Il miliardo di multa ad Amazon deciso dalla nostra Agcm è un ulteriore esempio dell’approccio europeo all’antitrust e alla privacy. È un modello efficace che fa leva sul lavoro congiunto delle autorità nazionali.

Il dominio delle piattaforme 

La recente maxi sanzione – oltre un miliardo di euro – che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha comminato ad Amazon per abuso di posizione dominante nel mercato italiano dei servizi di intermediazione sul marketplace, ha riportato alla luce, ancora una volta, i problemi legati al dominio delle piattaforme digitali – le cosiddette Gafam: Google (Alphabet), Amazon, Facebook, Apple, Microsoft – che appare sempre più incontrastato. 

Attualmente, Google primeggia nel settore dei motori di ricerca con oltre il 90 per cento di quota di mercato; Amazon detiene il 40 per cento del mercato del commercio elettronico ed è leader nei servizi cloud con una quota del 32 per cento; Facebook ha il 72,2 per cento della quota di mercato nei social media (quota ancora maggiore se si considera anche Instagram); Microsoft domina il settore dei sistemi operativi per computer con il 71 per cento di quota di mercato, e Apple, pur non essendo dominante in alcun mercato, è presente in diversi settori (hardware, sistemi operativi, streaming video e musicale) con quote di mercato significative. 

Le imprese leader nei mercati digitali hanno un’importante caratteristica: sono piattaforme, ovvero mercati a due parti che danno accesso a una moltitudine di beni e servizi spesso venduti in bundling, ovvero in “pacchetti” – dai dispositivi hardware al commercio elettronico, dallo streaming di contenuti video e musicali, ai software e ai servizi cloud. In questo modo, creano uno spazio virtuale di grande valore sia per i consumatori, sia per le imprese che vi partecipano, ma alimentano effetti di rete e generano meccanismi di lock-in, che hanno come conseguenza una riduzione della concorrenza, dovuta anche alla difficoltà per eventuali nuovi entranti di competere simultaneamente in diversi settori, sfruttando economie di scala e di scopo. Questo può avere effetti negativi per i consumatori e per i fornitori di beni e servizi, sia in termini di prezzi, sia in termini di accentramento delle informazioni e dei dati. Il controllo dei dati, in particolare, conferisce alle piattaforme un grande potere: con più dati a disposizione, infatti, un’impresa ha la possibilità non solo di migliorare i propri prodotti e i propri servizi, ma anche di attirare più utenti e generare ancora più dati creando un circolo virtuoso per sé, ma potenzialmente dannoso sia per la privacy, sia per la concorrenza.

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A questo si aggiungono poi pratiche non sempre trasparenti nella gestione delle piattaforme, come accaduto nel caso di Amazon, che ha sostanzialmente favorito il proprio servizio di logistica Fba (Fulfillment by Amazon) per i venditori attivi sulla piattaforma Amazon.it ai danni degli operatori concorrenti nel mercato. L’utilizzo del servizio logistica di Amazon è infatti associato a numerosi vantaggi che permettono di ottenere più visibilità e quindi più profitti. Il principale beneficio è rappresentato dall’etichetta Prime, che consente di vendere con più facilità ai consumatori aderenti al programma di fidelizzazione di Amazon e permette di partecipare a eventi quali Black Friday, Cyber Monday, Prime Day, aumentando la probabilità che l’offerta del venditore sia ben visibile, per esempio perché visualizzabile nella cosiddetta Buy Box. 

Le sanzioni europee

La multa comminata ad Amazon, tuttavia, non rappresenta un caso isolato nell’ambito della regolamentazione della concorrenza nel mercato delle piattaforme digitali. Dal 2017, Google è stata sanzionata tre volte, per un totale di 8,2 miliardi di euro, per aver promosso il proprio servizio di comparazione di prezzi nei risultati di ricerca, oltre che per aver abusato del suo potere nel mercato pubblicitario. Analogamente, sempre nel 2017, Facebook è stata multata per 110 milioni di euro per aver fornito informazioni incomplete all’Unione europea in merito all’integrazione di WhatsApp nel suo social network. Ad aprile 2021, la Commissione europea ha accusato Apple di aver abusato della propria posizione dominante nella distribuzione delle app per i servizi di streaming musicale – attraverso l’App Store – per favorire il suo servizio, Apple Music. Le indagini erano state aperte nel 2020 dopo una denuncia di Spotify, che aveva chiesto l’intervento della Commissione europea per impedire all’azienda di Cupertino di riscuotere commissioni da chi vende servizi attraverso il suo App Store (incluso, ad esempio, il passaggio dal servizio gratuito a quello premium di Spotify). 

Un aspetto importante del recente provvedimento contro Amazon è la stretta collaborazione fra l’Agcm e la Commissione europea nell’ambito dell’European Competition Network (Ecn), un forum creato nel 2003 per la discussione e il coordinamento in merito a casi singoli e questioni più generali riguardanti la legge sulla concorrenza dell’Unione europea. Nel caso di Amazon, si è decisa l’attribuzione della causa in modo congiunto per avere un utilizzo efficiente delle risorse che potesse beneficiare sia i consumatori, sia le imprese coinvolte. Le indagini della Commissione europea attualmente in corso, che riguardano l’utilizzo improprio di dati aziendali dei venditori terzi che vendono sulla piattaforma di Amazon e le pratiche commerciali legate ad Amazon Prime, testimoniano come l’approccio europeo all’antitrust (e parallelamente alla privacy) offra un modello efficace per la gestione dei dati e della concorrenza, grazie anche al lavoro congiunto delle autorità dei diversi stati membri e di un’attenzione particolare alla responsabilità delle piattaforme digitali nell’attuazione di pratiche commerciali scorrette e nella gestione dei dati. 

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