La riforma del catasto mira ad assegnare agli immobili un valore patrimoniale in linea con i valori di mercato, con l’introduzione di meccanismi di adeguamento periodico. Non tutti sono d’accordo. Ecco chi ha interesse a mantenere le cose come stanno.
Verso una revisione del catasto
Il 29 ottobre 2021, il governo ha trasmesso alle Camere il disegno di legge delega per la riforma fiscale, che all’articolo 6 prevede la tanto attesa quanto temuta riforma del catasto.
Stando al testo, la riforma mira ad assegnare a ciascuna unità immobiliare un valore patrimoniale e una rendita in linea con gli attuali valori di mercato e prevede l’introduzione di meccanismi di adeguamento periodico. Allo stesso tempo, è stato escluso qualsiasi effetto tributario dell’adeguamento: in altre parole, i valori di riferimento per la determinazione delle imposte rimangono per ora invariati.
L’utilizzo degli attuali valori catastali, tuttavia, genera uno squilibrio che è sia di carattere orizzontale, ovvero tra immobili dello stesso tipo e valore, sia verticale, ovvero tra immobili appartenenti a diverse categorie.
In questo articolo ci occupiamo del primo tipo di squilibrio, analizzando lo scostamento tra valore di mercato e valore catastale per le abitazioni civili nei comuni italiani.
Il disallineamento tra valori di mercato e valori catastali
L’analisi ideale richiederebbe dati a livello dei singoli immobili. In assenza di questi, possiamo comunque ottenere evidenza preliminare a livello comunale aggregando dati provenienti da diverse fonti, tra cui l’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi) dell’Agenzia delle entrate, il ministero dell’Economia e delle Finanze e il Censimento Istat 2011.
Nello specifico, abbiamo misurato lo scostamento tra il valore catastale medio comunale e le stime del valore immobiliare medio comunale per ciascun comune per l’anno 2018, il più recente con tutti i dati disponibili. L’intera analisi fa riferimento alle sole abitazioni civili (cat. A2/A3).
Il valore catastale medio comunale è stato calcolato sulla base della formula fornita dell’Agenzia delle entrate, secondo cui il valore catastale di un immobile si ottiene moltiplicando la rendita catastale per un coefficiente che varia a seconda che si tratti di prima o seconda casa (115,5 per le prime e 126 per le seconde). Abbiamo ottenuto la rendita catastale media delle abitazioni civili a livello comunale effettuando il rapporto tra rendita catastale totale per comune e numero di unità immobiliari urbane (Uiu), entrambi per la sola tipologia di immobili considerata. Successivamente, al fine di tenere in conto la differenza nel moltiplicatore per tipo di abitazione, abbiamo approssimato la percentuale di prime case sul territorio comunale con la proporzione di famiglie residenti in una casa di proprietà sul totale delle famiglie residenti (fonte Istat 2011), armonizzati e resi disponibili dal Local Opportunities Lab.
Il valore immobiliare medio comunale è stato ottenuto moltiplicando il prezzo medio al metro quadro, fornito da Omi, per la metratura media, ottenuta dal Censimento 2011. Più precisamente, per ciascuna zona Omi (sono le aeree con caratteristiche immobiliari, urbanistiche e socio-demografiche omogenee) abbiamo considerato il valore medio tra il prezzo massimo e minimo al metro quadro per abitazioni civili “ordinarie” e abbiamo ottenuto il valore a livello comunale come la media dei valori delle zone Omi pesata per la superficie di queste ultime. Il dato sulla metratura, invece, è stato ottenuto effettuando il rapporto tra superficie totale delle abitazioni occupate nel comune e il numero di abitazioni occupate.
Chi guadagna di più dal mancato aggiornamento del catasto?
In figura 1 è riportata la differenza tra valore medio di mercato e valore catastale medio per i comuni italiani. Questa statistica è la più rilevante per valutare lo scompenso nella base imponibile a fini tributari. A causa dell’incompletezza di alcune fonti (soprattutto Omi) riusciamo a ottenere il valore per il 94 per cento dei circa 8 mila comuni italiani.
Figura 1 – Differenza tra valore medio di mercato e valore medio catastale per i comuni italiani (2018)
Innanzitutto, il valore catastale sottostima quello di mercato nella grande maggioranza dei comuni. La vasta opposizione alla riforma, che la rende da sempre una battaglia politicamente complessa, è quindi dovuta all’effettivo timore dei cittadini che l’aggiornamento dei valori determini un aumento della stima del loro patrimonio e, di conseguenza, un aumento della pressione fiscale.
In secondo luogo, due direttrici principali di disuguaglianze emergono chiaramente: tra Nord e Sud da un lato, e tra aree interne e aree urbane e aree costiere dall’altro. In particolare, le aree maggiormente agevolate dall’attuale disallineamento dei valori sono le zone costiere di Sardegna, Toscana e Liguria, oltre a grandi città come Roma e Milano. Dall’altro lato dello spettro, troviamo invece le aree interne del Sud Italia. Dall’attuale sistema catastale sembrano beneficiare quindi i proprietari di immobili in zone turistiche e nei centri produttivi.
Un ulteriore tassello all’analisi proposta è presentato in figura 2, dove è mostrata la relazione positiva (ρ= 0.455) esistente tra la differenza tra valori di mercato e catastali e il reddito imponibile pro-capite a livello comunale. In altre parole, i territori che registrano una differenza più marcata tra valori di mercato e valori catastali sono anche quelli in cui il reddito pro-capite è più elevato.
