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Pregiudizi di genere, terreno di coltura dei femminicidi

Una donna uccisa ogni tre giorni: i femminicidi hanno assunto in Italia una dimensione preoccupante. Per contrastare in modo efficace il fenomeno, bisogna prima capire quali sono i fattori di rischio. Un’analisi sul ruolo dei pregiudizi di genere.

I femminicidi in Italia

Gli omicidi di donne e ragazze maturati in ambito familiare o affettivo sono un fenomeno particolarmente allarmante nel nostro paese. Basti pensare che mentre gli omicidi considerati nel loro complesso sono in calo da diversi anni, i femminicidi sono aumentati. In altre parole, l’Italia ha visto diminuire il tasso di violenza più estrema solo per gli uomini.

La figura 1 confronta i trend dei femminicidi con gli omicidi totali e gli omicidi di donne non maturati in ambito familiare e affettivo tra il 2012 e il 2019.

Figura 1

Le statistiche degli ultimi anni ci dicono che viene uccisa una donna in ambito familiare o affettivo ogni tre giorni. Le cifre fanno capire le ampie implicazioni sociali, economiche ed etiche legate ai femminicidi nel nostro paese.

Per contrastare il fenomeno, istituzioni e associazioni agiscono su vari fronti: dalle misure legislative, ai servizi per aiutare le donne a uscire da situazioni violente, alle campagne di informazione e sensibilizzazione.

Un aiuto a queste azioni può venire dall’individuazione dei fattori di rischio associati ai femminicidi. In quest’ottica, in un paper recente, abbiamo prodotto una misura statistica della relazione tra pregiudizi di genere e l’incidenza dei femminicidi nel nostro paese.

Studi precedenti hanno riscontrato un effetto significativo dei pregiudizi di genere sulla violenza contro le donne in Spagna, diversi paesi dell’Unione europea e in Africa. Mentre per Stati Uniti e Regno Unito, i dati esistenti suggeriscono che siano gli aspetti economici (differenze salariali e occupazionali tra uomo e donna) ad agire come fattori di rischio. Di conseguenza, la nostra analisi si preoccupa di stimare l’effetto dei pregiudizi di genere sui femminicidi, tenendo in considerazione quelli, eventuali, derivanti da disuguaglianze salariali e occupazionali di genere. 

L’analisi

La nostra analisi quantifica la relazione tra pervasività dei pregiudizi di genere e femminicidi utilizzando un nuovo database, in cui abbiamo raccolto, da diverse fonti, i dati georeferenziati sui femminicidi avvenuti in Italia tra il 2012 e il 2019. Ci fermiamo al 2019 perché il biennio del Covid-19 è caratterizzato da dinamiche specifiche in tema di violenza di genere a causa delle restrizioni alla mobilità delle persone e alle forzate coabitazioni prolungate. La figura 2 mostra la mappa dell’incidenza dei femminicidi tra il 2012 e il 2019 nei 611 sistemi locali del lavoro (Sll) italiani.

Figura 2

Per delineare un quadro della geografia italiana dei pregiudizi di genere, abbiamo fatto riferimento a studi consolidati che ne individuano una buona misura nel livello di rappresentanza politica delle donne. Infatti, i pregiudizi di genere influenzano sia le preferenze di voto degli elettori che la disponibilità di potenziali candidate a partecipare alle competizioni elettorali. Come le altre norme culturali, hanno poi una forte dimensione locale. Misuriamo quindi i pregiudizi di genere attraverso la percentuale di donne elette nei consigli comunali.

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Utilizzando questi dati in un modello di regressione, otteniamo una relazione significativa e robusta tra percentuale di donne elette e incidenza dei femminicidi. Più sono le donne elette, più è bassa l’incidenza dei femminicidi.

La relazione non si modifica quando vengono inclusi altri fattori, che studi precedenti hanno individuato tra i fattori di rischio per la violenza contro le donne, come le disuguaglianze salariali e occupazionali, il livello di educazione, il tasso di criminalità.

Il risultato potrebbe avere altre spiegazioni. In primo luogo, potrebbe essere proprio l’alta incidenza di femminicidi a scoraggiare le donne dall’intraprendere percorsi elettivi, agendo come segnale che l’indipendenza e l’emancipazione femminile non sono ben accette in quelle comunità. Un’altra possibile spiegazione potrebbe essere che le persone che vogliono vivere in comunità con parità di genere, e che di conseguenza non hanno pregiudizi nel votare le donne, si spostino in luoghi con una bassa incidenza di femminicidi.

Per escludere che i nostri risultati siano dovuti alle due spiegazioni alternative, abbiamo utilizzato un modello di regressione con variabile strumentale. La logica di questo secondo modello è individuare una nuova variabile (la variabile strumentale) che spieghi variazioni nella variabile di interesse (percentuale di donne elette nei consigli comunali) che siano indipendenti dalla variabile sulla quale si intende stimare l’effetto (incidenza dei femminicidi).

