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Schema all’inglese per il credito alle Pmi

Il credito alle piccole e medie imprese è la chiave di volta per la ripresa. Nel Regno Unito hanno provato a favorirlo con un programma che punta a ridurre il tasso di interesse. Ma proprio qui sta la ragione dello scarso successo che finora ha incontrato. Una lezione valida anche per l’Italia.
L’ARCHITETTURA DEL FLS
Le piccole e medie imprese e il loro bisogno di credito, autentica chiave di volta per la ripresa, sono il terreno sul quale si stanno misurando numerose proposte, da quelle di più immediata attuazione, come l’utilizzo di fondi di garanzia statale, a quelle di più lungo periodo. Alcune di queste fanno riferimento a esperienze straniere la cui sperimentazione può rappresentare un utile punto di riferimento per riflettere sulle iniziative da prendere.
In Inghilterra, nel giugno del 2012, la Banca d’Inghilterra e il ministero del Tesoro, hanno promosso un programma denominato Funding for lending scheme, per accrescere le opportunità di accesso al credito. Lo schema è stato ridisegnato lo scorso 24 aprile. L’obiettivo è quello di accrescere la disponibilità di credito riducendo, al tempo stesso, i tassi di interesse.
Nel periodo compreso tra il 1º agosto 2012 e il 31 gennaio 2015 (inizialmente il programma doveva terminare un anno prima), la Banca d’Inghilterra si è resa disponibile a prestare alle banche e alle building society (istituzioni finanziarie che operano principalmente nel settore immobiliare), Treasury Bills che possono essere dati in garanzia per raccogliere fondi sul mercato finanziario. Nella prima impostazione dello schema, beneficiari finali dei prestiti dovevano essere le famiglie e le imprese; l’aggiornamento, con lo scopo di accrescere le possibilità di alimentare l’economia reale, ha incluso anche le società di leasing, factoring e quelle che erogano mutui e credito nel settore dell’edilizia abitativa.
Banca d’Inghilterra e Tesoro hanno stimato che l’adesione di tutte le banche al programma avrebbe potuto accrescere il credito all’economia di 80 miliardi di sterline. L’impostazione iniziale dello schema permetteva alle banche di ottenere in prestito Treasury Bills per un importo massimo  corrispondente al 5 per cento dell’ammontare dello stock del credito concesso al settore non finanziario dell’economia al 30 giungo del 2012, incrementato dell’intero importo del credito netto – dato dalla somma algebrica del nuovo credito concesso e dei pagamenti ricevuti per l’estinzione dei crediti in essere – concesso dall’inizio dell’operatività del programma fino alla fine del 2013. Il recente intervento si è proposto di accrescere il flusso di credito e di stimolare le banche a indirizzare i finanziamenti soprattutto verso le piccole e medie imprese. Per raggiungere questo obiettivo vengono ponderati con pesi diversi gli incrementi netti di credito che le banche erogano alle varie categorie di soggetti. (1)
Il prestito dei Bills è oneroso per le banche, con una curva dei costi disegnata per spingerle a incrementare l’ammontare complessivo del credito. Per quelle che aumentano (mantengono stabile), lo stock rilevato alla fine di giugno del 2012, viene applicato un tasso di interesse dello 0,25 per cento in ragione annua; in caso di deleveraging può arrivare fino all’1,5 per cento. Secondo una stima ufficiale, il ricorso all’Fls costerebbe alle banche 75 punti base, 25 per il prestito dei Treasury Bills e 50 per il funding sul mercato. (2) Un costo, questo, di circa 100 punti base inferiore rispetto a quello del funding attraverso il ricorso a coverd bond (stima al 26 novembre 2012).
GLI EFFETTI DEL PROGRAMMA
I report di monitoraggio trimestrali pubblicati dalla Banca d’Inghilterra non forniscono dettagli sull’andamento dei tassi attivi, rispetto ai precedenti livelli, sui finanziamenti accordati, anche se si sottolinea che “i prestiti sono ora generalmente disponibili a costi più bassi rispetto a prima”. (3)
