Nella sua Relazione annuale l’Autorità per la regolazione nei trasporti si è occupata anche di questione ambientale. Ma nel settore il problema più rilevante è la scelta di meccanismi di tariffazione diversi per le infrastrutture ferroviarie e autostradali.

Quando serve un’autorità indipendente

Non tutti i segmenti del settore trasporti postulano una regolazione economica specifica: la produzione e il commercio di veicoli, il settore degli autobus turistici e molti servizi aerei, per citare solo alcuni esempi, operano in modo efficiente in mercati concorrenziali.

La regolazione è necessaria in due grandi sottosettori. Innanzitutto, là dove la concorrenza non può operare, cioè nelle infrastrutture (monopoli naturali per eccellenza): qui il regolatore deve intervenire per difendere gli utenti da possibili tariffe troppo elevate, vincoli all’accesso discriminatori, o manutenzione inadeguata.

Poi esistono estese aree di “monopoli legali”, cioè i servizi che la stessa mano pubblica decide che non debbano essere forniti dal libero mercato, e in Italia sono buona parte dei servizi ferroviari e tutti quelli del trasporto locale (Tpl). Qui gli utenti devono essere difesi oltre che dai possibili costi eccessivi di produzione, anche dalla possibile bassa qualità dei servizi. Nel caso – frequente – in cui tali servizi siano sussidiati, la difesa da gestioni inefficienti si estende ovviamente anche ai contribuenti.

Per entrambi i tipi di monopolio la concorrenza può tuttavia agire nell’affidamento in gara dell’esercizio per un numero prefissato di anni. E infatti è la strategia dominante scelta dall’Europa per tutelare utenti e contribuenti.

Molto meno intuitivo è il fatto che la regolazione debba essere attuata da una autorità indipendente. Perché mai non vi può provvedere lo stesso ministero dei Trasporti, che certo può dotarsi senza problemi di tutte le competenze necessarie? Non genera un aumento di costi e di burocrazia?

Infatti, una scelta di questo tipo, ormai quasi universalmente diffusa, si giustifica solo nel caso che si assuma che il decisore stato possa essere “catturato” dai gestori delle infrastrutture e dei servizi. Cioè possa favorire questi soggetti a danno degli utenti e dei contribuenti.

Senza l’assunzione che i decisori politici possano essere, anche in forma lecita, “corrompibili” per propri interessi egoistici (di fatto un caso di “fallimento dello stato”), viene meno la necessità di autorità indipendenti.

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Politiche ambientali e regolazione dei trasporti

In Italia, nel settore dei trasporti, il regolatore è l’Autorità per la regolazione dei trasporti (Art), in carica da circa otto anni. A settembre ha presentato la sua ottava relazione annuale, dove si esprime approvazione per uno specifico obiettivo politico che sembrerebbe non competere al regolatore: l’ambiente. In realtà gli compete, ma in una forma che non sembra colta nella relazione stessa, che a politiche complessive di pricing non fa cenno.

Le esternalità ambientali nei trasporti sono molto rilevanti, soprattutto le emissioni dirette climalteranti del modo stradale e di quello aereo. Ora, dovendo l’Autorità regolatoria verificare l’equilibrio delle condizioni in cui operano i mercati rilevanti, è fondamentale che verifichi che le politiche ambientali non siano tali da creare squilibri indebiti.

Per l’ambiente, di gran lunga la principale concerne l’internalizzazione dei costi esterni e, in particolare, il prelievo fiscale per unità di emissione nei diversi modi di trasporto. Un esempio banale: se in un comparto una tonnellata di CO2 è tassata per un certo importo e in un comparto concorrente è tassata il doppio, nessuna competizione efficiente può aver luogo. Ulteriori distorsioni si generano in caso di livelli di internalizzazione superiore a quello ottimale, fenomeno che la letteratura internazionale (Imf, Oecd) individua come rilevante, in particolare per l’Italia. Ma su questo, come su altri temi regolatori, si tornerà in contributi successivi.

L’effetto pratico più distorsivo per i mercati in Italia (come nel resto d’Europa) è tuttavia indiretto. Mentre l’internalizzazione diretta per le emissioni stradali risulta di livello molto elevato (ma per esternalità elevate) e quello del principale “competitor”, la ferrovia, nullo (ma per emissioni modeste), le politiche di pricing per le infrastrutture nei due settori sono decisamente diverse. E ciò per motivazioni essenzialmente ambientali, perché nessun’altra motivazione è mai stata esplicitata, né sembra ragionevole che abbiano connotazione modale gli obiettivi distributivi. Altrimenti, per esempio, dovrebbero concernere anche i servizi di autobus di lunga distanza, molto tassati, usati dalle categorie a più basso reddito, e con impatti ambientali trascurabili. L’alta velocità ferroviaria dai contenuti distributivi problematici è un ulteriore esempio.

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Infatti, per le ferrovie viene applicata una politica di tariffazione ai costi marginali (Mcp), mentre se ne applica una ai costi medi (Acp) per le autostrade. In sintesi estrema, gli utenti autostradali, che già in media internalizzano più dei costi esterni che generano (incluse congestione, sicurezza e altro ancora), pagano anche i costi di investimento delle infrastrutture, visto che quelli delle ferrovie sono interamente a carico dello stato. Che l’internalizzazione avvenga là dove le esternalità maggiori si generano, cioè nell’uso delle infrastrutture e non nella fase di investimento, non è suggerito solo dall’efficienza (la tariffazione ai costi medi di un monopolio naturale notoriamente genera perdite di quote di surplus sociale), ma dalle stesse raccomandazioni della Commissione europea, certo universalmente disattese in questo settore.

L’esempio delle inefficienze che ne derivano è ovvio, e rilevante: una tariffazione ottimale ripartirebbe in modo ottimale anche i traffici tra i due modi di trasporto, orientando di conseguenza in modo efficiente le scelte di investimento.

Si potrebbe obiettare che lo stato è sovrano anche nel decidere politiche che squilibrino i mercati, ignorando politiche di pricing efficienti delle infrastrutture, e i livelli e le forme di internalizzazione dei costi ambientali già in atto. Tuttavia, diventerebbe molto difficile comprendere allora il senso di affidare a una autorità indipendente proprio l’obiettivo di massimizzare l’efficienza dei mercati del settore.

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