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Quel nesso da dimostrare tra debito e crescita

Senza dubbio, i dati indicano una correlazione negativa tra debito pubblico e crescita. Ma resta da dimostrare il nesso causale tra i due fenomeni. Così come l’esistenza di un effetto soglia. Le decisioni di politica fiscale e i limiti della ricerca economica. 
L’AFFAIRE REINHART-ROGOFF
Quali sono le conseguenze per la crescita economica di un elevato debito pubblico? (1) È vero che l’economia rallenta quando il debito è troppo alto? La risposta non è semplice, ma è fondamentale per capire se politiche fiscali espansive, che fanno aumentare l’indebitamento pubblico corrente, possono avere effetti di lungo periodo sul benessere e sulla crescita economica.
In una serie di contributi scientifici che hanno avuto molta influenza sul dibattito accademico e politico, gli economisti di Harvard Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff mostrano che esiste una correlazione negativa tra debito pubblico e crescita economica, ma che la relazione non è evidente fintanto che il debito pubblico non supera il 90 per cento del Pil. Nei loro articoli accademici, Reinhart e Rogoff si sono sempre dimostrati molto cauti nel suggerire che una semplice correlazione implichi un nesso di causalità dall’alto debito alla bassa crescita. Ciò nonostante, i loro risultati sono stati spesso utilizzati per sostenere politiche di austerità e rigore fiscale.
Ora una ricerca di tre economisti della University of Massacchussets-Amherst ha evidenziato alcuni errori nei dati utilizzati da Reinhart e Rogoff, scatenando un ampio dibattito, anche mediatico, sulla validità dei loro risultati. Senza entrare nei dettagli, occorre evidenziare che la correzione di questi errori non è sufficiente per ribaltare i risultati di Reinhart e Rogoff. I risultati cambiano solamente se si utilizza una metodologia differente per calcolare la crescita media. Reinhart e Rogoff hanno ammesso che il loro foglio di Excel conteneva alcuni errori, ma sostengono che la loro metodologia per calcolare la crescita media è preferibile rispetto a quella utilizzata dagli economisti della University of Massacchussets-Amherst. Non intendiamo entrare qui nella sostanza della replicabilità e della validità dei risultati di Reinhart e Rogoff. Infatti, riteniamo che la discussione sui loro presunti errori abbia distolto l’attenzione dai problemi principali che si devono affrontare nel caso in cui si voglia identificare il nesso tra debito e crescita.
In un lavoro che precede il dibattito sulla validità dei dati di Reinhart e Rogoff (Panizza e Presbitero 2013) abbiamo passato in rassegna una serie di contributi che studiano il legame tra debito e crescita nelle economie avanzate. Ne emergono quattro aspetti fondamentali che è necessario discutere:
1. la presenza di non-linearità e effetti soglia
2. la presenza di eterogeneità
3. l’identificazione del nesso di causalità
4. la definizione di debito pubblico
EFFETTI SOGLIA?
Mentre è vero che esiste una correlazione negativa tra debito e crescita (le stime suggeriscono che un aumento del debito di 30 punti percentuali è associato a una riduzione della crescita di mezzo punto percentuale), esistono molti studi che mettono in dubbio la presenza di un effetto soglia. In particolare, la soglia individuata da Reinhart e Rogoff in corrispondenza di un rapporto debito/Pil pari al 90 per cento non appare sufficientemente robusta a rigorose analisi empiriche che utilizzano tecniche statistiche sviluppate esplicitamente per modellare relazioni non-lineari, o che si basano su dati provenienti da fonti diverse o riguardanti periodi e campioni diversi (sempre all’interno del gruppo delle economie avanzate).
UNA RELAZIONE UGUALE PER TUTTI?
