Il governo vuole risolvere il problema di Inpgi1, la cassa previdenziale dei giornalisti che rischia la bancarotta, facendola confluire nell’Inps. Per renderla un’operazione equa, però, occorre richiedere un sacrificio a chi ha ricevuto finora un trattamento speciale.
Un articolo della legge di bilancio sfuggito a gran parte delle cronache prevede il passaggio all’Inps della cassa previdenziale dei giornalisti dipendenti, Inpgi1, che viaggia con deficit annuali attorno ai 200 milioni. La componente relativa ai lavoratori autonomi, Inpgi2, in attivo perché composta per lo più da giovani freelance, rimarrà privata. Non è previsto alcun intervento per ridurre le prestazioni in essere prima dell’ingresso in Inps.
Il dissesto dell’Inpgi è in gran parte attribuibile a una causa semplicissima: ha garantito pensioni troppo generose ed età pensionabili troppo basse. Fino al 2017 le pensioni venivano calcolate interamente con il metodo retributivo, e con un tasso di rendimento molto più alto di quello offerto dalla componente retributiva del sistema pubblico. Ogni anno di contribuzione dava diritto al 2,66 per cento (anziché a un tasso tra lo 0,9 e il 2 per cento a seconda del livello di reddito come nel sistema pubblico) degli ultimi cinque anni di retribuzione, o dei dieci migliori anni. Quindi, con quarant’anni di contributi si poteva percepire una pensione più alta dell’ultima retribuzione. La pensione di anzianità media per i giornalisti uomini è oggi superiore agli 80.000 euro, quella di vecchiaia anticipata è di circa 78.500 euro. Questa è la media, ma parecchie prestazioni sono molto superiori ai 100.000 euro all’anno. Anche per le pensioni di reversibilità, l’Inpgi ha garantito per molto tempo trattamenti molto più vantaggiosi di quelli dell’Inps.
I giornalisti godono anche di prepensionamenti assai generosi: 62 anni di età e 25 di contributi, cioè di fatto una quota 87! Nel calcolo della pensione possono vedersi riconosciuti fino a cinque anni di contributi mai versati. Questo comporta un ulteriore aumento dell’assegno fino al 20 per cento. Gli oneri sono pagati dallo stato al 70 per cento. La bozza di Legge di Bilancio rifinanzia anche questi ammortizzatori sociali.
A questa gestione allegra, si è poi aggiunta la crisi del settore, che ha causato un forte calo del numero di contribuenti (-17 per cento in dieci anni) e ancor più del monte salari su cui vengono prelevati i contributi (-18 per cento). Questa crisi avrebbe dovuto indurre a un ricalcolo delle pensioni in essere per garantire la sostenibilità dei conti. Dieci anni fa, l’allora ministro Elsa Fornero aveva segnalato questi problemi e venne accusata di sferrare contro l’Inpgi attacchi “immotivati, denigratori, che tentano di colpire una cassa che ha i conti in ordine” (nelle parole di Franco Siddi, allora segretario del sindacato dei giornalisti). Si è invece aspettato fino al 2017 per fare qualche correzione, peraltro insufficiente.
Certo, far confluire l’Inpgi1 nell’Inps è meglio che spostare circa 17.000 “comunicatori professionali” (portavoce, addetti stampa, etc.) dall’Inps all’Inpgi, come richiesto dai vertici di quest’ultimo nel 2017, con il supporto accanito dell’allora sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon. Per fortuna questa operazione di facciata, ritentata nel 2019, che aveva lo scopo di salvare momentaneamente un ente in dissesto aumentandone le entrate con l’assorbimento di lavoratori giovani (e pazienza se a rimetterci sarebbero stati questi ultimi), è stata sventata. Ma non si può accettare che il salvataggio di Inpgi1 avvenga senza chiedere un contributo a chi ha goduto e continua a godere di trattamenti palesemente insostenibili. È una questione di equità, ma non solo: stiamo creando un precedente, con il modo con cui verrà gestito l’ingresso dell’Inpgi1 che condizionerà anche il modo con cui problemi analoghi di altre casse verranno affrontati in futuro.
