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I partiti? Finanziati (anche) dai politici

Le dichiarazioni dei redditi registrano la disaffezione dalla politica dei cittadini. Il numero di chi opta per il 2 per mille è esiguo. Ma ancor meno sono gli italiani che fanno donazioni ai partiti. E l’analisi degli importi rivela qualche sorpresa.

Gli italiani che finanziano i partiti

L’Irpef dà una mano ai bilanci dei partiti, ma le dichiarazioni dei redditi registrano anche la disaffezione dalla politica dei cittadini-contribuenti. Sono pochissimi gli italiani disposti a mettere mano al portafoglio per finanziare i partiti politici, avvalendosi della detrazione dall’Irpef del 26 per cento sull’importo donato. Più numerosi sono coloro che li sostengono, senza spendere un euro in più, chiedendo alla stato di finanziarli attraverso la devoluzione del 2 per cento dell’Irpef dovuta. Entrambe le possibilità sono previste dal decreto legge 149/2013, con il quale fu abolito il finanziamento pubblico dei partiti. La decisione sull’erogazione liberale che dà diritto alla detrazione è presa dal contribuente nell’anno fiscale in cui versa la somma al partito scelto; quella sulla devoluzione del 2 per mille nell’anno della dichiarazione dei redditi.

Le entrate dei partiti

Dalle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche al fisco nel 2020, che riportano i redditi dell’anno prima, risulta che le due fonti di finanziamento hanno fatto affluire nelle casse dei partiti circa 39 milioni di euro; nel 2019 erano 4 in più e negli anni precedenti tra i 33 e i 34 milioni. L’incasso di queste somme è fondamentale per il finanziamento delle spese di funzionamento dei quattro principali partiti presenti in parlamento (non si considera il Movimento 5 Stelle, che finora non ha accettato contributi). Per alcuni è addirittura vitale. La Lega per Salvini premier e il Partito democratico dipendono, infatti, del tutto da questi fondi: gli 8,2 milioni di euro destinati al primo e i quasi 10 al secondo (comprensivi anche delle erogazioni liberali fatte ai partiti da persone fisiche), costituiscono, rispettivamente, il 98 e il 99 per cento dei ricavi delle loro gestioni caratteristiche. Il Pd dipende in misura nettamente prevalente (tre quarti del totale) dalle devoluzioni del 2 per mille, che è una fonte rilevante (due terzi) anche per Fratelli d’Italia, le cui entrate caratteristiche complessive dipendono per quasi otto decimi dalle possibilità offerte dal decreto legge 149/2013. Speculare è la composizione dei finanziamenti affluiti alla Lega per Salvini premier, i cui introiti sono costituiti per una quota nettamente maggioritaria da erogazioni liberali.

Il costo per l’erario

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Queste forme di finanziamento ai partiti determinano, ovviamente, una perdita di gettito per il bilancio dello stato. Considerando l’intero importo del 2 per mille dell’Irpef e la quota delle detrazioni del 26 per cento delle somme versate dai contribuenti ai partiti, la minor entrata nell’anno fiscale 2019 è stata di quasi 24 milioni di euro. L’onere è notevolmente cresciuto nel tempo per l’aumento delle devoluzioni del 2 per mille, mentre si è ridotta la perdita di gettito Irpef dovuta alla detrazione sulla contribuzione privata. Il legislatore ha ritenuto di porre un limite al costo delle devoluzioni ben inferiore agli oltre 300 milioni di euro che si ottengono calcolando il 2 per mille sull’Irpef incassata ogni anno dallo stato. Una cifra che, seppure solo potenziale, avrebbe esposto il Parlamento a essere additato come finanziatore della “casta”. Il timore dei partiti, al riguardo, fu tale che ritennero opportuno anche ridurre notevolmente gli stanziamenti previsti dal governo con l’atto del Senato n. 1213, contenente il disegno di legge presentato per la conversione del Dl 149/2013. In ogni caso, a partire dalla dichiarazione dei redditi del 2017 l’importo complessivo delle devoluzioni è sempre stato inferiore alle somme stanziate. L’importo effettivamente incamerato dai partiti a seguito della dichiarazione del 2020 è stato circa tre quarti di quello che poteva essere.

Chi finanzia i partiti

Ne consegue che, nel 2020, i quasi 1,4 milioni di contribuenti che hanno scelto di devolvere il 2 per mille sono stati meno di quanti avrebbero potuto essere, oppure hanno dichiarato redditi bassi e medio-bassi. Le due ipotesi non sono necessariamente alternative.  Quei contribuenti costituiscono una quota esigua (3 per cento) del numero totale, malgrado la devoluzione non comporti nessun costo aggiuntivo. Per valutare in che misura ciò possa essere indice di una scarsa attrazione esercitata dalla politica, si consideri che il numero di contribuenti che sceglie di devolvere l’8 per mille dell’Irpef a una confessione religiosa è sui 17 milioni. L’importo medio della devoluzione del 2 per mille si attesta sui 12-13 euro, cui si giunge applicando l’Irpef a redditi imponibili sui 24 mila-26 mila euro. Il 2 per mille potrebbe quindi essere considerato il flusso popolare del finanziamento della politica.

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Non può dirsi altrettanto delle erogazioni per le quali i contribuenti beneficiano della detrazione del 26 per cento. Il loro numero è esiguo, ma il loro importo medio – 2.600 euro – è rilevante (anno di dichiarazione 2020). I contribuenti il cui reddito oscilla tra 90-120mila euro finanziano i partiti con erogazioni di importo medio di 9-10mila euro; oltre la soglia dei 120mila euro di reddito l’importo cala di 2-3mila euro. È possibile, naturalmente, che donazioni tanto generose siano di elettori che hanno a cuore le sorti dei partiti per i quali votano. È però più probabile che a fare donazioni finanziariamente così impegnative siano principalmente politici eletti in parlamento o nelle assemblee regionali, tenuti, per regole interne, a versare ai partiti di appartenenza una parte delle indennità che percepiscono. L’ipotesi potrebbe contribuire a spiegare anche le erogazioni, per importi unitari più bassi, dei contribuenti che dichiarano redditi medi. In quest’ultimo caso i donatori sarebbero sindaci, assessori e anche consiglieri dei comuni di una certa dimensione. Quello delle erogazioni potrebbe, allora, essere considerato il flusso di finanziamento ai partiti alimentato da un’elite della politica.

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Politiche attive del lavoro: il tempo sta per scadere

  1. Savino

    Emerge tutta l’autoreferenzialità della politica. Quello che conta è “stare nel giro” anche anticipando spese e co-finanziando la catena se necessario. Nasce un interesse per la politica diverso da quello delle pòleis e delle agorà, un iper professionismo calcisticamente paragonabile al finora scongiurato passaggio dalle leghe nazionali alla superlega. Possiamo ben immaginare il riflusso del cittadino comune per tutto ciò.

  2. Vincenzo

    Abolendo il finanziamento pubblico, si rischia che i fondi provengano da fonti privati e che riparta il mercimonio clienterale. Ti dò i soldi, tu mi fai un favore (mentalità mafiosa).
    Non andava abolito, secondo me, quanto semmai regolamentato al meglio. Ma purtroppo non si può certo attendere un minimo di senso civico da molti dei politici presenti in parlamento!
    Per esempio, obbligo di trasparenza su tutte le contribuzioni private a partire da 1000 euro (omettendo i dati coperti da privacy) relative all’anno solare precedente, da pubblicarsi entro il 1 febbraio di ogni anno, pena il decadimento del contributo in misura del 10% per ogni settimana di ritardo. E controllo da parte della Corte dei Conti.

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