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Al Sud il problema è la poca fiducia nello stato

Gli italiani del Sud non sono meno propensi a pagare le imposte di quelli del Nord, a parità di condizioni. L’aumento della spesa pubblica, però, li preoccupa meno. È dunque il rapporto tra stato e cittadini che va migliorato, soprattutto nel Meridione.

I cittadini del Sud evadono di più?

Nord virtuoso e Sud di infedeli fiscali: luogo comune o corrisponde (ancora) a verità? La Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva (anno 2021) conferma la dicotomia tra regioni meridionali e il resto del paese, con le prime che mostrano una maggiore propensione a evadere (in termini di mancato versamento di Iva, Irpef e Ires in percentuale dell’imposta potenziale). In più di 60 anni di ricerca (da Banfield 1958), l’esistenza del divario Nord-Sud è stata spesso giustificata dalla mancanza di un adeguato livello di capitale sociale nel Mezzogiorno, ossia uno scarso grado di senso civico, cooperazione sociale e valori culturali.

Se davvero (e tuttora) fosse così, allora il divario dovrebbe sussistere anche nell’ipotesi in cui i cittadini fossero posti nelle stesse condizioni fiscali. In altri termini, se due individui — ad esempio uno del Nord e uno del Sud — con redditi simili e uguali preferenze nei confronti del rischio fossero posti in condizioni identiche, allora eventuali differenze nel loro livello di compliance sarebbero riconducibili a differenze socio-culturali.

Alcuni studi hanno testato l’ipotesi usando metodologie tipiche dell’economia sperimentale, consolidate in più di 40 anni di ricerca. Ad esempio, in questo studio abbiamo condotto lo stesso esperimento in due diversi laboratori, a Bologna e Salerno. Durante l’esperimento, abbiamo chiesto ai partecipanti (studenti universitari tra i 20 e 25 anni, con cittadinanza italiana; 106 reclutati a Bologna e 114 a Salerno) di ipotizzare di svolgere un lavoro retribuito e di scegliere la quota di reddito da dichiarare al fisco, sotto diverse condizioni. Li abbiamo informati che il reddito dichiarato sarebbe stato tassato e soggetto a controllo. Abbiamo ipotizzato nove scenari. Nei primi tre, l’aliquota è pari al 30 per cento e la probabilità di subire un controllo è il 5 per cento, mentre la ripartizione del gettito varia: in un primo caso, non ce n’è alcuna; nel secondo caso, c’è una equa ripartizione tra i partecipanti; nel terzo caso, il gettito viene duplicato e poi equamente ripartito. Nei successivi tre scenari, il gettito viene equamente ripartito e la probabilità di un controllo rimane fissa al 5 per cento, mentre l’aliquota aumenta da 5 a 30 a 50 per cento. Negli ultimi tre scenari, il gettito viene equamente ripartito e l’aliquota rimane fissa al 30 per cento, mentre la probabilità di un controllo aumenta da 5 a 30 a 50 per cento.

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La nostra ricerca rivela due risultati. Il primo è che, a parità di condizioni, non ci sono differenze statisticamente significative nel livello di compliance tra Nord e Sud (in linea con D’Attoma). Sia al Nord sia al Sud, il rispetto della norma si riduce all’aumentare dell’aliquota, e aumenta all’aumentare della probabilità di un controllo e della spesa pubblica da ripartire. Questo suggerisce che il divario osservato nei tassi di evasione Nord-Sud non può essere (più) facilmente riconducibile a ragioni culturali. Ed è vero non solo nel confronto tra regioni, ma anche tra Italia e altri paesi. È già stato dimostrato che, a parità di condizioni, gli italiani sono ugualmente propensi a pagare le imposte rispetto a danesi (qui) e svedesi (qui). Così, se posti nelle stesse condizioni, gli italiani del Sud tendono a essere ugualmente fedeli nei confronti del fisco rispetto agli italiani del Nord.

Meno fiducia nello stato

Il secondo risultato riguarda la diversa sensibilità alle variazioni delle condizioni fiscali — a cui si è finora prestata scarsa attenzione. In particolare, il campione del Sud mostra la stessa reattività rispetto a quello del Nord all’aumentare dell’aliquota e della probabilità di un controllo, ma una minore reattività all’aumento della spesa pubblica. In quest’ultimo caso, infatti, la compliance aumenta significativamente di più al Nord rispetto al Sud. Come mai? I nostri dati non ci consentono di rispondere alla domanda. Tuttavia, una possibile spiegazione potrebbe risiedere nella minore fiducia dei cittadini del Sud nei confronti dello stato. A supporto di tale interpretazione, un recente studio empirico mostra come la compliance al Sud sia “insensibile” all’aumento della spesa pubblica in quanto — secondo gli autori — i cittadini percepiscono che il governo non sia sufficientemente impegnato nel migliorare le condizioni economiche del Sud.

Quali sono le implicazioni? Le politiche fiscali volte a un cambiamento socio-culturale potrebbero essere efficaci a ridurre l’evasione a livello nazionale, ma non sufficienti per sanare il divario Nord-Sud. A tal fine, sembra più utile concentrarsi sia sulle diverse condizioni (ad esempio, diverso grado di controlli) sia sulla diversa reattività al variare di queste condizioni. Da questo punto di vista, la nostra analisi mette in evidenza l’urgenza di migliorare la fiducia nel rapporto tra stato e cittadini al Sud, per esempio attraverso migliori investimenti in infrastrutture e servizi, trasparenza nella spesa pubblica, ma anche contrasto alla corruzione.