C’è, infatti, una fragilità strutturale nel sistema delle casse: comportano un’eccessiva concentrazione del rischio perché riguardano professioni molto specifiche. Se il settore e la professione vanno in crisi, la cassa diventa non più sostenibile perché si riducono i contribuenti, che pagano le pensioni a chi si è ritirato dalla vita attiva. Il vantaggio di portare una cassa all’Inps risiede proprio nel permettere una maggiore condivisione del rischio. Ma questa condivisione del rischio richiede che si adottino regole comuni nel calcolo delle prestazioni, non solo di quelle future, ma almeno in parte anche di quelle in essere. Se l’Inpgi1 viene salvata senza alcun contributo dei suoi membri, è un invito a tutte le altre casse a offrire ai propri aderenti prestazioni insostenibili contando sul fatto che, prima o poi, interverrà il settore pubblico per salvarle garantendo le prestazioni in essere.
Nelle conferenze stampa al termine dei Consigli di Ministri si moltiplicano le dichiarazioni di attenzione nei confronti dei giovani, ma, con l’ultima Legge di Bilancio, dopo “quota 100” avremo “quota 102” e la prospettiva che fra un anno saremo ancora lì a discutere di pensioni invece di occuparci dei tanti problemi che interessano la vita dei giovani. La vicenda dell’Inpgi è un ulteriore esempio di questo atteggiamento: i giovani dovranno sobbarcarsi anche le pensioni dei giornalisti calcolate con tassi di rendimento quattro o cinque volte più generosi di quelli che spetteranno a loro. Oltre al danno, la beffa.
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Gerardo Coppola
Il tema delle pensioni, degli altri in genere, è tema divisivo al limite del terrorismo ideologico. Il nostro è un paese storto non diritto, sistemi un aspetto e se ne storce un altro. Trovo irritante l’articolo di Boeri e altri che puntano il dito sulle pensioni dei giornalisti. Se ne sono accorti delle iniquità del fondo pensioni e sparano a zero sui privilegi, calcolando pensioni medie fantasmagoriche. E chi non le vorrebbe ? So per certo che la situazione è molto diversa ma trattamenti del genere se fossero veri non dovrebbero sorprendere. L’Italia è una giungla previdenziale, vi hanno messo una pezza passando dal 1 gennaio 1996 al sistema contributivo ma è evidente che vi sono enclavi difficili da scalfire. Quindi, il problema è più ampio ed additare ai lettori un gruppo di soggetti, il classico granello di polvere in luogo della trave, è un esercizio che trovo inquietante.
Giorgio lambruschi
A me irrita il tuo commento . Perché ho letto un analisi precisa e tu non dici nulla se non ‘ che ti irrita’ . Tu do del tu perché’ per quello che dici dovresti avere più o meno 12 anni
Lorenzo Stanca
Quando si dice il “benaltrismo”…
Enrico Motta
Rispondo a Gerardo Coppola. Guardi che la questione non è “Chi non le vorrebbe?” (le pensioni alte). Il fatto di cui si parla nell’articolo è se sia giusto o meno che per salvare l’INPGI1 questo sia fatto confluire nell’INPS, e che siano mantenute ai giornalisti ex-dipendenti pensioni alte calcolate secondo criteri più favorevoli. Quest’ultima soluzione irriterebbe, per usare un eufemismo, anche me. Non così l’articolo, che anzi mi è parso molto chiarificatore e per nulla irritante.
carlo
Ho solo il dubbio se lei sia un giornalista iscritto all’INPGI con una significativa carriera alle spalle o non si renda conto che se non è dalla parte di chi riceve è dalla parte di chi paga. Non esistono soldi che piovono dal nulla. Le prestazioni fuori misura sono pagate dagli altri cittadini.
