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Tpi, una questione di regole

L’eventuale attivazione dello scudo anti-spread della Bce è condizionata al rispetto delle regole fiscali europee da parte del paese interessato. Diventa così cruciale la discussione sulla riforma del Patto di stabilità, che vede ora l’Italia più debole.

Perché il Tpi?

Il 21 luglio, oltre ad alzare il tasso di policy di 50 punti base (il doppio di quanto annunciato in precedenza), la Banca centrale europea ha chiarito le caratteristiche del nuovo strumento introdotto per garantire la corretta trasmissione della politica monetaria, il Tpi, Transmission Protection Instrument. Le due decisioni sono complementari e sono state presentate come tali dalla presidente della Bce, Christine Lagarde.

Il Tpi serve per evitare che a un aumento dei tassi di interesse di policy segua un’espansione eccessiva degli spread che potrebbe pregiudicare la stessa politica monetaria, con tassi che rimangono troppo bassi nei paesi finanziariamente solidi (Germania) e diventano troppo alti in quelli fragili (Italia). Il nuovo strumento è stato approvato all’unanimità dal governing council della Bce (i governatori delle banche centrali nazionali dei paesi euro), sancendo un compromesso tra chi voleva un più rapido aumento dei tassi per combattere l’inflazione e chi temeva che avrebbe condotto a una frammentazione eccessiva dei mercati nazionali del credito.

Il Tpi si accompagna a due strumenti anti-spread già esistenti, ma che per ragioni diverse non erano considerati sufficienti. Il primo è il riacquisto “flessibile” dei titoli comprati dalla Bce con il programma Peep (circa 1.800 miliardi) e che la banca centrale aveva già deciso di riacquistare alla scadenza almeno fino al 2024; la flessibilità consiste nella possibilità di acquistare, per esempio, un titolo italiano alla scadenza di un titolo tedesco. Il secondo è rappresentato dalle outright monetary transactions (Omt) introdotte da Mario Draghi nel 2012: un acquisto potenzialmente illimitato di titoli di stato da parte della Bce, in cambio di un prestito dal Meccanismo di stabilità europeo (Mes) e della firma di un programma di aggiustamento macroeconomico, definito e verificato da istituzioni europee e internazionali (la famigerata Troika).

Ma il primo strumento poteva risultare insufficiente per frenare un attacco speculativo, perché comunque limitato dal valore di titoli in scadenza in un determinato momento; il secondo comporta una rinuncia alla sovranità da parte di un paese ed è quindi politicamente molto costoso, con il rischio che avrebbe potuto essere richiesto e impiegato troppo tardi, quando ormai la situazione fosse diventata senza ritorno.

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Adesso c’è invece un altro strumento, il Tpi, ancora potenzialmente illimitato, ma che non richiede un ricorso al Mes. Il fatto che sia potenzialmente illimitato è cruciale; nessun operatore scommetterebbe contro i titoli di un paese, sapendo che possono essere acquistati senza limiti dalla banca centrale che emette la valuta in cui sono denominati. Questo significa anche che lo strumento, se credibile, potrebbe non essere mai utilizzato, come del resto non sono mai state utilizzate le Omt: nel 2012, l’annuncio della loro esistenza (il “whatever it takes”) è stato sufficiente a spengere la febbre degli spread.

La discrezionalità

Il problema è rappresentato dalle quattro condizioni che un paese deve rispettare perché possa avere accesso al Tpi e dalle sue modalità di impiego. Tre di queste condizioni sono oggettive: il rispetto delle regole fiscali europee, di quelle relative agli squilibri macroeconomici e degli impegni presi con il Pnrr. L’altra è più discrezionale: il debito di un paese per poter accedere allo strumento deve essere considerato “sostenibile”. Si tratta però di una sorta di tautologia perché per un paese ad alto debito sotto attacco speculativo è l’intervento della banca centrale a decidere se il suo debito è o non è sostenibile. In più, l’intervento della Bce con il nuovo strumento non è teso a cancellare gli spread, ma solo quella parte che è dovuta a valutazioni del mercato non supportate dai fondamentali economici (unwarranted market dynamics). Non esiste però alcuna metodologia che consenta di distinguere tra le due componenti in modo inequivocabile e qualunque stima è soggetta a critiche e ipotesi specifiche.

La Bce si è dunque attribuita molta discrezionalità sia nell’impiego che nelle dimensioni del nuovo strumento, e questa discrezionalità non è piaciuta a molti osservatori. Per stabilizzare le aspettative degli operatori finanziari, incluse quelle sui livelli di spread considerati tollerabili per la trasmissione della politica monetaria, una banca centrale dovrebbe essere trasparente e prevedibile; e invece in questo caso la Bce ha scelto deliberatamente di essere poco trasparente e prevedibile.

Critiche giuste in linea di principio. D’altra parte, non si capisce bene neanche che altro poteva fare la Bce. Non poteva certo impegnarsi a comprare in modo illimitato i titoli di un paese non appena il suo spread avesse superato una soglia predeterminata, perché questo avrebbe voluto dire rinnegare il proprio mandato alla stabilità dei prezzi. In più, nella incompleta costruzione europea, i paesi sono sovrani sulla loro politica fiscale e anche per questo i debiti che contraggono sono responsabilità loro. Se il governo di un paese decide di portare il proprio debito alle stelle infischiandosene delle conseguenze finanziarie, non può aspettarsi che la banca centrale ne accompagni la follia, eliminando le reazioni del mercato. In pratica, tutto quello che ha fatto la Bce con il nuovo strumento è segnalare ai mercati che finché un paese si colloca all’interno del quadro delle regole europee e rispetta gli impegni presi con il Pnrr non accetterà variazioni eccessive negli spread, senza bisogno di aspettare che il paese stesso si rivolga al Mes e senza farsi limitare dai titoli Peep in scadenza. Quanto eccessive sono queste variazioni rimane però non specificato. Bisognerà vedere se sarà sufficiente per eliminare le possibili turbolenze sui mercati.

