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Perché le scelte dei genitori non ricadano sui figli

Considerare i bambini come cittadini può ridurre considerevolmente la riproduzione della disuguaglianza economica tra generazioni. È il lascito principale della sociologa Sara McLanahan. E per questo vengono varate misure che si basano sui figli, più che sui genitori, come l’assegno unico, appena entrato in vigore in Italia.

I bambini come cittadini

Perché le politiche sociali non devono discriminare contro le scelte di vita di coppia? Perché è importante che la società e lo stato sostengano in modo concreto i bambini indipendentemente dalle scelte dei genitori? Essenzialmente, per evitare che gli svantaggi di una generazione si ripercuotano sulla generazione successiva, e oltre ancora. Ossia per evitare che le scelte di vita di una madre o di un padre servano a produrre svantaggi permanenti per i figli. Per questo vengono varate misure che si basano sui figli, piuttosto che sui genitori, come l’assegno unico appena entrato in vigore in Italia, che viene erogato, almeno in parte, indipendentemente dal reddito dei genitori. Trattando i bambini come cittadini e non solo come figli.

Destini divergenti

Sembra ovvio dirlo, ma anni di politiche sociali volte a “incentivare” scelte “sagge” per teenager e genitori, spesso non protetti da istruzione superiore, hanno lasciato più soli i figli di madri sole, di genitori conviventi, di genitori in coppie dello stesso sesso. E non hanno pensato ai bambini, concentrandosi troppo su quello che avevano, o avevano fatto, i genitori.

Il lavoro di Sara McLanahan, sociologa e demografa della famiglia dell’Università di Princeton, che ci ha lasciato proprio alla fine del 2021, ha mostrato invece come le scelte familiari e demografiche di una generazione si intersecano con la disuguaglianza economica. McLanahan ha usato i dati in modo semplice, in una memorabile relazione presidenziale alla Population Association of America pubblicata nel 2004. Ha documentato come le scelte “libere” dei padri e delle madri, nell’era individualizzata della seconda transizione demografica, divengano vincoli pesanti per i figli. Si creano così i “destini divergenti”. Da un lato, coloro che provengono da classi agiate, che si possono permettere di accedere ai comportamenti familiari innovativi e cumulare facilmente i redditi tra madre e padre, creando risorse economiche per i figli. Dall’altro, coloro che provengono da classi più disagiate, con madri (e spesso anche padri) con risorse economiche più limitate e lavori meno gratificanti e flessibili. Per questi ultimi, l’instabilità familiare e di carriera vanno di pari passo, con conseguenze economiche negative sui figli.

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Sostenere i bambini

Il lavoro di McLanahan non è stato esente da critiche. In particolare, è discutibile l’idea che il concetto dei “destini divergenti”, creato per gli Stati Uniti, sia generalizzabile ad altri paesi e abbia un’importanza indipendente dalle politiche sociali. Tuttavia, prima di correggere la rotta, occorre valutarne la direzione, ed è questo il contributo fondamentale, la scoperta, di Sara McLanahan. Considerare i bambini come cittadini e non solo come figli, con politiche e welfare mirati, può infatti diminuire in modo importante la riproduzione tra generazioni della disuguaglianza economica e liberare le generazioni successive dalle preferenze familiari dei genitori o dei nonni. Nell’era dei nuovi comportamenti familiari e della necessità di conciliare lavoro e famiglia, è fondamentale, dunque, pensare ai bambini prima di tutto.

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  1. Federico Leva

    Non conoscevo McLanahan, grazie. Vedo che l’articolo del 2004 (disponibile gratuitamente da https://oadoi.org/10.1353/dem.2004.0033 ) già dimostrava il successo della Finlandia nell’attuazione di questo principio.

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