Gerardo Coppola
Sono stato chiamato in causa anche in modo poco urbano. Comunque, il sig. Pinna fa una analisi corretta ed esemplare dello stato dell’arte della previdenza per i giornalisti. Aggiungo tanto per stare ai fatti che in passato molti iniziavano a collaborare con i quotidiani senza ricevere emolumenti per anni e anni in attesa di stabilizzazione contrattuale. Il loro monte contributivo ovviamente non è elevato e non so se le cifre che ho letto nell’articolo li riguardino. Dimenticavo, non ho 12 anni e non sono un giornalista anche se collaboro (gratuitamente) con alcune testate, sono un ex dirigente Bankitalia in pensione e mi piace capire come va il mondo che mi riguarda, seppure indirettamente.
Alessio
Non mi sorprende che questo iniquo calcolo non sia arrivato in cronaca, se ne sono ben guardati. Sicuramente verrà detto che solo qualche migliaio avrà diritto a questo privilegio e che non influisce, come tutte le iniquità. Abbiamo il peggior livello giornalistico europeo , a livello mondiale siamo ai livelli dei peggiori sistemi totalitari africani. Mai nella storia della repubblica italiana abbiamo avuto tanta inefficienza.
Pietro Giorgio Pinna
Il commento sulla previdenza dei giornalisti fatto da Tito Boeri contiene nella parte iniziale numerose inesattezze, tutte molto gravi per un ex presidente dell’Inps. La riforma Dini dei primi anni Novanta è stata applicata fin da subito a tutta la categoria ed è da allora che il calcolo viene fatto con il sistema contributivo. I colleghi che in un’altra epoca sono stati liquidati interamente con il retributivo, se per loro fortuna sono ancora vivi, oggi dovrebbero avere tra gli 85 e i 110 anni. La data del 2017 riguarda il recepimento di norme ancora più restrittive della Legge Fornero. La gestione allegra dei conti non è mai esistita: l’operato dei vertici e dei funzionari dell’Inpgi è stato in tutti questi anni sottoposto alla vigilanza di due ministeri e ha potuto funzionare in perfetta autonomia economica sino al 2012: al contrario di quanto è successo all’Inps, per il quale da anni lo Stato interviene a coprire i disavanzi. Quando il bilancio dell’Inpgi, è passato in rosso si è cominciato a vendere il patrimonio immobiliare per pagare le pensioni: i cespiti residui, per un valore documentato pari ad alcune diverse centinaia di milioni, da luglio 2022 passeranno tutti all’Inps. Non corrisponde quindi alla realtà dire che la categoria non sta pagando un prezzo. Lo sta invece pagando. E molto alto. Quando Boeri accenna a persone che vanno via dal lavoro dopo 25 anni non può che pensare a invalidità civili o a licenziamenti derivati da stati di crisi uguali a quelli “benedetti” per decenni dall’Inps con le leggi 416 e mille altre: oppure le regole di civiltà generale di diritto del lavoro devono valere per tutti tranne che per i redattori? Quanto alle pensioni dorate non si possono confondere pochi direttori o grandi firme che nella vita professionale hanno avuto retribuzioni pari alla fama tra il pubblico, e per questo hanno versato contributi in proporzione, sino a 300mila euro all’anno,