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Il Punto

  1. bumblebee

    Con tutto il rispetto per il loro lavoro, gli autori sono tornati al palo, riconfermando che il problema principale è quello che aveva rilevato a suo tempo Banfield. Purtroppo, il “familismo amorale” è un atteggiamento che “si succhia col latte”. Viene trasmesso di padre in figlio, fino dalla più tenera età.

    In ogni occasione sociale, al figlio viene trasmesso che esiste solo il bene della famiglia e degli amici, che è stupido chi, essendo vicino ai beni pubblici, non se ne appropria a suo favore o degli amici, che le leggi sono lì solo per fregare gli stupidi, che bisogna farsi furbi, che le elezioni sono solo una farsa, che i rappresentati eletti sono lì solo per farsi gli affari propri, ecc.

    Mentalità servile, da paese occupato dallo straniero, dove la legge è imposta da una autorità estranea ai cittadini. Non per niente, la maschera degli italiani è Arlecchino: un servo, un irresponsabile che non è padrone del proprio destino. Si arrangia e rubacchia come gli capita.

    Sul lungo periodo, solo una educazione martellante, da iniziare nelle scuole, da persone ineccepibili che diano loro stessi esempio, potrebbe forse far capire a questi familisti che “lo stato siamo noi”, che “le leggi le scriviamo noi e che è suicida non osservarle”, che “i beni pubblici sono nostri e che rubandoli danneggiamo solo noi stessi”, che le le imposte/tasse servono per fornirci i servizi pubblici, che non esistono pranzi pagati da altri. Naturalmente, questa educazione avrebbe qualche possibilità di successo solo in un contesto in cui anche l’amministrazione pubblica desse esempi ineccepibili, in particolare per quanto riguarda la spesa pubblica.

    Finora, le tre generazioni che sono succedute dopo la Costituzione del 1948 non sono riuscite a modificare l’atteggiamento del “familismo amorale”, che, invece, si è diffuso anche al nord Italia, importato anche da moltissimi funzionari della PA (in gran parte di origine meridionale) che hanno portato con sè l’atteggiamento di disprezzo della legge (al di là di un proclamato e retorico rispetto) succhiato a casa propria con il latte.

    L’autoreferenzialità e il corporativismo dei funzionari della PA: “siamo qui per fare, in primo luogo il nostro interesse; il servizio al pubblico (giustizia, istruzione, eccetera) viene dopo ed è solo residuale rispetto al nostro interesse” hanno screditato in modo (quasi) irricuperabile la credibilità dello Stato.

    Constatazioni durissime, ma uno stato che in primo luogo non riesce a fornire il servizio delle giustizia (civile, penale, carceraria, ecc.) come può essere credibile? Per questo, la “riforma della giustizia”, cioè, l’offrire ai cittadini un sistema in cui la giustiza funzioni sarbbe la “madre di tutte le riforme”. Ci riusciremo, e quando?

  2. Marco Esposito

    A mio parere la ricerca centra un punto chiave. La sfiducia nello Stato è radicata e, aggiungo, ben motivata al Sud. Ha origine nel 1860 dall’aver affidato alla Camorra l’ordine pubblico. Ed è proseguita con la commistione tra mafie e pezzi dello Stato. Per poi arrivare alla vera e propria presa in giro dei meridionali con l’introduzione a partire dal 2015 dei diritti differenziati in base alla residenza . Persino con il Pnrr diversi ministeri stanno attuando bandi per aggirare la regola del 40% al Sud.

    • Francesco Fasolino

      Persino con il Pnrr diversi ministeri stanno attuando bandi per aggirare la regola del 40% al Sud.
      Può argomentare questa Sua frase ?
      Grazie.

  3. Savino

    In tutto questo, io mi chiedo con semplicità: quando si procederà a cambiare le persone nella classe dirigente e nella burocrazia inserendo nuova mentalità e contemporaneità?

  4. bob

    NORD E SUD? La differenza sta nella polvere. Al Nord sotto al tappeto al Sud sopra. Tanto per rimanere nei cliché dei luoghi comuni!

  5. Borbonico

    Un Popolo come quello Borbonico non puo’ avere fiducia di chi lo ha conquistato e sottomesso nel 1860. E’ come se Anna Frank si fosse fidata di Hitler…Impensabile, no ?

  6. Mario

    Queste sono le ragioni per dividere l’Italia in tre stati federali ciascuno con le proprie caratteristiche culturali ed economiche. Se al sud il 65% degli edifici è abusivo e le tasse si pagano alla ndrangheta mentre da noi se paghiamo in ritardo una rata dell’IRPEF arriva una multa del 100% diventiamo sempre più razzisti, anzi è lo stato che è razzista perché ci tratta in base alle nostre residenze. Questa repubblica antidemocratica lavora per mantenere le popolazioni del Sud nell’ignoranza perché meglio governabili e grande serbatoio di voti . Il divario economico nord/Sud serve per allo Stato per mantenere il potere centralizzato perché nel giorno in cui un milanese è un calabrese saranno la stessa persona con la stessa etica culturale, l’equilibrio statale andrebbe in frantumi.

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