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Regole europee

Ma ci sono anche altri problemi. Tra le precondizioni per il Tpi c’è il rispetto delle regole fiscali europee, che per il momento sono sospese (da marzo 2020) e che dovrebbero essere reintrodotte solo a partire dal 2024, sulla base di una proposta di riforma che la Commissione dovrebbe avanzare immediatamente dopo l’estate. Visto il ruolo che il rispetto delle regole giocherà da qui in avanti anche per la possibilità di attivare il Tpi, la partita si presenta cruciale, soprattutto per un paese ad alto debito come l’Italia, quindi primo potenziale beneficiario del nuovo strumento. Per quanto la Commissione abbia già segnalato la volontà di riformare il Patto di stabilità e crescita in modo più favorevole alla crescita, prendendo ispirazione dalla stessa Recovery and resilience facility, per essere operative le proposte devono essere adottate dal Consiglio. I paesi del Nord Europa, a cominciare dalla Germania, hanno già segnalato l’indisponibilità a rivedere più di tanto le regole; l’assurdo “Draghicidio” a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi, confermando tutti i pregiudizi nordici sull’inaffidabilità della classe politica italiana, renderà il processo ancora più difficile.

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Il Punto

  1. Marcello Romagnoli

    Cosa succederebbe se la BCE comprasse solo i titoli delle nazioni che vedono aumentare l’interesse dei propri titoli e non quello degli altri? Ad esempio comprasse quelli il cui spread, rispetto a quelli tedeschi, supera un certo livello?
    Si manterrebbero gli spread sotto controllo, mentre aumenterebbe quello tedesco.

    Perchè non viene fatto?

    Perchè non si cambia il metodo di determinazione del tasso d’interesse dei titoli di stato italiani, penalizzante per il paese?

    Perchè le aste sono principalmente dedicate agli “investitori istituzionali” e non si privilegiano i cittadini?

    Molti Perchè….Troppi Perchè….Le cose non sono forse come ci vengono raccontate

  2. Maurizio Cortesi

    Non si poteva trasferire la flessibilità del Peep al più corposo App? E non solo per i reinvestimenti. Visto che la pandemia, cioè la causa del Peep, anche se non terminata non ha più l’impatto economico che giustifico’ l’introduzione di questo strumento, si potrebbe gradualmente procedere, dopo ovviamente annunciare lo stop ai reinvestimenti, alla dismissione di questo portafoglio e questo consentirebbe di riprendere gli acquisti netti dell’App ma in misura inferiore alle vendite del Peep, così che il portafoglio complessivo della Bce si riduce limitando il pur necessario processo di rialzo dei tassi d’interesse di riferimento. Tra l’altro per concentrare gli acquisti flessibili sui titoli pubblici, si potrebbero dismettere anche i portafogli accumulati con gli altri strumenti dell’App che a fine giugno ammontavano a poco meno di 700 miliardi di euro, per un totale di 2500 miliardi circa di vendite. Si aprirebbe quindi uno spazio in aggiunta ai rinvestimenti di 1000/1500 miliardi di acquisti netti con margini di discrezionalità rispetto alla regola del capitale della Bce, contenendo il portafoglio complessivo di titoli entro i 4000 miliardi di euro.

  3. Henri Schmit

    Temo che un ragionamento troppo formale sia un approccio sbagliato. In sintonia con Lorenzo Bini Smaghi penso che la chiave di lotta contro lo spread sia nella politica economica e fiscale dei paesi membri. La BCE si riserva solo di intervenire contro speculatori che provano ad approfittare di debolezze momentanee di un paese. Ma non può sostituirsi ai governi; agirebbe ultra vires, come alcuni le hanno opportunamente ricordato. Questo significa che servono riforme strutturali, a favore dell’investimento, della produttività, della digitalizzazione, quindi a favore dell’occupazione e della crescita. una tale trasformazione necessita tempi lunghi, uno sforzo continua su dieci e più anni, una generazione che deve costantemente pensare, parlare, agire, legiferare nella stessa direzione. Pur partecipando con difficoltà, sforzi e forzature all’euro sin dall’inizio, il paese rimane ingabbiato in un discorso pubblico sbagliato cercando le cause delle sue inefficienze negli altri, nell’Ue, nel patto di stabilità. Sono passati 30 anni, più di una generazione, da quando si poteva sapere più o meno esattamente quello che bisognava fare. Invece. Le previsioni per le prossime politiche sono preoccupanti in quanto potrebbero vincere la competizione elettorale proprio le forze da sempre più chiuse alla riflessione autocritica indispensabile per riforme serie di autentica convergenza europea. Per me siete tutti colpevoli.

  4. Corretto dire che lo spread deve essere combattuto dal paese, quindi bilancio virtuale, ma per fare ciò, tutti i paesi devono partire in situazione di parità. L’Italia è il paese più indebitato,, occorre che l’Ue ristabilisca la parità, quindi il debito al di sopra del 50/60% deve essere consolidato per tutti i paesi, utilizzando le risorse finanziarie del Mes, da quel momento ogni paese ha l’obbligo della parità di bilancio

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