Quanto all’incremento del credito disponibile, secondo obiettivo del programma, dal rapporto pubblicato nello scorso mese di marzo, risulta di dimensioni inferiori alle attese. L’espansione del credito non sembra essere stata particolarmente rilevante nel terzo trimestre del 2012: tra banche e building society solo sei avevano aderito al programma, prelevando circa 4,4 miliardi di sterline. Nel quarto trimestre i soggetti che aderiscono allo schema erano diventati circa una quarantina (coprono l’80 per cento del mercato dei prestiti alle attività non finanziarie), ma sono solo undici quelli che hanno concretamente fatto ricorso all’Fls prelevando circa 9,5 miliardi di sterline. L’aumento di 2 miliardi di sterline dello stock, certificato alla fine di giugno 2012, non è stato sufficiente a compensare la riduzione di 4,4 miliardi di sterline registrata dall’intero sistema creditizio. Un risultato, questo, in controtendenza, almeno per ora, rispetto all’obiettivo di far affluire maggiore credito al settore delle famiglie e a quello delle imprese.
NON TUTTO DIPENDE DAL TASSO DI INTERESSE
Sulla stampa inglese si possono leggere valutazioni contrastanti del programma. I suoi critici ne discutono l’efficacia, mentre i promotori sostengono che, per valutarne a pieno la validità, occorre tempo, affinché trasmetta i suoi effetti all’economia reale.
Ma se la performance dell’Fls non è stata finora quella attesa non è, verosimilmente, solo perché opera da un tempo relativamente breve .
Il programma si basa sul presupposto che sono gli alti interessi attivi, a loro volta dovuti all’elevato costo di funding per le banche, a ostacolare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese e delle famiglie. Riducendo il costo di raccolta per le banche, e trasferendo il vantaggio alla clientela, sarebbe divenuto, di conseguenza, più facile per famiglie e imprese finanziare le loro attività e investimenti.
Una riduzione del costo del danaro può, da sola, influire molto più sulle decisioni di investimento delle famiglie (per esempio nell’accensione di un mutuo per l’acquisto di un’abitazione) che non su quelle delle imprese. Le aziende assumono le loro decisioni anche o, forse, soprattutto in base alle aspettative di profitto, che possono realizzare solo se riescono a piazzare le loro merci. Se l’economia ristagna e addirittura arretra, intervenire solo sul costo del danaro può risultare insufficiente. Il Guardian (13 marzo 2013) ha sintetizzo in questo modo la performance del programma inglese: “se l’Fls è considerato un flop è perché l’economia è un flop”.
Anche da noi, forse, è necessario prendere atto che in assenza di serie politiche per rimettere in moto l’economia e sostenere la domanda, le sole iniziative per espandere il credito, pure necessarie, rischiano di essere poco efficaci: l’acqua c’è, ma il cavallo non beve, direbbe Keynes.
 (1) Per famiglie, grandi imprese, società di factoring eccetera, il peso è sempre 1, mentre per le piccole è medie imprese è 10 per il 2013 e 5 per il 2014. Si può semplificare con un esempio: se negli ultimi tre trimestri del 2013, una banca registra un incremento del credito netto erogato di 1 miliardo di sterline concesso a grandi imprese e altrettanto a pmi, nel primo caso potrà prendere a prestito Bills per 1 miliardo di sterline e nel secondo per 10; il ripetersi di questo risultato nel 2014 crea le condizioni di incrementare la provvista rispettivamente per 1 e 5 miliardi di sterline.
(2) Vedi Rohan Churm, Amar Radia e altri, “The Funding for Lending Scheme”, Bank of England, Quarterly Bulletin 2012 Q4 http://www.bankofengland.co.uk/publications/Documents/quarterlybulletin/qb120401.pdf
(3) Paul Fisher, Current issues in monetarypolicy, University of Bristol – London Alumni Event, 26 February 2013 http://www.bankofengland.co.uk/publications/Documents/speeches/2013/speech639.pdf, p. 11