In genere, gli studi empirici impongono che la relazione tra debito e crescita sia uguale per tutti i paesi. Per esempio, normalmente si ipotizza che un aumento del debito di dieci punti percentuali in Grecia abbia un effetto sulla crescita economica greca uguale all’effetto di un aumento del debito di dieci punti percentuali in Giappone sulla crescita economica giapponese. L’ipotesi può potenzialmente portare a risultati fuorvianti e studi che usano tecniche statistiche che non la impongono mettono in dubbio la presenza di una relazione negativa tra debito e crescita nei paesi avanzati.
CHE COSA CAUSA COSA?
Anche in presenza di una correlazione negativa tra debito e crescita, occorre ricordare che una correlazione non implica l’esistenza di un nesso di causalità (in caso contrario, l’osservazione che vi sono molte persone ammalate negli ospedali, ci porterebbe a concludere che andare all’ospedale faccia ammalare la gente). Il legame negativo tra debito e crescita potrebbe essere dovuto al fatto che un elevato debito pubblico causa un rallentamento dell’economia. In alternativa, la correlazione potrebbe essere il risultato dell’effetto di una qualche altra variabile che simultaneamente determina un alto indebitamento e una bassa crescita. In un precedente lavoro, già discusso su lavoce.info, affrontiamo esplicitamente il legame di causalità tra alto debito e bassa crescita e concludiamo che non esiste, al momento, una prova convincente che il debito pubblico abbia un effetto causale sulla crescita economica.
DI QUALE DEBITO STIAMO PARLANDO?
Infine, c’è un aspetto fondamentale che è alla base della relazione tra debito e crescita, ma che è raramente discusso tra gli economisti. Si tratta della definizione di debito pubblico.
A fine 2012, il debito lordo italiano era pari al 127 per cento del Pil, ma il debito netto era 30 punti percentuali in meno. Allo stesso tempo, una misura del debito che include tutte le passività implicite del governo (soprattutto legate al pagamento delle pensioni) fornirebbe un rapporto debito/Pil ben maggiore. Queste considerazioni implicano che non è ovvio quale misura scegliere tra debito lordo e debito netto, se includere solo le passività esplicite ovvero anche quelle implicite e se considerare o no le contingent liabilities (si pensi ai repentini aumenti dei debiti in Irlanda, Spagna e Islanda).
I LIMITI DELLA RICERCA DEGLI ECONOMISTI
I dati indicano inequivocabilmente una correlazione negativa tra debito pubblico e crescita. Tuttavia, la presenza di un effetto soglia oltre il quale il debito è associato a una contrazione considerevole della crescita del Pil e la presenza di un nesso causale tra alto debito e minore crescita sono fatti ancora da dimostrare.
Questa nostra conclusione, basata su un’ampia rassegna della letteratura più recente, non deve essere letta a sostegno di politiche che necessariamente promuovano l’indebitamente pubblico. Né intendiamo sostenere che alti livelli di debito siano senza conseguenze (si veda la discussione in Panizza e Presbitero 2012). Ciò che intendiamo sostenere è la necessità di una consapevolezza dei limiti della ricerca economica in un ambito molto rilevante per le politiche economiche nazionali e sovranazionali. A questo proposito, sottoscriviamo quanto scritto recentemente da Dani Rodrik, secondo cui “Economists would be so much more honest (with themselves and the world) if they acted accordingly – letting their audience know that their results and prescriptions come with a large margin of uncertainty”. (2) Proprio perché riconosciamo il grado di ignoranza e di incertezza che regna in questo ambito di ricerca, auspichiamo che nel futuro nuovi studi contribuiscano a fornire risultati convincenti, specialmente in termini di causalità ed eterogeneità.
 
