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Inceneritore no, discarica sì: il paradosso dei rifiuti

La raccolta differenziata è indispensabile, ma restano scarti non riciclabili, per i quali mancano impianti adeguati a chiudere il ciclo. Così il no agli inceneritori porta a situazioni gravi come quella di Roma. Con la discarica come unica soluzione.

No agli inceneritori e soluzioni creative

Gli inceneritori non si possono più bollare come “macchine di morte” – se mai lo sono stati, oggi con tutta evidenza non lo sono più. Così la variopinta famiglia dei “no-inc” ha trovato l’argomento definitivo per continuare ad avversarli. La combustione dei rifiuti per produrre energia e calore non sarebbe proponibile come soluzione per gestire i rifiuti non riciclabili in quanto si tratterebbe di “una soluzione del secolo scorso”.

Nel nuovo secolo, invece, grazie all’economia circolare, ai nuovi materiali, alle raccolte differenziate iper-selettive, alla messa al bando della plastica monouso, sarà possibile spingere il riciclo fino a sfiorare il 100 per cento. Dunque, non ha senso realizzare impianti che, quando saranno operativi, potrebbero non servire più a niente.

Con sofismi del genere, giunte regionali di ogni colore – in testa il Lazio di Nicola Zingaretti – hanno espunto gli impianti dai loro piani di gestione. In Toscana, in luogo dell’impianto di Firenze il cui progetto si è impantanato al Consiglio di stato per qualche vizio di forma nell’iter autorizzativo, si è arrivati a prospettare un accordo con l’Eni per destinare gli scarti di mezza regione a una non precisata tecnologia che trasformerebbe quelli non riciclabili in idrocarburi utilizzabili nei normali processi di combustione, che non mi risulta sia stata mai testata su scala industriale.

Ora, si potrebbe obiettare che la ruota è una soluzione inventata qualche millennio or sono, ma non per questo smettiamo di utilizzarla, visto che le alternative per ridurre l’attrito – levitazione magnetica, cuscino d’aria– sono ancora poco pratiche e troppo costose, e il teletrasporto per il momento è applicato solo nei film di fantascienza.

Ma più che le battute, contano i fatti. E i fatti ci dicono che l’illusione di far sparire i rifiuti con le raccolte differenziate nasconde il solito trucco di trasformare quelli urbani in rifiuti speciali, scaricando a valle sulle imprese del riciclo l’onere di smaltire gli scarti, che sono tanto maggiori quanto peggiore è la qualità del materiale raccolto. Cosa che in genere si verifica quando si inseguono livelli di raccolta differenziata più spinti. Non fosse altro perché nella differenziata ci finiranno anche tutti quei materiali misti – polimeri non riciclabili, poliaccoppiati – che allo stato attuale riciclabili non sono.

I virtuosi della differenziata

Troppo spesso si celebrano i successi dei modelli di gestione “ricicloni”, come quello del Veneto orientale, contrapponendoli a quelli che fanno uso di impianti di incenerimento. Ma si dimentica di osservare che le raccolte differenziate super-spinte generano, a valle, scarti molto maggiori, sui quali però è molto difficile avere dati affidabili perché confluiscono agli impianti insieme a molte altre frazioni più pulite. Anche Ispra non aiuta, fornendo un sacco di numeri, ma non quelli che servirebbero. A ogni modo, a saperli leggere, i dati forniscono almeno qualche indizio.

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Per esempio, stando al bilancio di sostenibilità di Contarina (Treviso), il rifiuto secco riciclabile che si origina dalla raccolta differenziata (qui si sfiora il 90 per cento, un record mondiale praticamente) viene gestito per metà in impianti propri e per la parte rimanente in impianti di terzi. Per il flusso trattato “in casa” viene riportato il bilancio di massa, secondo il quale il 30 per cento circa è costituito da scarti. Nulla si dice dei flussi che sono trattati in impianti di terzi. Se ipotizziamo che la frazione di impurità sia la stessa, se ne deduce che il riciclo vero, nel migliore dei casi, può raggiungere il 60-70 per cento. D’altronde, i traguardi fissati dall’Ue per il 2035 prevedono un 65 per cento di riciclo e un flusso a discarica non superiore al 10 per cento (nel quale devono trovare posto tutti i sottoprodotti dello smaltimento)

Tutto questo accade a Treviso, in un territorio che consente anche nel centro storico una raccolta selettiva e capillare: cosa che risulta ben difficile immaginare in una grande metropoli come Roma.