Nel nostro caso, la variabile strumentale fa riferimento alla letteratura sulla persistenza delle norme di genere, che mostra come pregiudizi e disuguaglianze socioeconomiche di genere osservati oggi derivano dalla divisione del lavoro in agricoltura tra donne e uomini di alcune migliaia di anni fa. I luoghi in cui le donne diventarono superflue in agricoltura sono quelli in cui ancora oggi si riscontrano le disuguaglianze di genere più forti. Anche nei paesi occidentali e nonostante il progresso industriale e tecnologico. Su questi presupposti, la nostra variabile strumentale utilizza le informazioni sulle caratteristiche dei suoli italiani, perché queste determinano la divisione del lavoro in agricoltura tra uomo e donna in assenza di tecnologia.

La variabile strumentale spiega in modo significativo la presenza di donne nei consigli comunali, anche controllando per influenze dello sviluppo istituzionale e di altri fattori socioeconomici. Inoltre, la stima fatta utilizzando questa variabile conferma che è la geografia delle disuguaglianze nella rappresentanza politica locale a influenzare l’incidenza dei femminicidi e non viceversa.

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Abbiamo verificato altre possibili spiegazioni per i nostri risultati. Più donne elette a livello locale sono associate a maggiore impegno dei comuni in welfare e sicurezza. Quindi i bassi tassi di femminicidi in luoghi con molte donne elette potrebbero derivare da tassi minori di tutti i crimini violenti, più che da minori pregiudizi di genere. Oppure il più alto numero di donne elette potrebbe derivare da una maggiore inclusività delle comunità, non solo nei confronti delle donne, ma di tutti i gruppi svantaggiati. In questo caso, i bassi tassi di femminicidi dovrebbero essere accompagnati da bassi tassi di crimini di odio verso le minoranze etniche e le comunità Lgbtq+.

Nessuna di queste spiegazioni alternative è supportata dai dati, corroborando l’ipotesi che esiste una relazione specifica tra donne elette e minori femminicidi.

Con i dati a disposizione è stato possibile verificare se l’effetto sui femminicidi dipende dal fatto che le donne sono rappresentate in ruoli più alti della amministrazione locale (sindache e assessore) oppure dalla rappresentanza su larga scala nei consigli comunali. Isolando ogni categoria, abbiamo visto che è la rappresentanza nei consigli ad avere un effetto significativo. Il risultato è in linea con la determinante culturale dei femminicidi.

La rappresentanza nei consigli comunali fornisce una fotografia più accurata delle norme culturali (e dei pregiudizi) di una comunità rispetto ai livelli più alti dell’amministrazione, che vengono eletti tenendo conto anche di altri fattori. Ma potrebbe esserci anche un’altra spiegazione. Per la legge elettorale italiana, i sindaci sono eletti attraverso un meccanismo maggioritario competitivo che si scontra con l’avversione al rischio delle donne. Quindi, anche con un livello moderato e basso di pregiudizi di genere, è possibile che le donne siano più propense a candidarsi come consigliere.

Daria Denti interverrà al Festival Internazionale dell’Economia di Torino, in un incontro intitolato “Odio, criminalità, territori” giovedì 2 giugno alle 14 all’Accademia delle scienze (sala dei mappamondi) . Il programma completo del Festival.

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Popoli in fuga

  1. PDC

    Dato che si vuole dare una interpretazione sociologica alla correlazione trovata, mi sembrerebbe rilevante usare un filtro basato sulla nazionalità. Come cambia la significatività della correlazione eliminando a) i casi di vittime straniere oppure b) i casi di autori accertati stranieri? Dato che si tratta del 20-25% dei casi credo che eliminandoli si dovrebbe notare un miglioramento significativo della correlazione, soprattutto nel caso b).

    • Pippo Calogero

      Ma solo a me questa presunta correlazione sembra tirata per i capelli? Il campione statistico dei femminicidi è troppo piccolo per essere significativo: nella stragrande maggioranza dei casi l’incidenza dei femminicidi è 0 o 1: dovremmo dedurre che ci siano differenze culturali così grandi tra un comune e quello adiacente, sulla base del fatto che vi si sia verificato un femminicidio negli ultimi 7 anni? E tutti gli assassini sono nati e cresciuti nel comune in questione, inclusi gli stranieri, per poterne assorbire la cultura femminicida?
      Mah…

    • Simone C.

      Studio interessante. Ho però ulteriore perplessità. Altri studi citati in altro articolo sulla Voce.info affermano che, confrontando paesi della UE e basandosi su vari indici di parità di genere, non esisteva una correlazione tra parità (in vari ambiti) e femminicidi: l’Italia risulta avere uno dei tassi di omicidi di donne in ambito familiare più bassi tra altri paesi UE, anche a fronte di paesi dove la parità di genere è decisamente più aventi (NB paesi europei). Inoltro ho visto gli abstract degli studi citati in questo articolo , relativi ad altri paesi: mi pare che parlino di altro (visione di lunga durata storica, effetti della rappresentanza femminile in ambito politico) o del rapporto tra cultura della parità di genere e femminicidi, ma riferito alle donne immigrate ; ci sta che il riferimento fosse a un passo particolare nel testo integrale dei paper : è possibile riportarlo ?

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