Un ricordo di Marco Vicinanza, che ha conosciuto Francesco Daveri fin dalle scuole medie e che ha percorso insieme a lui buona parte del percorso di studi.
La prima volta che ci siamo incrociati eravamo adolescenti, entrambi studenti di terza media alla Matteo Ricci. Io appena arrivato a Milano, un po’ spaesato, tu spavaldo e a perfetto agio nell’ambiente della scuola e del quartiere. Ancora oggi, ho in testa un’immagine nitidissima di te al campetto di basket di QT8 con quell’incedere dinoccolato e i capelli spettinati come sono sempre rimasti.
Da allora, all’inizio senza che lo volessimo, le nostre strade non hanno più smesso di intrecciarsi. L’anno dopo ci ritroviamo entrambi al Liceo Beccaria. E negli anni del liceo la nostra amicizia inizia a cementarsi. Eravamo in sezioni diverse. In te crebbe subito l’interesse per la politica attiva. Negli anni Settanta, chi faceva politica tendeva spesso a prendersi molto sul serio e a sforzarsi di mostrare il lato più duro della propria personalità. Tu già allora mostravi una capacità di lettura della realtà complicata di quegli anni che pochissimi nostri coetanei avevano; ma, allo stesso tempo, sapevi essere leggero, ironico, spiritoso.
Quante serate passate insieme nei luoghi sacri dello svago di quegli anni: il bar Magenta, Sant’Eustorgio, le Colonne di San Lorenzo… La tua voglia di vivere e di stare tra la gente era contagiosa. Eravamo immortali.
Alla fine del liceo, ricordo che non ci confrontammo più di tanto su cosa fare dopo. Io decisi di iscrivermi a Economia alla Bocconi. All’inizio di settembre, prima dell’inizio dei corsi, ero nell’androne di via Sarfatti. Nella folla, vedo i tuoi soliti capelli spettinati e riconosco l’inconfondibile andamento dinoccolato.
“Ma Marco” mi dicesti, “perché ti sei iscritto a Economia? Per noi che abbiamo fatto il liceo classico lo sbocco ideale è il DES, che ha un deciso taglio umanistico”. Non faticasti molto a convincermi, evidentemente avevi un discreto ascendente su di me. Non so quante centinaia di volte ti ho rinfacciato quella tua valutazione, soprattutto nei periodi in cui preparavamo insieme l’ennesimo esame su discipline quantitative.
Quegli anni li abbiamo vissuti in totale simbiosi. I primi due in particolare, tutti i giorni per cinque ore seduti uno di fianco all’altro su quelle sedie di legno da cineforum di provincia delle aule del DES. In università ci andavamo insieme: io insistevo per muoverci con la mia Vespa, tu ti opponevi giustificandoti con inesistenti problemi di otite e proponevi di muoversi con la tua Simca: “tanto io ho fortuna, trovo sempre parcheggio” era un tuo tormentone.
Abbiamo preparato pressoché tutti gli esami insieme. Io sempre un po’ in ansia alla vigilia della prova, tu non perdevi mai il buon umore e la tranquillità, che era il frutto del tuo modo razionale di agire: quando un ostacolo, di qualunque natura, si parava davanti a te, ti fermavi ad analizzarlo, ne prendevi le misure; poi lo affrontavi. E passavi sempre oltre. Il tuo intuito smisurato. Ricordo che quasi sempre mi annunciavi di aver finito la prima lettura del materiale di esame quando a me sembrava di essere appena agli inizi. “Francesco, come hai fatto a leggere in così poco tempo tutto il libro?” Tu mi rispondevi “Non l’ho letto tutto, ma ad un certo punto ho capito come andava a finire”.
Finito di studiare, la sera ancora insieme con amici e, in quel periodo, i viaggi estivi.
Dopo la laurea, ancora una volta e per un anno uno accanto all’altro in una stanza dell’Istituto di Economia Politica; poi io decido di andare a lavorare nel settore privato, tu scegli di intraprendere la carriera accademica.
I nostri percorsi si separano, e le nostre frequentazioni si diradano per qualche tempo, senza mai interrompersi. E negli ultimi anni, inevitabile, ricomincia una intensa frequentazione. Ho vissuto con soddisfazione e con un pizzico di orgoglio i tuoi successi professionali e la visibilità che hai acquisito nel tempo. I tuoi “pezzi”, i tuoi interventi mi colpivano sempre per la chiarezza e la tua capacità di andare al punto. Quando però li commentavo con te con immancabili messaggi, il tono non era mai serio. Ti giravo contro il tuo tormentone: “Certo, hai come al solito mostrato grande abilità di analisi, ma il tuo punto di forza rimane la capacità di trovare sempre parcheggio”. Il tuo umorismo, la tua autoironia, la tua capacità di non prenderti troppo sul serio sono senz’altro tra le caratteristiche che ho più apprezzato in te. Fino alla fine, abbiamo riso come ridevamo quando eravamo al liceo.
Poi è arrivato quel maledetto giorno nell’autunno del 2020. Io e Ilaria ad aspettarti da Gattullo, e tu non sei venuto all’appuntamento. Hai reagito alla malattia secondo il tuo stile: analizzavi la situazione con razionalità e cercavi di prendere le misure all’ostacolo. Mai mi hai parlato delle tue paure per l’esito. La tua grande angoscia era sempre legata al timore di non essere in grado di recuperare in pieno le tue forze intellettuali. Ho cercato di esserti vicino, di incoraggiarti e di confortarti, ma il senso di impotenza mi soffocava. Per assurdo che sia, la forza e la dolcezza di Patrizia ha aiutato anche me.
Ho sperato in un esito diverso, anche quando non aveva senso sperare. E così te ne sei andato troppo presto, e ti sei portato via un pezzo di me. Fai buon viaggio, Francesco. Se c’è un dopo, vedrai che ci incroceremo ancora una volta. Da qualche parte, riconoscerò i tuoi capelli spettinati e il tuo inconfondibile andamento dinoccolato.
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Fausto Panunzi
Grazie, Marco. Avere accanto Francesco era un grande privilegio che tutti noi abbiamo perso. Ricordare i momenti passati insieme a lui un po’ aiuta e un po’ fa sentire più forte il dolore della mancanza.
Gianfranco Viesti
Caro Marco,
grazie. Un bellissimo ricordo. Sono contento, ma anche commosso, per aver condiviso un piccolo periodo di questa storia. Ricordi che conserverò.
Ciao
Gianfranco Viesti