Gli stadi italiani continuano a essere teatro di episodi di razzismo. La discriminazione razziale influenza la valutazione che l’arbitro dà del comportamento dei calciatori di colore? E quale ruolo svolgono i tifosi? Uno studio risponde alle due domande.
Il razzismo nella Serie A
I recenti episodi di razzismo in Italia hanno evidenziato la persistenza del fenomeno nei più svariati contesti della nostra società, calcio incluso. La presenza di discriminazione razziale da parte di arbitri e tifosi è stata riscontrata in vari sport all’estero, negli Stati Uniti, per esempio, nella pallacanestro, nel baseball e nel football, ma non ci sono molti studi che documentino in modo rigoroso il ruolo del razzismo nel calcio professionistico italiano.
In particolare, due sono le domande fondamentali: la discriminazione razziale influenza la valutazione dei calciatori di colore sul campo? E se è così, qual è il meccanismo che spiega le forme di discriminazione?
Si possono ipotizzare due canali. Uno riguarda gli arbitri e potrebbe essere il risultato di pregiudizi, spesso impliciti, a livello individuale. In questo scenario, il direttore di gara, più o meno consciamente, assegnerebbe un maggior numero di sanzioni ai giocatori di colore.
L’altra ipotesi riguarda invece il ruolo dei tifosi che, attraverso cori e ululati razzisti, potrebbero influenzare le decisioni degli arbitri sul campo.
I risultati dello studio
Nel nostro studio, intitolato “Racial Bias in Fans and Officials: Evidence from the Italian Serie A”, rispondiamo alle due domande. Siccome in Italia non si raccolgono dati sulle origini etniche e razziali della popolazione (e di conseguenza dei calciatori), abbiamo deciso di sviluppare un dataset originale, utilizzando la misura di “colore della pelle” del videogioco Football Manager. Per rendere il gioco il più verosimile possibile, ogni anno più di 1.300 ricercatori contribuiscono a creare una variabile che misura lo skin tone (colore della pelle), da 1 a 20, di ogni calciatore. Questo, in combinazione con statistiche sulla prestazione sportiva di ogni giocatore, ci permette di svolgere la nostra analisi a un livello molto più dettagliato di quanto sia stato possibile prima d’ora.
Dal nostro lavoro, risultano evidenti forme di discriminazione razziale nella Serie A dal 2009-2010 al 2020-2021. In particolare, a parità di squadra, stagione, ruolo, minuti giocati e contrasti tentati, ai giocatori con la pelle più scura vengono fischiati più falli e assegnati più cartellini (sia rossi che gialli).
Abbiamo considerato anche una spiegazione alternativa, secondo la quale sarebbero le urla e i cori razzisti dei tifosi a influenzare le decisioni degli arbitri. Sfruttando l’esperimento naturale generato dal Covid, mostriamo che i tifosi possono avere un ruolo fondamentale nell’indurre gli arbitri a sanzionare di più i giocatori con la pelle più scura: a stadi chiusi per pandemia nel 2020-2021, l’evidenza di discriminazione razziale sparisce, come evidente dalle figure 1a), 2a) e 2b) all’interno del paper.
Figura 1 – Differenza nel numero di falli e contrasti tentati
Figura 2 – Differenza nel numero di cartellini gialli e rossi
Ma c’è anche un’ulteriore spiegazione: i cori e gli ululati razzisti dei tifosi potrebbero indurre i calciatori di colore a giocare in maniera più aggressiva. In questo caso, l’effetto della discriminazione razziale sarebbe da attribuire direttamente e unicamente ai tifosi, senza il ruolo indiretto degli arbitri.
I nostri risultati mostrano che non è così. Come si può evincere dalla Figura 1b), il numero di contrasti tentati dai giocatori con la pelle più scura non è diverso da quello dei giocatori con la pelle più chiara nel periodo pre-Covid. Invece nel periodo post-Covid, i giocatori di colore tentano meno contrasti rispetto agli altri giocatori, ma ciò non si traduce in un minor numero di falli o cartellini assegnati dall’arbitro, indicando ancora una volta che almeno una parte di quest’effetto è il risultato di una certa discriminazione razziale da parte degli arbitri.
Misure contro il razzismo negli stadi
Il razzismo nel calcio italiano continua a essere un problema serio. Nel settembre 2020, in risposta alla totale mancanza di azioni adeguate, la Lega Serie A e l’Unar (Unione nazionale antidiscriminazioni razziali) hanno annunciato una partnership, “Keep Racism Out”, per contrastare ogni forma di discriminazione nel calcio. Queste iniziative, però, non sono sinora riuscite a eliminare il problema. Più efficaci si sono dimostrate altre decisioni, in particolare quelle di Fiorentina e Juventus di bandire a vita dai propri stadi i tifosi razzisti. Ma sono esempi individuali di misure effettive contro il razzismo. Sarebbe invece auspicabile che provvedimenti di questo genere venissero adottati in maniera condivisa dall’intera Lega Serie A e in effetti se ne è discusso in una riunione tra la Lega Serie A e l’Unar nell’ottobre 2021.
Per quanto riguarda il ruolo dei direttori di gara, il percorso per diventare arbitro di Serie A richiede già una lunga serie di training professionali per assicurare neutralità e rispetto del fairplay. Anche in altri paesi gli arbitri seguono percorsi simili, ma diversi studi hanno evidenziato forme di discriminazione razziale in vari contesti. In particolare, un risultato importante è quello di Devin Pope, Joseph Price e Justin Wolfers: in uno studio del maggio 2007 avevano rilevato comportamenti razzisti da parte degli arbitri nella Nba. I risultati della ricerca sono stati pubblicizzati e hanno ricevuto un’ampia copertura mediatica. Quando, quattro anni dopo, gli autori hanno ripetuto lo studio, hanno trovato che la discriminazione razziale era sparita: ciò suggerisce che documentare pubblicamente i casi di razzismo può contribuire a cambiamenti significativi. Ci auguriamo che anche il nostro lavoro possa raggiungere questo risultato importante.
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