Figura 2 – Regressione della differenza tra valori di mercato e valori catastali e reddito imponibile pro-capite a livello comunale (2018)
L’esistenza di questa correlazione è attribuibile in gran parte al fenomeno delle migrazioni interne, ovvero al fatto che le persone si muovono laddove vi sono maggiori opportunità. Poiché l’offerta di abitazioni è notoriamente inelastica, una crescente domanda nei luoghi che offrono redditi più alti genera un continuo aumento dei prezzi e, di conseguenza, un maggiore scostamento dai valori catastali.
Come procedere?
In conclusione, il catasto non è semplicemente datato e disallineato ai valori di mercato. Il disallineamento è più marcato proprio in quei territori che, essendo più ricchi, dovrebbero contribuire maggiormente, con imposte appropriate, al sistema tributario.
La questione dell’aggiornamento delle rendite catastali lascia aperti alcuni interrogativi importanti. Il primo riguarda la frequenza e la gestione del processo. È impensabile un aggiornamento istantaneo, dunque va definita una cadenza regolare che garantisca una buona corrispondenza dei valori catastali con quelli reali degli immobili. A questo scopo, è importante prevedere un’infrastruttura digitale per la raccolta dati che sia facilmente aggiornabile.
In secondo luogo, a un progetto di aggiornamento dei valori catastali deve corrispondere una ridefinizione del sistema di tassazione connesso, che permetta di correggere le attuali iniquità prodotte dall’Imu. La conoscenza incompleta da parte del legislatore di quanto una persona realmente possiede rende impossibile sapere esattamente quanto questa sarebbe tenuta a pagare, compromettendo le finalità ridistributive della tassa.
*Hanno contribuito alla realizzazione dell’articolo:
Emma Paladino, Junior Researcher presso Irs e Senior Fellow di Tortuga.
Giorgio Pietrabissa, dottorando in economics presso il Cmfi di Madrid e Senior Fellow di Tortuga.
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Alberto Righini
Chiarissimi: il problema è stato ampiamente risolto in Francia. Il consiglio del dipartimento ogni due anni aggiorna i valori catastali degli edifici secondo un accurato studio dei loro valori commerciali.
Emanuele Bracco
Grazie per questo articolo, il primo che leggo sull’argomento basato su dati e non su suggestioni.
Queste risultanze confermano i timori che questo possa portare ad un inasprimento fiscale delle aree più ricche del paese (e del comune di Roma).
Certamente chi è più ricco deve contribuire di più, ma sarà necessario ripensare molto bene l’effetto della prima casa sull’ISEE ad esempio. Ad ora la franchigia è davvero piccola, e avere una casa di alto valore è più un costo che una necessità se si vive in alcune aree.
Mario
La differenza è alta non solo dove c’è il reddito più alto ma anche laddove le rendite sono basse perchè ciò ha stimolato gli acquisti immobiliari come nelle zone costiere perché generalmente un appartenente alla classe media prima di comprare una seconda casa si informa quanta Ici/Imu dovrà pagare ogni anno. E penso che anche le imprese, prima di costruire, abbiano valutato le rendite del comune perché se c’è poca domanda a causa dell’onere annuo rappresentato dall’imposta sulla casa, devono vendere a meno prezzo.
Inoltre vedendo la cartina, si fa più impellente la necessità di accelerare l’aggiornamento dei dati catastali perché le famiglie, che vivono nelle zone rosse, sono penalizzate dall’Isee ma purtroppo in una democrazia vige il principio della maggioranza per cui ci sarà forte opposizione all’aggiornamento in quanto questo impatterà negativamente sugli abitanti delle grandi città.
Paolo Vivani
Mi pare che la tassazione dei valori catastali fosse basata sulla consapevolezza di una disparità fra i valori catastali ed i valori reali. Per cui le aliquote compensavano.
Nel momento in cui si riallineano i valori dovrebbero calare le aliquote in quanto queste non sono legate ad una % di riferimento ma sono state definite solo al fine di generare un certo livello di tassazione.
Ma come spesso succede in Italia tutte le riforme finiscono soltanto per incrementare il prelievo.
Ed anche in questo caso capiterà
Paolo
Probabilmente la soluzione è l’introduzione del catasto tavolare, come già peraltro esiste in alcune zone d’Italia. A quel punto è il cittadino stesso che mantiene il catasto aggiornato in tempo reale in quanto nel suo interesse.
Roberto Marsicano
La revisione del catasto è il solito pasticciaccio brutto all’italiana.
La revisione andrebbe fatta dai diretti interessati, cioè comuni e regioni, che dovrebbero ricavare dagli immobili le loro fonti di finanziamento, come si fa in tanti paesi, con contemporanea eliminazione di altre imposte “assurde”, come l’IRAP, e anche le addizionali comunali e regionali.
In questo modo si comincerebbe a tagliare, con l’accetta, il tubo che alimenta gli sfizi e gli sfarzi di comuni e regioni che, alla fine allattano tutti alla tetta vizza delle lupa romana e quindi al debito pubblico per fare cose, molte del tutto inutili, che alimentano una diffusa corruzione in ambito locale.
Una gestione locale delle imposte, legate al bene Moloch degli italici, cioè il mattone, li farebbe svegliare dal comodo torpore dove non si sa chi paga i servizi e gli sfizi.
Ma può anche essere che sia questo il progetto, a medio termine, di MD?