con le posizioni della stragrande maggioranza di una categoria che conta migliaia di persone a loro tempo contrattualizzate come dipendenti. Sarebbe come dire che le pensioni di Piero Angela o di Indro Montanelli avrebbero dovuto essere equivalenti a quella di un cronista che ha onestamente operato in un periodico con poche centinaia di lettori e che perciò ha potuto solo pagare contributi modesti. Quanto alle rendite da favola, conosco colleghi che dopo 40 anni di versamenti oggi sono andati via con una pensione lorda inferiore di 30mila euro all’ultima dichiarazione dei redditi da esclusivo lavoro dipendente. Infine: l’Inpgi è stato in tutti questi anni l’unico ente previdenziale italiano sostitutivo in toto dell’Inps, compresi sussidi di ogni tipo, cig, maternità, congedi parentali, invalidità. Perché allora Boeri non dice di quanto gli editori hanno spinto per gli stati di crisi di troppe aziende, pressando la classe politica, sino a ottenere in cinque anni duemila esuberi? O non parla di come da una ventina d’anni in poi molti di quegli stessi imprenditori – lungimiranti soltanto nel privatizzare i ricavi e pubblicizzare le perdite – abbiano preferito “esternalizzare” l’attività di free lance e collaboratori, creando precari, cococo, cocopro e quant’altre figure fossero in grado di sostituire i contrattualizzati e si rivelassero funzionali a un semplice risparmio di costi (anche previdenziali)? È stato tutto questo che ha fatto saltare le casse dell’Inpgi. Come si può reggere un istituto con 2 lavoratori in servizio attivo e 1,3 in pensione? Se i suoi amministratori hanno qualche colpa è stato di chiedere in ritardo l’ombrello statale garantito da decenni a ogni altra categoria. Pier Giorgio Pinna
Mauro Dameli
Non voglio far polemica ma se ho ben capito Lei sostiene che con la riforma Dini nei settore dove è stata applicata ,da quel giorno sono andati tutti in pensione con il contributivo! Non è cosi nel settore Elettrico , si era stabilito che chi avesse avuto già maturato almeno 18 anni di contributi gli sarebbe stato garantito il retribuito fino al giorno dell’andata in pensione ! Sempre se Lei si riferisce a tutti i settori dove era entrata in vigore. Comunque sia passare a carico dell’Imps tutte le casse private in deficit è un errore madornale per tutti i cittadini specialmente per i più giovani
bob
Ci sono centinai di migliaia di persone “con età avanzata” che hanno versato 18-19 anni di contributi presso la cassa di previdenza integrativa ENASARCO (+ gli anni versati all’ INPS), e che oggi vivono con indignitose pensioni erogate dall’INPS, costretti a rivolgersi ai servizi sociali per avere dei supporti di sopravvivenza, pur avendo versato ingenti somme di denaro nelle casse della previdenza integrativa, senza avere la corresponsione in diritto”.
Questa tematica non e complessa come si vuol far credere; allungando i tempi per la risoluzione del caso, farà un danno alle casse dello Stato, se le istituzioni non interverranno immediatamente; perché questo problema verrà certamente riconosciuto nel diritto. Secondo i bilanci tecnici 2014-2017 della fondazione Enasarco, i soggetti silenti tra quelli in vita e gli eredi sono 692.000, che hanno versato nelle casse previdenziali ENASARCO circa 9,2 miliardi di euro, somme che lo Stato se ne farà carico in base all’arti. 28 della Costituzione.
Aggiungo gente che ha lavorato veramente e duramente……senza raccomandazioni
Stefano
Chi ha avuto redditi da favola può tranquillamente vivere con pensioni misere perché si presume abbia messo da parte molti soldi sia in banca che come investimenti
bob
si parla di salvataggi ma queste 692.000, ….chi le salva?
G
Basta andare sul sito dell’INPGI e leggere i dati, che loro stessi forniscono. Poi, la politica che è maestra in questo, quado si trova alle strette dalla ferrea logica della matematica, propone tutte le soluzioni più fantasiose, naturalmente a carico della fiscalità generale.