Dal canto loro, le tecnologie per ricavare dagli scarti non riciclabili combustibili alternativi – siano idrogeno, gas metano o altro – sono ancora troppo lontane dalla fattibilità industriale su larga scala e hanno costi tuttora in larga misura ignoti, senza contare gli scarti a valle che andrebbero comunque gestiti.

Il fatto che questi scarti non riciclabili cessino di essere un problema per il gestore – che quindi può fare a meno di impianti di termovalorizzazione propri – non significa che cessino di essere un problema per il paese. Gli operatori del settore lamentano da tempo la cronica carenza di impianti adeguati a chiudere il ciclo, in mancanza dei quali questi rifiuti sono destinati a prendere la strada dell’esportazione – con i risultati ben evidenziati anche su queste colonne

L’emergenza di Roma

Ma se almeno nel campo degli impianti per il trattamento dell’umido qualcosa sembra muoversi, sull’altro fronte, “inceneritore” resta una parola tabù. Persino dove la situazione è drammatica, come a Roma. Sono sufficienti due numeri in croce per capire che senza un impianto come si deve la Capitale non potrà mai sfuggire alla morsa dell’emergenza. Neanche l’ormai ex amministratore unico di Ama, Stefano Zaghis, pur nominato dalla giunta più no-inc che si possa immaginare, non ne aveva fatto mistero, ottenendo in risposta il gelo (questo era del resto l’unico argomento su cui Nicola Zingaretti e Virginia Raggi si trovassero d’accordo). Tutto ciò era peraltro chiaro quando ancora c’era la discarica di Malagrotta di Manlio Cerroni, ma le amministrazioni che si sono succedute hanno preferito tirare a campare fino a fine mandato, pur di non dover pronunciare la “parola proibita”.

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E fu così che Roma si trovò a sperimentare un modello sui generis di economia circolare: si trasformano i rifiuti in sterco animale, materiale che, essendo cinghiali e gabbiani bestie selvatiche, non è neppure classificato come rifiuto, permettendo una singolare forma di “end of waste”. In pratica, come si faceva nel Medioevo, quando i rifiuti venivano abbandonati per le strade, e a farli sparire provvedevano maiali e capre. 

Invece delle “soluzioni del secolo passato”, evidentemente, si preferiscono quelle del millennio passato. Ma niente paura: per salvare la Capitale dallo sconcio dell’emergenza rifiuti, si sta profilando all’orizzonte la soluzione dei tempi nuovi: una bella discarica. Si tratta solo di decidere dove farla, ma non dubito che sarà solo questione di tempo. Durerà quel che durerà – lo spazio di una legislatura o magari anche due, se la faranno abbastanza grande, e se si potrà contare su qualche benedetta proroga. Chi spera però che, terminata la vita utile della nuova Malagrotta, magari con l’intercessione di Padre Pio, l’economia circolare avrà finalmente spiccato il volo, potrebbe andare incontro a brutte sorprese. E non saranno i programmati biodigestori – peraltro indispensabili – a chiudere la partita.

Mentre auguro al neo-sindaco Roberto Gualtieri buon lavoro e buona fortuna – ne ha bisogno – mi permetto un suggerimento. 