 
(1) Questo articolo è basato su un nostro contributo pubblicato di recente su Vox
(2) Gli economisti sarebbero molto più onesti (con se stessi e con il resto del mondo) se agissero di conseguenza e riconoscessero di fronte all’opinione pubblica che i loro risultati e le loro ricette presentano con un ampio margine di incertezza.

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23 commenti

  1. Gli autori espongono motivazioni che sono oggetto di dibattico e naturalmente sono legate alla decisione di non fare spesa pubblica da parte degli Stati per non aggravare i loro bilancii. Penso che il ruolo dei moltiplicatori e della spesa pubblica e della tassazione dovrebbe essere preso in considerazione anche perché si parla di soglia. Il ruolo della moneta non viene preso per niente in considerazione ed è importante per i paesi dell’euro che come è noto non sono a sovranità monetaria.

  2. Savino

    Credo che, alla fine, rimpiangeremo il così tanto ingiustamente vituperato Governo Monti, che faceva del rigore sui conti pubblici (con incrementi del gruzzolletto dell’avanzo primario) la sua ragione d’essere, anche per adempiere agli impegni che ci eravamo presi con la UE. La contraddizione del nuovo Governo e della nuova maggioranza sta nel fatto che non vedono l’ora di andare a battere il pugno sul tavolo a Bruxelles (con quale faccia tosta, davvero non si capisce, essendo- il nostro – il Paese più cicala di tutti in termini di competitività), ma, allo stesso tempo, vogliono accontentare ancora ogni richiesta interna (anche la più impraticabile) che comporta surplus di spesa, a partire da una potenziale riduzione fiscale, per non parlare del reddito minimo garantito (la tanto criticata Fornero sa, invece, quanto è stato difficile, con le poche risorse a disposizione, far partire l’ASPI).
    Se n’è andato quello definito “senza cuore” e sono arrivati quelli “con fin troppo cuore”, così tanto cristiani e democristiani che aumenteranno la sfilza del debito pubblico a carico delle generazioni future, senza dare a queste ultime nessuna speranza di avvenire (magari mettendo in piedi altre cattedrali del deserto o altri concentrati di problemi come l’ex Italsider, ora Ilva, a Taranto).

    • Ivan Berton

      Ti do ragione sul discorso che hai appena fatto, sono tutte cose condivisibili al 100%, fatalità nel discorso sulla fiducia al governo di Letta vengono affrontati ad uno ad uno tutti gli argomenti a cui ti riferisci tu, compresa l’Ilva di Taranto, a voce sembrerebbe che vogliano evitare di nuovo tutto questo …. a voce però chiaramente per nnostra sfortuna.
      Chi vivrà vedrà … e sopratutto pagherà

    • Federico v

      l’austerity, di cui Monti è stato portabandiera insieme ad A. Merkel è fallimentare. Non si tratta di tenere i conti in ordine. Ma se inasprisci le tasse, è matematico che tu riduca i consumi, da qui, a catena, calano anche investimenti e spesa pubblica. Il pil addirittura de-cresce ed il rapporto deficit/pil (è una frazione) si contrae.
      Ovviamente tutto qusto vuol dire anche meno posti di lavoro, e meno competitività. Se devo produrre qualcosa o far lavorare qualcuno per pagare lo stato, puoi esser sicuro che non produrrò niente.
      Sull’essere cicale d’europa, ovviamente le sfugge che siamo il terzo contribuente (più dell’Inghilterra) e che senza l’Italia probabilmente non ci sarebbe neanche l’Europa.
      Adesso anche la Germania si è resa conto che senza gli italiani che comprano i loro prodotti, anche la loro economia rallenta, quindi possiamo sperare che non mandino qualche altro sceriffo di Nottingham.

    • forse dovresti leggerti l’outlook di Fmi…di ottobre e il lavoro di un economista che ha svolto un ruolo rilievo nella gestione della crisi, il capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard. Legggiti la ricerca fatta insieme a Daniel Leigh del dipartimento ricerca del Fmi,«Errori Previsionali di Crescita e Moltiplicatori Fiscali». La ricerca fa seguito a un altro studio già apparso nel World Economic Outlook che evidenziava come i piani di aggiustamento fiscale nella zona euro avevano avuto un impatto negativo sulla crescita : 1 euro di tasse….( e tagli)…1,5 euro di minore crscita….altro che Monti!

  3. Gli autori espongono motivazioni che sono oggetto di dibattito e naturalmente sono legate alla decisione di non fare spesa pubblica e per non aggravare i bilanci degli Stati. Penso che il ruolo dei moltiplicatori e della spesa pubblica e della tassazione dovrebbe essere preso in considerazione anche perché si parla di soglia. Il ruolo della moneta non viene preso in considerazione ed è importante per i paesi dell’euro n che non sono a sovranità monetaria.