Gabriele Testi
Il professor Tito Boeri è talmente bravo da ignorare, però, che: 1) l’INPS ha oggi lo stesso rapporto attivi/pensionati di 1,53 dell’INPGI 1; 2) che il calcolo delle pensioni INPGI 1 con il sistema retributivo non ha favorito affatto i giornalisti, ma, come ampiamente documentato alla Commissione parlamentare di vigilanza sugli enti previdenziali privatizzati, ha invece favorito nel 98% dei casi l’INPGI 1 stesso che altrimenti con il sistema contributivo avrebbe dovuto pagare pensioni molto più alte; 3) che tra circa due mesi, il 20 dicembre prossimo, compirà 70 anni la legge Rubinacci n. 1564 del 1951 in vigore sin da quando l’INPGI 1 era ente pubblico e che è rimasta sempre operativa dopo la privatizzazione del 1995 fino ad oggi e lo rimarrà fino al 30 giugno 2022 in base alla quale l’INPGI 1 (che assicura l’assistenza e la previdenza ai giornalisti lavoratori subordinati) è tuttora l’unico ente previdenziale privatizzato sostitutivo dell’INPS; 4) che lo Stato per decenni non ha ristorato l’INPGI 1 per centinaia e centinaia di milioni di euro, cioé di tutta la spesa sostenuta dall’INPGI 1 per far fronte all’assistenza e agli ammortizzatori sociali, tanto è vero che in 12 anni il patrimonio INPGI 1 è sceso da 2 miliardi 400 milioni di euro ad appena 900 milioni di euro (patrimonio pressoché identico oggi a quello dell’INPGI 2) con una perdita secca dal 2009 ad oggi di ben 1 miliardo e mezzo di euro, pari a circa 3 mila miliardi di vecchie lire. In tutti questi anni l’INPGI 1 ha beneficiato solo di 20 milioni di euro l’anno in base a 2 leggine del 2009 sui prepensionamenti da aziende in crisi e solo per quest’anno è stato previsto il ristoro della Cigs e di altre indennità assistenziali; 5) che la legge Rubinacci del 1951 stabiliva anche che i contributi dovuti dai datori di lavoro (e le prestazioni erogate dall’INPGI 1) non potevano essere inferiori a quelli stabiliti per le corrispondenti forme di assicurazione obbligatorie INPS. Ma è assodato che gli editori hanno violato la legge Rubinacci pagando per svariati decenni fino al 2016 molti punti percentuali in meno di contribuzione all’INPGI 1 rispetto a quella INPS. Si calcola che l’INPGI 1 sia stato così depauperato in 65 anni i (dal 1951 al 2016) di almeno un miliardo di euro per il minore incasso di contributi. Ma l’INPGI 1 non doveva essere ristorato dallo Stato come per la parte relativa all’assistenza? Altrimenti che vuol dire essere un “ente previdenziale sostitutivo dell’INPS”? E perché lo Stato ha finora riservato un diverso e più favorevole trattamento all’INPS rispetto all’INPGI 1? Egregio professor Boeri potrebbe per favore rispondere a questi quesiti, tenendo anche ben presente che i giornalisti pensionati INPGI 1 durante la loro attività hanno pagato i contributi nella misura del 100% sulla loro retribuzione (a differenza dei dirigenti ex INPDAI che all’epoca hanno versato, invece, i contributi in misura del 60% sulla loro retribuzione) ed hanno ampiamente fatto la loro parte perché attraverso il blocco della perequazione per 9 anni delle loro pensioni e i vari tagli delle loro pensioni (l’ultimo per il triennio 2017-2020) hanno consentito all’INPGI 1 di risparmiare complessivamente circa 65 milioni di euro, ma questo “tesoretto” è stato già utilizzato dall’ente di via Nizza per pagare le pensioni dell’ultimo biennio? Infine circa 2400 giornalisti pensionati INPGI 1 attendono da anni (il 1° della lista da settembre 2010) di essere pagati di circa 150 milioni di euro complessivi per la cosiddetta EX FISSA INPGI/FIEG, di cui 50 milioni dovrebbero finire all’ERARIO per l’imposta IRPEF. Che succederà ora con il passaggio dell’INPGI 1 nell’INPS a partire dal 1° luglio 2022, visto che nell’art. 28 della legge finanziaria varato ieri dal Consiglio dei ministri non c’è una riga in proposito? (Pierluigi Roesler Franz, membro del Collegio Sindacale INPGI)
Alex
L’articolo dei proff. Boeri e Perotti è articolato, ben motivato ed ampiamente condivisibile.
Il tema nel suo insieme, tuttavia, è allo stesso tempo molto semplice ed altrettanto complesso.
Per dirimere la questione…non resta che affidarci alla nostra classe politica, che in diverse situazioni analoghe riguardanti l’Inps…ha saputo trovare soluzioni “geniali”, dando sfoggio di rimarchevole creatività…. Peccato che tale “fantasia” si sia sempre ritorta a danno dei soliti noti.