Da quasi duemila anni, Roma non ha uno stabilimento termale degno di questo nome. Le ultime terme sono state quelle di Caracalla, da tempo in disuso. Se a Copenhagen sull’inceneritore si scia, perché non immaginare a Roma un grande parco acquatico con piscine giganti, laghi artificiali riscaldati, hammam e saune, impianti sportivi e palestre, magari in un bel parco tematico dedicato alla ricostruzione in real life del mondo degli antichi romani? Dove il turista possa trascorrere qualche giorno vestito in toga, incontrare Cicerone e Muzio Scevola, cenare sdraiato sul triclinio, assistere a spettacoli (finti) di gladiatori, e andare, appunto, alle terme? 

Il tutto alimentato da un impianto moderno, che sfrutti le migliori tecnologie, cattura del CO2 compresa? Per l’impianto si potrebbe spendere il nome di Vesta, antica dea del focolare domestico. Si parta con un bel concorso di idee, non dubito che le archistar internazionali faranno la fila per presentarsi.

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14 commenti

  1. Giorgio Massobrio

    Cominciate a non usare il termine “inceneritore”, che è tecnologicamente non corretto, ma bensì “termovalorizzatore”; la differenza è negli scopi, nelle temperature di esercizio, nel controllo dei fumi e delle emissioni e nell’efficienza energetica.

    • Antonio Massarutto

      Fa bene a sottolineare la differenza tra vecchia e nuovi approcci alla combustione di rifiuti. Gli impianti moderni dovrebbero essere considerati come centrali termoelettriche alimentate da combustibili non convenzionali, e non come impianti di smaltimento.
      Gli è che provo repulsione per un certo vezzo italiano (ma anche europeo) di nascondere sotto un velo di perbenismo linguistico le parole poco chic, come se il cambio di nome cambiasse la sostanza della questione. Con la scusa che nomina sunt consequentia rerum, gli spazzini sono diventati netturbini (orrendo termine derivato da nettezza urbana), poi operatori ecologici, oggi agenti dell’economia circolare. La commissione europea ha bandito la parola “rifiuti” dal suo vocabolario, ricorrendo ad astrusi giri di parole pur di non nominarli, come il naso di Cyrano de Bergerac e il Natale. A proposito, buon Natale!

      • Giorgio Massobrio

        Non è ” vezzo italiano (ma anche europeo) di nascondere sotto un velo di perbenismo linguistico le parole poco chic, come se il cambio di nome cambiasse la sostanza della questione”, è proprio la sostanza del processo tecnologico che cambia; mi spiace, ma sembra che non lo voglia comprendere. Buon Natale.

        • Antonio Massarutto

          Ma sì che lo comprendo, guardi che la penso esattamente come lei nella sostanza.

  2. Donato Berardi

    Complimenti Antonio. L’articolo evidenzia bene i paradossi di un dibattito governato da posizioni ideologiche, a cui si contrappone una visione industriale del ciclo dei rifiuti dove il recupero energetico è un ingrediente imprescindibile, allo stato delle conoscenze. RD più spinte generano inevitabilmente più scarti, almeno fino a quando non diciamo chiaramente che alcuni imballaggi non sono ancora riciclabili, che molti polimeri e poliaccoppiati non sono riciclabili al momento perché non hanno circuiti dedicati, che i giocattoli e i tessili che hanno un potere calorifico finiscono ancora in discarica, come tanta parte dei rifiuti speciali, che ancora oggi finiscono a smaltimento pur essendo combustibili (su tutti il fluff ottenuto dalla frantumazione delle plastiche delle automobili). Nei giorni scorsi Carlo Calenda è stato protagonista di una clip presso l’inceneritore di Acerra, dove dichiara che il pregiudizio nei confronti degli inceneritori è folle. Eppure nella lunga corsa elettorale della Capitale il dibattito non ha mai neanche sfiorato il tema. Meglio tardi …

  3. Carlo Brusadelli

    A mio avviso questo importante argomento è stato affrontato con un eccesso di vis polemica e di sarcasmo. In questo modo si perde di credibilità.