  4. Paolo Rossi

    Perdonate un discorso da uomo della strada. La vecchia regola del padre di famiglia è che i debiti si pagano. Sembra fin troppo ovvio ma non credo sia un bene perdere di vista questa vecchia legge “naturale”.
    Probabilmente, senza voler mancar di rispetto verso il serio lavoro di chi giustamente approfondisce l’analisi addentrandosi nei numeri veri, il legame tra aumento del debito e crescita negativa va ricercato in un rapporto indiretto: nei Paesi in cui la classe dirigente è sufficientemente dissennata il debito pubblico si è ingigantito a dismisura.
    Ebbene, la stessa dissennatezza ha comportato scelte politiche tali da castrare a priori ogni tentativo del mondo delle imprese di competere, in altre parole è causa diretta della crescita negativa.
    In definitiva, quest’analisi porta a concludere che debito pubblico e crescita negativa sono solo due conseguenze distinte della stessa causa, la dissennatezza, l’ignoranza, la corruzione, l’incapacità della classe dirigente del Paese di adempiere al proprio compito. Difficile quindi trovare un rapporto causa-effetto tra i due fenomeni e questo spiegherebbe le conclusioni parziali cui sono giunti affermati studiosi.
    Se questo “modello” è vero, lo vedremo presto con l’attuale governo, interamente o quasi composto di soggetti compromessi con le precedenti amministrazioni: visto il livello di dissennatezza storicamente dimostrato, dovremmo aspettarci ulteriori esiti fallimentari!
    OK spero nessuno prenda troppo sul serio queste scriteriate osservazioni… Qualcuno dei lettori crede nei miracoli?

  5. Giovanni Brunetti

    Mi é capitato di leggere che la Spagna prima della crisi registrava un rapporto debito/Pil del 60% (Cipro del 40%). Forse non si tratta soltanto di chiedere agli economisti di “…essere più onesti con se stessi e con il resto del mondo” !…!

    • non solo Spagna e Portogallo…ma anche Islanda (debito= 10% PIL) e Irlanda….poi hanno fatto bancarotta.A posto con Masstricht…e ” morti” nella realtà…..il motivo? Il debito estero…che nememno considera Mastricht…

  6. prof. Ascari

    Gli stati a moneta sovrana (FIAT)non funzionano come le famiglie o le aziende e hanno il dovere di spendere a deficit per il benessere dei cittadini- Per caso un famiglia stampa i soldi in cui indebita? Lo stato deve anticipare i soldi che crea per poi riprendersene una parte con le tasse non accumulare risparmi che poi deve spendere, altrimenti l’economia entra in recessione e in deflazione come sta succedendo adesso. Infatti con l’euro gli stati non possono pìù anticipare moneta creata per fare spesa pubblica finanziata invece dalle tasse e dal debito pubblico emesso in una moneta, l’Euro, che è come se fosse straniera in quanto gestita da una banca sovranazionale privata la BCE. Risultati: continuo aumento dele tasse e del debito. Noi puntiamo al pareggio di bilancio glio USA e il Giappone hanno deficit di bilancio dell’8-10 %.Per quel che concerne lo studio citato sopra è chiaramente un falso, fatto di proposito per avallare le politiche di austerità della TROIKA- Chissà chi l’avrà commissionato! I risultati corretti portano a una conclusione opposta- Gli Stati virtuosi che hanno fatto spesa e debito pubblico, come l’Italia delle lire, il Giappone dello yen ecc. ecc. hanno permesso ai loro cittadini di raggiungere un risparmio privato altissimo- Non è un caso che i cittadini italiani abbiano mediamente più soldi sui conti correnti dei tedeschi…

  7. Abel Beauregard

    Più che un effetto soglia sullo stock del debito, andrebbe valutato un effetto soglia del costo della spesa per interessi che quel debito produce; se riesci a “finanziarti” ad un interesse basso rimane una certa capacità di spesa, se l’interesse sale rimani strangolato ( vero TremontiGrilli ?).
    E’ bello per gli economisti “lambiccarsi” sui dati mettere insieme belle matrici per ponderose regressioni, ma molte volte bisognerebbe ripartire da un bel “pensiero laterale” da uomo della strada.
    Con un’analisi di tipo storico più che economico, gli stati dovrebbero far oscillare il deficit fra il + 3% e il -3%, cioè vivere anche con anni di avanzo ( NON primario), per “fare tesoro” per gli anni “di magra.
    Si può anche dire invece che moltissime esperienze di “grandi debiti” statali sono finiti in…………..carta straccia che però modernamente si chiamano “hair cut” alla greca o all’irlandese.

