L’acqua è una risorsa essenziale per la vita umana e per molteplici attività economiche. Ed è anche un paradigma di economia circolare. In Italia è necessario migliorare i modelli gestionali e premunirsi dai rischi dei cambiamenti climatici.

La situazione attuale dei servizi idrici

L’acqua è una risorsa essenziale sia direttamente per la vita umana che indirettamente per il suo ruolo in molteplici attività economiche, dall’agricoltura, all’industria e al terziario. La sostenibilità ambientale è inscindibilmente legata al ciclo dell’acqua che, infatti, rappresenta pienamente il paradigma dell’economia circolare: la risorsa idrica, una volta prelevata e utilizzata, dopo gli opportuni trattamenti, deve essere restituita all’ambiente anche in altre forme.

Il settore idrico è in continua evoluzione per migliorare la salvaguardia della risorsa idrica e garantirne il riuso grazie anche al ricorso alle nuove tecnologie, ma molto resta da fare. Per esempio, nell’ultimo Censimento delle acque per uso civile, relativo al 2018, il consumo pro capite di acqua potabile giornaliero si attestava intorno ai 215 litri per abitante. Sebbene il dato fosse in calo rispetto ai valori del 2015 (220 litri), si tratta comunque di un valore quasi doppio rispetto alla media europea (125 litri, dati Eurostat). Il gap si deve in larga parte alle perdite lungo la rete che, nell’ultima rilevazione di Utilitatis (Blue Book, 2021), si attestano al 40 per cento (figura 1).

Le criticità del settore sono sottolineate dalle quattro procedure di infrazione per la mancata o inadeguata attuazione della direttiva europea sul trattamento delle acque reflue urbane. Le procedure interessano ancora 939 agglomerati urbani per 29,7 milioni di abitanti equivalenti, con una diffusione su tutto il territorio, con l’esclusione solo di Emilia Romagna, Trentino Alto Adige e Piemonte (ministero della Transizione ecologica, maggio 2020).

Proprio queste problematiche avevano spinto negli ultimi anni a una forte accelerazione degli investimenti nel settore idrico. Anche prima dei fondi legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha destinato alla tutela della risorsa idrica 4,38 miliardi all’interno della Missione 2 – Rivoluzione verde e transizione ecologica – dal 2012 gli investimenti del settore avevano registrano una crescita costante. Infatti, nel 2019 il valore degli investimenti lordi è stato di 46 euro per abitante, con un incremento del 45 per cento rispetto al 2012 (figura 2).

Scenari futuri

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Questi dati aiutano a capire quali debbano essere le direttrici fondamentali per lo sviluppo del settore idrico nei prossimi anni. In primo luogo, servono investimenti in tecnologia per abbattere gli sprechi. Le innovazioni digitali sono in grado di contribuire a miglioramenti di efficienza e di efficacia dei servizi molto significativi. Da un lato, la digitalizzazione e l’interconnessione delle diverse componenti del processo produttivo permettono la sua ottimizzazione. Nelle infrastrutture di rete si potrebbero infatti introdurre dispositivi per la razionalizzazione della manutenzione, la regolazione dei flussi, il risparmio del fabbisogno energetico, la riduzione dell’inquinamento e altro ancora. Dall’altro, si potrebbero innalzare gli standard di prestazione dei servizi, adeguandoli alle esigenze degli utenti grazie a una capillare informazione e a una accresciuta flessibilità del processo produttivo. Attraverso l’elaborazione dei dati provenienti da “reti intelligenti”, i soggetti sarebbero agevolati nel definire dettagliatamente i servizi da erogare nelle diverse porzioni di territorio e nel monitorare costantemente il livello delle prestazioni. 

L’Arera, l’Autorità di regolazione del settore, può giocare un ruolo fondamentale, sia per spingere tutto il settore in questa direzione che per garantire la coerenza dei sistemi informativi e la portabilità e condivisione dei dati. Da tempo l’Autorità ha dedicato attenzione al tema, identificando per esempio un preciso obiettivo nel suo Quadro strategico 2019-2020, trasversale a tutti i settori regolati, ovvero l’OS.4 Sostenere l’innovazione con sperimentazioni e ricerca. È fondamentale che questo lo proceda e che le migliori pratiche individuate vadano a beneficiare il modo di operare dell’intero settore.

In secondo luogo, a livello di operatori serve migliorare i modelli gestionali. Per esempio, il dato sugli investimenti per abitante raccolto nel Blue Book (2021) rivela un divario significativo tra gestioni industriali e in economia. Per “gestione in economia” si intende la gestione diretta da parte dell’ente locale dell’azienda. Per quanto riguarda il settore idrico, sono 9 milioni le persone residenti in comuni in cui almeno un servizio tra quelli di acquedotto, fognatura e depurazione è gestito direttamente dall’ente locale; di questi, 5 milioni (59 per cento) abitano in territori in cui è l’intero servizio idrico a essere gestito direttamente dall’amministrazione locale. Analizzando questa tipologia di gestione, per il periodo 2017-2019 sono stati rilevati investimenti medi annui pari a 8 euro per abitante, ben al di sotto dei 46 euro rilevati per le gestioni industriali.

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Un’altra indicazione gestionale riguarda i benefici di una maggiore integrazione verticale. Sebbene nel nostro paese molti gestori siano verticalmente integrati, esistono alcuni grossisti, di diverse dimensioni, che sono responsabili delle fasi di captazione e adduzione, soprattutto nelle aree meridionali. Vari studi economici tendono generalmente a identificare l’esistenza di non trascurabili economie di integrazione verticale tra grossisti e distributori, soprattutto nel caso di operatori di medie e piccole dimensioni. Nel contesto italiano, sembrerebbero dunque suggerire la possibile convenienza a fondere i dettaglianti con i grossisti che operano nel loro ambito di riferimento.

In terzo luogo, serve uno sforzo di lungo periodo per gestire i rischi del cambiamento climatico. L’Onu, nel suo Rapporto mondiale sullo sviluppo delle risorse idriche del 2021, ha osservato come diverse aree del mondo – e tra queste la parte peninsulare e insulare del territorio italiano – siano già caratterizzate da un elevato stress idrico: il rapporto tra prelievi e risorse idriche rinnovabili disponibili risultano superiori all’80 per cento. Il cambiamento climatico in atto implica inevitabilmente la variazione della disponibilità della risorsa idrica. Nello specifico, comporta la necessità, nell’immediato, di garantire il diritto all’accesso all’acqua potabile e, al contempo, di definire e implementare strategie di lungo periodo che coinvolgano tutti i principali utilizzatori della risorsa (civili, industriali, agricoli) ai fini della sua tutela.

Un passo fondamentale in questa direzione è la sistematizzazione dell’impronta idrica (water footprint), ovvero il volume di acqua utilizzata per produrre i beni e i servizi, quale indicatore ambientale per tutti e tre gli ambiti (civili, industriali, agricoli), utile per sensibilizzare l’attenzione sull’utilizzo delle materie prime da parte di tutti coloro che ne fanno uso.

* Francesca Mazzarella è direttrice della Fondazione Utilitatis

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