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  1. Alessandro

    A ragione Cristina (presidente Argentina)….un popolo che ha un inflazione zero, ma è triste, senza prospettiva e con una ricchezza in discesa… (io aggiungerei anche vecchio nei pensieri della sua classe dirigente)….è un popolo destinato al declino.
    Negli anni 80 nonostante un tasso altissimo i mutui venivano erogati e pagati….continuo a pensare che l’unica soluzione per ridistribuire la ricchezza sia la svalutazione….perdono di più i ricchi meno (o guadagnano) i poveri e gli indebitati…

    • Piero

      Con l’inflazione non vi è uno spostamento della ricchezza dai ricchi ai poveri ma tra la classe della rendita e quella dei lavoratori e imprenditori (del lavoro); in presenza di un debito statale che ha già raggiunto il 130%, che di fatto non è rimborsabile con la moneta buona, ossia con i profitti dei lavoro (imprese e lavoratori), si deve rimborsare con la moneta cattiva (l’inflazione).
      Questa politica viene osteggiata in Europa dai paesi nordici, i quali i sono avvantaggiati di un regime di cambi fissi; oggi o si cambia politica monetaria, con la creazione di base monetaria oppure vi sarà la rottura dell’area valutaria dell’euro.
      Per il credito da dare alle pmi, non vedo via d’uscita nel breve che attuare i due strumenti attualmente esistenti in Italia il Mediocredito centrale con la garanzia 662 e la Cassa Depositi e Prestiti con mutui di liquidità da concedere alle pmi, il tutto deve avvenire con pratiche burocratiche snelle e veloci, l’unica condizione che deve chiedere lo stato e che vi sia l’impegno che l’impresa non diminuisca l’occupazione per almeno due anni; con tali condizioni si raggiungono due obbiettivi, il primo si aiutano le imprese a superare questo delicato momento di crediti crunch (provocato dalla crisi di fiducia del mercato nel debito pubblico) e dall’altro lato di evitare il ricorso agli ammortizzatori sociali, in sintesi e’ preferibile finanziare le imprese che riducono il ricorso agli ammortizzatori sociali che direttamente gli ammortizzatori stessi.

  2. Federico

    Tagliare il cuneo fiscale, e razionalizzare la spesa pubblica (40 billion di sprechi, all’anno, di cui soli 15 di appannaggio della politica: Istat 2013; OECD ma anche “panorama” sic! “In Italy taxes are too high and salaries too low”..) per tagliare le tasse ed il costo del lavoro dovrebbero essere le priorità assolute. Perchè nessuno ne parla?

  3. Raffaello

    Vorrei sapere cosa intendete per accesso al credito e relativa difficoltà. Vi riferite a credito d’esercizio (a breve) o a credito all’investimento? Intendete dire che devono essere cambiate le regole (di vigilanza) per la valutazione del merito creditizio, e quindi le regole (di vigilanza) di valutazione degli attivi patrimoniali delle banche, e di classificazione dei crediti (normali, p.d., incagli, sofferenze)? Mi sembra che anche questo problema venga affrontato, in questo paese, con degli “spot” ad effetto e con analisi di superficie. Perché non diciamo che il nostro impianto produttivo, al pari dell’intero paese, ha seri problemi strutturali, che in Italia si produce poco e sempre meno, e via via si perdono le relative professionalità? O pensate che dare un po’ di soldi ad una PMI per andare avanti qualche mese sia la soluzione?

  4. Francesco Scacciati

    Per 30 anni i neo-liberisti hanno fatto tabula rasa della cultura economica. E così, concetti che erano ben noti anche agli studenti del primo o del secondo anno — come l’inefficacia (totale o parziale) della politica monetaria in recessione e il fatto che sia l’aumento atteso della domanda aggregata la principale determinante degli investimenti ( modello dell’acceleratore) – sono ignorati dai policy makers e sono scoperti oggi dagli economisti più illuminati come se fossero delle novità. Meglio tardi che mai.

  5. Federico

    Il credito filosofale..ma non si parla ancora di riforme strutturali, taglio del costo del lavoro/tasse e incentivi distorsivi. Forse non molti lettori sapranno che in Finlandia c’è lo stesso numero di inchieste per corruzione per abitante che in Italia, (cfr. Davigo, P. e Mannozzi, G., La corruzione in Italia, 2007), eppure il rank dell’Italia è attualmente il 72° posto, a 3 notches dalla Bulgaria…Tasse e corruzione. Lì si deve intervenire, razionalizzazione della spesa pubblica, semplificazione normativa e repressione della corruzione.

  6. Federico

    Ciao a Tutti. Ieri il Pres. Fr. Hollande ha chiesto al premier di presentare a giugno un piano decennale di investimento, focalizzato principalmente su digitale, transizione energetica, sanità, infrastrutture trasporti, silenzio/assenso, mobilitazione risparmio (fondi livret A, cassa depositi), senza nuove avventurose operazioni a debito (cfr. es. Les Echos). L’Italia ha bisogno assoluto di razionalizzazione, semplific. burocratica, normativa, fiscale, trasparenza, velocità, efficienza (cfr. es. “Non è un paese per startup Webnews”). Perchè non se ne parla e si parla solo di IM(m)U(nità)? grazie

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