  8. stefano delbene

    fermo restando che gli accostamenti del debito familiare al debito pubblico sono impropri, mi resta sempre il dubbio su ciò che si intende per “crescita” e, soprattutto “cosa” deve crescere: il numero di automobili, gli hamburgers, i vestiti, i televisori, i cellulari, le biblioteche, i musei, i campi da tennis o da calcio?
    Francamente in ciascuna di queste possibili soluzioni c’è un mix di spesa pubblica, di mercato, di beni individuali, di beni colettivi, in un numero di soluzioni infinite …

  9. Fedestero

    Indipendentemente da taluni clerical errors, ed opinabili impostazioni di fondo del modello di riferimento, rimane però – e secondo me bene si farebbe a scriverlo a caratteri CUBITALI, specialmente in Italia- una INDUBBIA correlazione negativa tra debito pubblico e crescita, come da LORO segnalato (forse non bene evidenziato). Bisogna essere MOLTO chiari, in Italia. E’ verò NON esiste red line al 90% come trigger di decrescita ma 1) esiste una altrettanto NOTA correlazione negativa tra burocrazia elefantiaca e crescita 2) è bene nuovamente ribadire, il deficit spending in un paese con 20 milioni di pensionati e 2 TRILIONI (2*10 alla dodicesima) euro di debito è assolutamente fuori luogo, se non prima si correggono assetti materiali DISTORTI e distorsivi (i.e. lo stato come immenso ammortizzatore sociale: il sud Italia; il costo del lavoro ed il cuneo fiscale). 3) vedi casi di Kenya, SAfrica ed altre economie che dipendono da fonti esogene di finanziamento, che confermano in modo lampante detta correlaz. NEGATIVA. Bisogna essere MOLTO CHIARI. la disquisizione sull’entità dell’effetto soglia non ha molto rilievo in un Paese che NON cresce da oltre 16 ANNI,

  10. Fedeestero

    Soprattutto, mi pare, è l’assunzione di fondo, più o meno implicitamente ammessa, e criticamente vagliata, che merita a mio avviso seria considerazione: ossia, quella per cui i vari trend di politica economica recepiscono l’idea di robusta crescita economica, combinata con la convinzione che i governi e le banche centrali possano esercitare un controllo sostanziale sulle economie per ottenere simili risultati. ma è davvero così?Robert Gordon polemicamente si chiede se la crescita economica sia un processo continuo che può persistere
    per sempre. Egli sostiene che la crescita e il miglioramento del tenore di vita
    rallenterà significativamente. Per “valore di shock”, egli ipotizza
    che i tassi di crescita futuri possono essere 0,2%, ben al di sotto anche il
    modesto 1,8% registratosi tra 1987 e 2007. Personalmente, condivido tale impostazione di fondo. Da Il grande Gatsby: “Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno dopo anno si ritira prima di noi. Essa ci sfuggiva allora, ma questo non importa – domanici sarà più veloce, allungare le braccia più in là “. In natura, la crescita è solo una fase temporanea, che cessa con la
    maturità. Il prof. Jay Forrestor ha osservato: “le civiltà del
    passato sono cresciute in eccesso e poi hanno conosciuto il declino. In ogni situazione di crescita,
    la crescita segue il suo corso, sia esso in pochi secondi o secoli. “

  11. giancarlo

    Leggicchiando superficialmente, la cosa che mi colpisce è la differenza tra media (di poco sotto lo 0) e mediana (tra il 2 e il 2.5%!) del growth rate (pag 577 del paper di R&R) degli emerging markets: evidentemente la media è tirata giù da qualche outlier. Una curiosità: ma non era meglio fare una regressione panel? così almeno si potevano specificare anche diverse strutture dinamiche e vedere se l’alto debito (o, ancora meglio, il suo incremento) precede o piuttosto segue i periodi di bassa crescita?

