Il Primo Ministro Boris Johnson, dopo una crescita dei consensi durante la pandemia, sta vivendo una fase complicata del suo mandato, costellata di scandali e proposte poco incisive. Farà la fine di Margaret Thatcher?

Il Primo Ministro, dopo i trionfi elettorali basati su popolarità personale e focolai di nazionalismo, è un macigno al collo del partito conservatore, in cui molti dubitano di poter vincere ancora elezioni senza un cambio del leader del partito. Un’opposizione laburista, che, dopo una storica e catastrofica disfatta elettorale dovuta a un leader eletto da estremisti di sinistra, e al suo programma tanto utopistico quanto inaccettabile agli elettori moderati, è ora guidata da un leader, che pur ottenendo il rispetto del partito e dei media di centro-sinistra, non genera entusiasmo né tra gli elettori che storicamente non votano Labour, né tra quelli che si turano il naso e votano tory. Boris Johnson nel 2022? In realtà mi riferivo a Margaret Thatcher nel 1990, ma non occorre Giambattista Vico per notare le similitudini delle due situazioni: la guerra delle Falkland come Brexit, Michael Foot e la più lunga nota di suicidio della storia come Jeremy Corbyn e il prolisso manifesto laburista del 2019, e Neil Kinnock come Keir Starmer.

La storia però non si ripete mai identica, e non è affatto detto che il destino di Johnson segua quello di Thatcher: dopo 18 mesi consecutivi di sondaggi che vedevano i tory tra 10 e 15 punti percentuali sotto i laburisti, le mostrarono la porta alla svelta, e due settimane dopo la sfida iniziale di Michael Heseltine, lei lasciava il numero 10 in lacrime, e John Major presiedeva il consiglio dei ministri.

Ci sono molte differenze tra oggi e trent’anni fa. Le personalità di Thatcher e Johnson non potrebbero essere più diverse: l’una si alzava alle 4 di mattina per leggere tutti i verbali e i dettagli dei documenti di policy, l’altro di un pressapochismo da bar di piazza; l’una inamovibile una volta convintasi che una politica, pur impopolare, è giusta (è evidente che se avesse seguito le preferenze della nazione e i consigli di quasi tutti i suoi colleghi di governo e abolito la odiata “poll-tax”, non sarebbe stata disfatta), l’altro una banderuola, abile a fiutare le preferenze degli elettori, e di introdurre misure che distraggono l’opinione pubblica e ottengono applausi dalla curva sud. L’ultimo esempio è il pagamento di un contributo di 400 sterline ad ogni utente di gas ed energia elettrica, finanziato con una tassa una tantum sui profitti ottenuti dai fornitori in conseguenza dei meccanismi di indicizzazione dei prezzi al dettaglio sulla base dei prezzi del gas a del petrolio. Un decreto disegnato male, già criticato da un lato per la sua natura regressiva (si paga alle utenze, quindi chi ha la casa al mare riceverà il doppio), sia per la facilità con cui potrà essere elusa. Ma che importa, val bene una giornata di applausi dalla stampa di destra, che guarda caso coincide con la pubblicazione del rapporto su “partygate”.

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Che ci porta alla differenza più profonda fra Thatcher e Johnson: la loro integrità morale. Nemmeno i più ostinati nemici di Thatcher ne hanno mai messo in dubbio l’onestà. Johnson, invece, ha fondato la sua carriera governativa su menzogne e falsità, cominciando con i famosi 350 milioni alla settimana che invece di sprecare nutrendo l’ingordigia europea potranno finanziare un investimento sanitario. Il cosiddetto partygate è un caso perfetto di arroganza del potere. Durante il periodo più rigido del lockdown, il governo proibì riunioni con più di sei partecipanti: matrimoni senza festa, funerali celebrati senza amici e familiari, divieto di visite a chi sta per morire in ospedale. A Downing Street, invece, ogni occasione era buona per una festa, uno spuntino, una bicchierata, birra champagne o succo d’arancia, la macchina per il karaoke, spesso con vomito sui tappeti e macchie di vino sui muri, e almeno una volta, uno scambio di pugni. Nonostante l’evidenza fotografica, la multa ricevuta dalla polizia, e il dettagliato dossier preparato dal dirigente ministeriale Sue Grey, Johnson nega che ci siano state riunioni che non fossero incontri di lavoro (compresa una organizzata da sua moglie, con torte, il giorno del compleanno di Johnson).

La stampa è divisa: i giornali tory, il Daily Mail e il Telegraph, accusano i laburisti e la sinistra di esagerare, eventi che, pur disdicevoli, sono birichinate, non corruzione. E, seguendo l’esempio di Johnson, contrattaccano, accusando il leader laburista Keir Starmer di ipocrisia, portando come evidenza una foto in cui si disseta con una birra, alla fine di una giornata di campagna elettorale. A sinistra si chiede che la non-scritta costituzione sia rispettata, e che un ministro che mente al Parlamento debba dimettersi. Berlusconianamente, Johnson modifica il “codice di condotta ministeriale”, espungendone, guarda un po’, proprio il comma che richiede dimissioni nel caso di violazione del codice etico.  

Alla fine quel che conta sono gli elettori: Thatcher non fu costretta a lasciare il numero 10 perché la poll-tax era iniqua e inefficiente, ma perché moltissimi deputati Tory temevano una sconfitta elettorale. E al momento gli elettori sono indecisi: Johnson è sì dietro ai sondaggi, ma di una manciata di punti, non una ventina, come lo era Thatcher. Anche i sondaggi collegio per collegio prevedono, per ora, una sconfitta, non un disastro (tranne per Johnson, che perderebbe il seggio). I test elettorali veri, come le elezioni amministrative di maggio, e le elezioni suppletive confermano che i sondaggi sono corretti. Il punto è che le elezioni politiche saranno fra due anni, e i deputati tory, i soli con il potere di cacciare Johnson da Downing street, non sembrano essere convinti che in due lunghi anni l’elettorato non cambierà idea.

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Per forzare un voto di fiducia su Johnson, il partito richiede 54 lettere di sfiducia. Vista sia la carenza di credibili alternative, e vista la fragilità della leadership laburista, penso che non ci saranno abbastanza tory nauseati dal comportamento di Johnson da far scattare le elezioni interne, men che meno che Johnson venga poi sconfitto. Anche due sonore sconfitte alle prossime elezioni suppletive del 23 giugno, dovute alle dimissioni di due deputati tory con solide maggioranza, uno per avere guardato siti porno in parlamento (“ah, cercavo informazioni sui trattori”), l’altro per una condanna per violenza pedofila (non ha offerto scuse, ma ha ritardato le dimissioni per ricevere lo stipendio a fine mese), sono già anticipate, e se dovessero avvenire non causerebbero crisi. Se però i laburisti avessero un vantaggio a due cifre nei sondaggi nel maggio 2023, forse allora la musica cambierebbe. Per ora, il party continua.

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