Pier Giorgio Pinna
A chi ha orecchie per intendere: non ci sono situazioni complesse, soltanto situazioni fuori controllo. L’INPS è nato come ente previdenziale, Lo Stato dovrebbe fare ricadere sul ministero del lavoro cig , sussidi e ogni altro tipo di assistenza. Al ministero della Salute dovrebbero fare capo invalidità e ogni altro genere di cure sanitarie.
Invece ecco che cosa emerge dall’ultimo
COMUNICATO STAMPA diramato il 13 ottobre dall’Ufficio Comunicazione esterna dell’Istituto alle agenzie di stampa e ai quotidiani a diffusione nazionale.
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Il CIV dell’INPS approva la nota di assestamento
al bilancio di previsione 2021
Il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’INPS, presieduto da Guglielmo Loy, nella riunione del 12 ottobre ha approvato, all’unanimità, ed in via definitiva, la nota di assestamento al bilancio preventivo dell’INPS per l’esercizio 2021.
I principali risultati del Bilancio sono stati determinati sulla base del Documento di Economia e Finanza (DEF) 2021 deliberato dal Consiglio dei Ministri in data 15 aprile 2021 e non può tener conto, invece, della Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza deliberato dallo stesso Consiglio dei Ministri il 29 settembre 2021.
I risultati della Nota di assestamento 2021 approvato si riassumono in:
* 8.600 milioni di disavanzo finanziario di competenza (-1.448 milioni rispetto al consuntivo 2020);
* 230.844 milioni di entrate contributive, (+5.694milioni rispetto al consuntivo 2020);
* 363.458 milioni di prestazioni istituzionali, (+3.941milioni rispetto al consuntivo 2020). In particolare, la spesa per prestazioni pensionistiche è risultata pari a 241.334 milioni (+4.649 milioni rispetto al consuntivo 2020);
* 15.462 milioni di disavanzo economico di esercizio (+9.738 milioni rispetto al disavanzo di 25.200 milioni del consuntivo 2020);
* 904 milioni di disavanzo patrimoniale al 31 dicembre 2021 (la situazione patrimoniale netta al 31 dicembre 2020 risultava positiva per 14.559 milioni di euro).
Nell’approvare la nota di assestamento, il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza Inps auspica la riapertura del tavolo di confronto per il riallineamento delle poste di credito e debito tra Ministeri e INPS, reso urgente anche per contenere i riflessi negativi della nuova disciplina relativa alle prestazioni COVID – 19 che aggrava, in maniera evidente, il saldo negativo e riduce la consistenza patrimoniale dell’Istituto. La decisione del legislatore, purtroppo senza adeguate contro osservazioni, ha comportato la messa in carico alla Gestione Prestazioni Temporanee e al FIS (quindi a carico Inps) delle prestazioni precedentemente poste a carico della fiscalità generale per 2.400 milioni.
Nella delibera approvata il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps, sottolinea, tra l’altro l’urgenza di dare forza ad un “patto con l’utenza” a partire dalla l’esigenza di garantire il diritto di accesso ai servizi INPS anche per coloro che non sono in grado di utilizzare strumenti informatici o digitali. A tal fine occorrerà adottare urgenti soluzioni che, attraverso gli intermediari riconosciuti e le associazioni di rappresentanza, individuino modalità semplificate per la così detta“delega/cessione a fiduciari della identità digitale”anche per evitare il proliferare di soggetti, non monitorabili, che operino per conto delle persone più fragili ed indifese.
Il “Patto con l’utenza” si dovrà concretizzare anche attraverso un’unica “Carta dei Servizi”, da cui discenda una comunicazione istituzionale che permetta a tutti i soggetti interessati di conoscere le prestazioni a cui potenzialmente si ha diritto, nonché le modalità di richiesta ed i tempi per ottenerle ivi comprese le regole per gli eventuali ricorsi amministrativi. Ciò al fine di garantire la tutela dei cittadini, anche in relazione alle novità legislative in tema di identità digitale.
