

    La conclusione è sorprendente perché si dice che si può ben sperare se la riforma fa certe cose. Nulla si sa se questa riforma fa quelle cose, ossia incide dove deve incidere. Per ora si sa che, la ministra Cartabia ci racconta una bugia, dicendoci che l’UE ci chiede di accorciare i tempi della prescrizione, mentre, in realtà, ci chiede di accorciare i tempi dei processi. La PRESCRIZIOINE accorcia i tempi dei processi e allunga la sequela delle ingiustizie e l’impunità dei prepotenti, spesso anche ricchi. E chi per bugiardo è conosciuto non può pretendere di essere creduto. Si continua cosí a perpetrare il danno al paese perché le imprese non investono o tendono a investire meno in un paese dove predomina l’incertezza della giustizia. Non si fa alcuna riforma seria perché fa comodo ai potenti avere una giustizia che non funzione in modo efficiente e vogliono ancora peggiorarla: la SEPARAZIONE DELLE CARRIERE prelude all’assoggettamento al potere politico della magistratura inquirente SENZA VIOLARE IL CAPOSALDO (dello Stato liberale) dell’indipendenza del potere giudiziario, perché la magistratura inquirente può diventare senza colpo ferire polizia inquirente. E il gioco è fatto.

  3. Piero Borla

    Non molto tempo si parlava di porre dei manager esterni alla direzione degli uffici giudiziari. Poi si disse che questo intacca l’indipendenza dei magistrati. Cerchiamo allora di promuovere alla direzione degli uffici più complessi e carichi di lavoro i magistrati che hanno dimostrato doti manageriali alla direzione degli uffici meno impegnati. Questo non a chiacchiere ma sulla base dei numeri : tot di pratiche pendenti all’inizio dell’incarico, tot di entrato, tot di smaltito. Criteri stabiliti per legge. Di più : retribuzione di risultato anche ai magistrati. Perché non si potrebbe ?

    • Marco Depolo

      Tot pratiche pendenti, tot pratiche smaltite: purtroppo (o per fortuna) non è come contare quante carte di identità si rilasciano.
      La P.A. cerca spesso di introdurre sistemi premiali adottando indicatori “oggettivi” e scegliendo di misurare le dimensioni della performance più facilmente trasformabili in numeri. E così ci si ferma sul terreno della trattativa sindacale sui criteri di valutazione e ci si occupa meno di progettare e sperimentare percorsi di miglioramento. Un bel circolo vizioso.

  4. Savino

    Nell’obbligatorietà dell’azione penale sono compresi tanto il dovere di aprire quanto quello di chiudere in tempi decenti un’indagine ed il relativo dibattimento. Quindi, il problema sta nel saper distribuire le responsabilità dell’azione penale tra i vari ruoli della magistratura e nei vari passaggi dei processi. Il magistrato dovrebbe essere meno conferenziere e più studioso d’archivio con meno vezzi e più pragmatismo, dato che dal suo lavoro o non lavoro dipende il destino dei singoli e della comunità.

  5. Marco Bernardi

    Ma perchè utilizzate dati relativi ai processi civili quando la riforma riguarda i processi penali?

  6. Pietro Della Casa

    Ad oggi mi pare che le funzioni attribuite dai partiti al ddl “Cartabia” siano:
    1) prendere i “soldi europei” con una riforma qualsiasi (tutti);
    2) assicurarsi che la prescrizione/improcedibilità disinneschi il maggior numero di procedimenti possibile (un po` tutti, a parte il M5S, FI in prima linea come sempre).
    È possibile che il punto 2 sia in certi casi legato a sincere convinzioni di ordine morale o ideologico, oltre che a interessi pragmatici.

    Velocizzare la giustizia – ossia l´obiettivo nominale – mi pare l´ultima cosa di cui ci si è realmente occupati, e probabilmente quel misero 25% prospettato si ridurrà a… già, a quanto?
    Sarebbe interessante cominciare a fare qualche previsione realistica in proposito.

  7. Mahmoud

    Mi trovo d’accordo con tutti i commenti letti sin qui. Aggiungo che condonare i processi che si trascinano più a lungo alimenta un circolo vizioso per cui nessuno patteggia o non ricorre ai successivi gradi di giudizio, proprio come costruisce abusivamente conscio che tanto prima o poi il regalino arriva. Ecco, stiamo continuando a dire che la massima riforma che possiamo fare è che per chi non si arrende il regalino arriva. E hanno pure ragione loro a questo punto.

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