  12. giancarlo

    Chiedo anticipatamente scusa per il bis: ho sfogliato il paper di Panizza e Presbitero (2013) (onestamente molto più interessante rispetto a quello di Reinhart e Rogoff) e lì ci sono le risposte a tutti i miei precedenti dubbi. Grazie e saluti.

  13. Troppe variabili in gioco. La crescità può esistere con un alto indebitamento (vedi Irlanda) ma viene guidata di solito dalle esportazioni a danno dei consumi interni e con un mercato del lavoro flessibile ed una burocrazia efficiente (riforme mancanti in Italia).
    La vera relazione da analizzare è tra percentuale di PIL intermediata dallo stato e quella lasciata al settore privato. Oltre ad una certa percentuale, le lobby parassite di persone che dipendono da soldi pubblici hanno incentivi a bloccare ogni tentativo di riduzione di tasse a mezzo di tagli (che si traducono in: personale pubblico che viene licenziato, ospedali ed università che chiudono, riforme pensionistiche etc).
    Quando poi il PIL che si mangia più del +50%, la democrazia fa il resto: decreta il successo della maggioranza parassita. Un avvitamento nel declino del Paese inizia inarrestabile.

  14. Ivan Saracino

    Ma il ruolo della moneta e di chi la controlla? perchè non entra mai in queste argute discussioni accademiche?
    Un debito con me stesso non conta una mazza. Un debito verso terzi .. è un’altra faccenda.
    Don’t touch the monetary system!!! sembra questo il mantra per ambire alle alte vette del Riconoscimento : un nobel all’economia guarda caso sponsorizzato da una banca …
    Con rispetto e simpatia.
    Ivan Saracino

    • …premio in memoria di Alfred Nobel…è diverso da Premio Nobel….sarà nominalistica la differenza….ma nel marketing comunicativo conta eccome

  15. Ivan Saracino

    Condivido in pieno. Sig. Felice Di Mario, fosse per me, sostiturei Fassina con lei, tenedo conto che di Fassina ho letto e ascoltato molto, di Lei ho letto questo splendido post. Un saluto cordiale.
    Ivan Saracino.

  16. Renato Chahinian

    Certamente gli autori hanno notato una correlazione negativa tra debito e crescita e giustamente hanno però sottolineato che non è detto sia sempre così.
    Se statisticamente detta correlazione avviene, ciò dipende, oltre che dai rilevanti interessi passivi sugli indebitamenti elevati, dal fatto che la spesa pubblica è solitamente poco produttiva ai fini del PIL (questo spesso non viene considerato perchè nella contabilità nazionale il valore aggiunto della pubblica amministrazione viene valutato al costo, anzichè al prodotto).
    In generale, la spesa pubblica spesso supera le entrate (creando debito) per finanziare interventi di tipo socio-assistenziale, che riverberano pochi o nulli effetti sulla produttività del nostro sistema economico. Ben diverso sarebbe un indebitamento pubblico per finanziare significativi interventi nel campo della ricerca e dell’innovazione. In questo caso, non a breve, ma nel medio-lungo termine si otterrebbero benefici per la collettività anche in termini di crescita economica.
    Al riguardo sottolineo un ulteriore limite della ricerca economica. quello di non effettuare abbastanza valutazioni di impatto sulle politiche pubbliche e quindi di non saper distinguere gli interventi efficaci dagli altri.

  17. giulioPolemico

    Sì, comunque una crescita realizzata a debito, non può non diventare una decrescita scaricata sulle generazioni seguenti. Che è esattamente quello che accade adesso. Perché il debito comunque rimane, non è che scompare, e alla fine salta fuori (tanto basta scaricarlo su chi arriverà dopo. E chissenefrega).

  18. Alberto Confetti

    Tutti discorsi inutili, se si fa sempre finta di nulla su questioni fondamentali come sovranità monetaria e reale significato di “debito” pubblico.

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