  4. Flavio

    L’articolo sarebbe stato interessante se non fosse stato inutilmente polemico. Non sono un esperto ma sono certo che vi siano costi e benefici anche dall’incenerizione (o dalla termovalorizzazione se, come ha notato un lettore, tale è la parola corretta e magari non è solo un vezzo della UE o di qualche presunto radical chic). Voglio dire: invece della proposta un po’ provocatoria finale (spero non fosse vera) lo spazio a disposizione poteva essere usato per farci capire anche questo aspetto visto che prima l’autore era stato così chiaro a spiegare i costi del riciclo (e non lo dico con ironia).

  5. Antonio Massarutto

    La proposta finale invece è serissima. Magari senza toga, ma l’idea è in sostanza di prendere esempio da chi ha saputo trasformare gli impianti in un’attrazione turistica e in un simbolo in cui si riconosce l’intera città. Grazie anche a quell’impianto, Copenhagen ha raggiunto la neutralità climatica. Ma in Italia non se ne può neppure pronunciare il nome, senza scatenare rivolte di piazza subito cavalcate dal politicante di turno. Dice che sono polemico? Ma molto di più, sono sdegnato, inorridito, indignato! Lei non lo è? Non ci è bastata Napoli, ci voleva pure Roma, dove i cinghiali per le strade ci sono davvero, e la proposta di realizzare una discarica è vera pure quella. E in campagna elettorale di tutto si è parlato tranne che di ciò che servirebbe per tirar fuori la città da questa situazione. I rifiuti ce li hanno tutti, ma l’emergenza rifiuti ce l’abbiamo solo noi. Ci sarà un motivo?

    • Carlo Brusadelli

      Beh, questa risposta a mio avviso può indurre il lettore ad inserire il Prof. Massarotto nella schiera dei complottisti.

      • Antonio Carbone

        Nella risposta dell’autore, la domanda finale non è per nulla “complottista”, anzi! Solleva una questione serissima che investe la qualità dell’opinione pubblica, la rappresentatività e la forza propulsiva dei partiti e della politica in generale.
        È la politica incapace di indicare soluzioni o troppo pavida per sostenerle, in grado solo di seguire l’onda del consenso giorno per giorno, a generare i disastri che abbiamo sotto gli occhi.
        Chi ha le competenze per vedere le situazioni per come sono e non solo come vengono raccontate, se non dotato di una grande dose di cinismo, può vivere una condizione di frustrazione e di indignazione destinata solo a crescere.
        Faccio un esempio riguardante un altro servizio pubblico essenziale.
        Ho visto con i miei occhi schiere di sindaci, con tanto di fascia tricolore, manifestare sotto la sede di una regione, per l’acqua pubblica e contro una società di gestione del servizio idrico. Chissà se ricordavano che la stessa era di proprietà pubblica e che la politica locale (loro compresi) ne nominava i vertici (e ne condizionava le assunzioni)!
        PS. Secondo me, una parte di loro lo ricordava benissimo ma gli era utile manifestare in quel momento. Un’altra parte era talmente ignorante da non rendersi nemmeno conto dell’assurdità della situazione! Non so cosa sia peggio.

      • Antonio Massarutto

        Cominciamo con lo scrivere correttamente i nomi altrui, che dice? Poi, quando avrà imparato a scriverlo, magari mi spiegherà cosa intendeva dire, perché francamente non l’ho capito.

  6. Carlo Cici

    Ottimo articolo Antonio! L’idea per Roma sarebbe una svolta culturale per questo Paese a cui tendere e arrivare con processi di dialogo. Grazie per gli spunti.

  7. Si alle discariche légali Se dai rifiuti nascera’ l’énergia del futuro

  8. Roberto usai

    Con la differenziata non può esistere l’inceneritore o con l’inceneritore non può esistere la differenziata. Mentre e plausibile La discarica e l’ inceneritore o la discarica e la differenziata.se poi si guardano i costi in questa opzione meglio discarca e differenziata, in quanto inceneritore e differenziata non si può fare ameno della discarica.

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