Il CIV Inps evidenzia, infine, l’urgenza dell’aggiornamento e della normalizzazione del conto assicurativo dei dipendenti pubblici, dei lavoratori delle Poste e dello spettacolo e sport, al fine di garantire la piena esigibilità di diritti in maniera omogenea a tutti i lavoratori. Ciò per assicurare l’irrinunciabile diritto dei lavoratori al riconoscimento della contribuzione dovuta, caposaldo dell’ordinamento previdenziale, per i periodi di lavoro effettivamente prestati.
Il CIV Inps, inoltre, richiama gli altri Organi dell’Istituto a mettere in campo una vera e propria terapia d’urto sul tema della Invalidità Civile, a partire dall’immediato aumento di medici operativi. Il diritto ad una indennità per chi ha sofferenze psico-fisiche acclarate è fondamentale e vedere, drammaticamente, 1.7 milioni di cittadini in attesa di risposta, dei quali ben 282 mila che aspettano di essere chiamati per la prima visita dall’Inps e di 863 mila dalle Asl, è inammissibile.
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È tutto chiaro o c’è bisogno di altre spiegazioni sulle strategie politiche fallimentari degli ultimi decenni?
Mario
Questa è una delle tante storture del sistema previdenziale: come spesa per la reversibilità siamo nei primi posti tra i paesi Ocse. E ci credo bene, non è prevista alcuna età minima, nè durata minima del matrimonio e poi l’assegno si calcola sul reddito del coniuge superstite per cui è frequente il caso che i benestanti hanno il coniuge che non ha mai lavorato e viene premiato col il 60% della pensione del de cuius mentre una coppia dei pensionati statali o di operai viene penalizzata perché il coniuge superstite ha la pensione perché ha dovuto lavorare per mantenere la famiglia.
Secondo me non è stata tanto studiata la trappola della povertà determinata dalle pensioni di reversibilità; che non sia questa anche uno dei fattori che limitano la partecipazione delle donne, soprattutto adulte, al mercato del lavoro? Basta vedere mia madre che ha una pensione pari ad un terzo del marito.
Carla Reschia
In questo articolo risuona assordante l’assenza di una parola: “editori”. Si deve alle loro periodiche, ripetute e annunciate “crisi” e alla legge 416, benedetta e reiterata da questo governo, se i giornalisti a 62:anni e con 25 anni di contributi sono costretti, letteralmente costretti, a scegliere tra il prepensionamento forzato e la cassa a integrazione a zero ore con successivo licenziamento. In cambio di “assunzioni” in proporzioni infime che sono in effetti a mala pena regolarizzzioni di giovani abusivi sfruttati da anni. Illustre dottor Boeri, questo è capitato e sta capitando, ad esempio, a Repubblica, alla Stampa, testate che lei ben conosce. Le risulta? Sa che alcuni dei “parassiti” prepensionandi preferibbero continuare a lavorare come sarebbe loro diritto invece di essere cancellati professionalmente letteralmente da un giorno all’altro?
Giuliano Sadar
Sono costernato nel leggere da due esperti della materia economica e pensionistica che oggi i giornalisti vanno in pensione a 62 anni e 20 di contributi. Non è vero. Si aggiornino gli stimatissimi esperti prima di fare figure barbine come questa.
Marcello
Mi verrebbe da chiedere perchè vi sorprendete? E’ già successo per altre Casse e succederà ancora. Che dire della cassa dei Notai: quanti sono i pensionati e quanti coloro che pagano i contributi e soprattutto qual è la pensione media? E’ sempre la solita triste storia. Si parla di equità intregenerazionale e intragenerazionale ma poi alla prima occasione ce se ne dimentica, colpevolelmente vorrei dire. Sono argomenti buoni per una lezione all’università o per un’intervista da anima nobile, ma nella realtà lobby e corporazioni contano di più in questo triste paese. Cari autori non c’è niente da aggiungere alla vostra analisi e nessuno, ma proprio nessuno, può dire che non sapeva che sarebbe finita così. Ma tant’è …..
Lorenzo
Lo stesso si potrebbe dire dei tantissimi pensionati che prendono la pensione da più di 20-25 anni. Un contributo a partire da quelle più alte sarebbe benvenuto.
Mario
Il governo Draghi sta salvando l’Italia. Sono ben altri i problemi….