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Inflazione: se temporanea o meno è questione di scelta

Si fa un gran parlare di inflazione. Ma il tema da affrontare non è tanto quello delle strozzature delle catene della produzione, quanto quello della risposta delle banche centrali. Come ci hanno insegnato gli anni Settanta, le loro scelte sono cruciali.

Inflazione da ripartenza

Il ritorno dell’inflazione è il tema del giorno. E probabilmente dei prossimi mesi. La ripresa inflazionistica non avviene perché siamo in un nuovo boom economico, ma semplicemente perché l’economia mondiale sta ripartendo, e lo sta facendo tutta insieme (o quasi) in un arco temporale concentrato. Immaginiamo solo quanti acquisti di beni durevoli, dalle automobili alle lavatrici, sono stati rimandati durante il periodo più acuto della pandemia.

Ripartenza economica è cosa diversa da “boom” economico. Per fare un’analogia, immaginiamo un cinema con cento persone. Se qualcuno grida al fuoco, possiamo lasciare che si accalchino tutte insieme all’uscita, oppure cercare di farle uscire una alla volta. Nel primo caso avremo inflazione, nel secondo no. Ma sempre di cento persone si tratta: il livello di produzione e reddito (il numero di persone nel nostro esempio) è sempre lo stesso.

L’ingorgo da ripartenza esercita un forte rialzo dei costi delle imprese: più alti prezzi dell’energia e più alti prezzi di trasporto. Ad esempio, è sempre più costoso trovare spazio sui cargo per spedire dall’Asia all’Europa beni intermedi necessari per la produzione. 

Due motori trainano l’inflazione

Il dibattito sembra però orientarsi, in modo molto ambiguo, su un unico punto: la fiammata inflazionistica è temporanea o è destinata a essere duratura? La domanda è in realtà mal posta, perché interpreta la dinamica dell’inflazione come “esogena” rispetto al comportamento delle banche centrali. In altre parole, le banche centrali non sono di fronte al dilemma di capire se l’inflazione sia destinata a essere temporanea oppure duratura, bensì sono di fronte al dilemma opposto: quello di scegliere se l’inflazione sarà solo temporanea oppure duratura. Il motivo è che il comportamento dell’inflazione dipende da due grandi motori, di cui uno fortemente sotto controllo della politica monetaria. 

Il primo motore è proprio quello potentemente acceso oggi, cioè il motore dei prezzi dell’energia e delle strozzature nella produzione rispetto a una forte ripartenza della domanda di consumi e investimenti. Ed è del tutto indipendente dal comportamento della politica monetaria.

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Il secondo motore che guida l’inflazione sono le aspettative (di imprese, famiglie e operatori dei mercati). Se si aspetta che il livello generale dei prezzi aumenti in futuro, un’impresa fisserà prezzi più alti già da oggi per evitare che il proprio prezzo relativo venga eroso rispetto alla concorrenza. Se lavoratori e sindacati si aspettano maggiore inflazione in futuro, si siederanno al tavolo della contrattazione con le imprese domandando salari nominali più alti per tutta la durata del contratto di lavoro, in modo da proteggerne il potere d’acquisto. A sua volta questo determinerà un aumento del costo del lavoro per le imprese e quindi un aumento dei prezzi già da oggi.

La spinta del motore delle aspettative dipende in modo determinante dal comportamento delle banche centrali, nel bene e nel male. Una lezione fondamentale che abbiamo appreso dalla grande inflazione degli anni Settanta, inizialmente accesa da una serie di shock petroliferi, è che il comportamento della politica monetaria è cruciale nell’orientare le aspettative di inflazione e nel renderla eventualmente molto più alta e duratura. Allora le banche centrali dei paesi avanzati commisero parecchi errori di sottovalutazione dell’inflazione e persero per lungo tempo il controllo delle aspettative.  

I dilemmi delle banche centrali

Il tema del futuro prossimo, dunque, non è tanto quello delle strozzature delle catene della produzione, bensì quello della risposta delle banche centrali, Federal Reserve e Banca centrale europea in primo luogo. Saranno loro a determinare se il fenomeno inflazionistico sarà solo temporaneo o meno. Uno shock dal lato dell’offerta come quello a cui stiamo assistendo (rialzo dei prezzi energetici e dei costi di produzione) genera uno scenario stagflazionistico, il peggiore che una banca centrale si trova a fronteggiare: rialzo dei prezzi, ma anche un possibile rallentamento dell’attività economica. Una coperta corta da gestire in modo attento e quanto più scientifico possibile.

Un principio cardine della teoria della politica monetaria post anni Settanta è proprio che le banche centrali non debbano limitarsi a rispondere “colpo su colpo” alle spinte dell’inflazione; bensì che debbano preoccuparsi in primis di tenere le aspettative di inflazione sotto controllo. È facile a dirsi, ma molto meno a farsi. Richiede alle banche centrali di definire in modo chiaro le proprie mosse per il futuro, agendo in base a “programmi” annunciati in anticipo, evitando quindi l’errore esiziale di intervenire in ritardo. 

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Nonostante i principi teorici siano chiari, sia Fed che Bce fronteggiano oggi un dilemma ancora più complesso. Lo spartito degli ultimi due anni è stato infatti di natura opposta: cercare di far ripartire l’inflazione per compensare il lungo periodo di stagnazione e deflazione (o bassa inflazione) seguito alla crisi finanziaria del 2008-2009. Sia la Fed che la Bce hanno recentemente portato importanti cambiamenti al loro regime di politica monetaria. La Fed in particolare ha introdotto il regime di cosiddetto “average inflation targeting”, che prevede un obiettivo di inflazione da raggiungere solo come media lungo un certo arco temporale. Il nuovo regime è stato introdotto precisamente per orientare meglio le aspettative di inflazione: durante periodi di stagnazione e pressioni deflazionistiche, soprattutto quando i tassi di interesse hanno raggiunto il limite inferiore di zero, la banca centrale segnala esplicitamente che rialzi futuri dell’inflazione al di sopra del target saranno tollerati, proprio con l’obiettivo di stimolare le aspettative e spingere al rialzo l’inflazione già oggi. 

Lo shock energetico attuale, però, sta facendo rapidamente cambiare il quadro. La sfida di Fed e Bce è cambiata ed è diventata quella di passare improvvisamente da uno spartito in cui si era accomodanti con una ripresa dell’inflazione oltre il target a uno spartito in cui si deve cambiare corso e segnalare in modo credibile la propria resistenza anti-inflazionistica, per evitare una perdita di controllo delle aspettative. 

Il problema è che questi cambi repentini di spartito non sono semplici da attuare senza mettere a rischio la credibilità dell’istituzione. È proprio lungo la sottile linea della credibilità delle banche centrali che si gioca il futuro dell’economia mondiale nei prossimi due anni.

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  1. Savino

    Solo un cambio sulle politiche fiscali nel senso di utilizzo distributivo della leva e l’introduzione di meccanismi sui salari (oggi già erosi prima del percepimento) possono aiutare.

  2. Virginio Z.

    …quando leggere di economia è un vero piacere!

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