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Cause ed effetti del caro-grano

I prezzi dei prodotti agricoli sono in genere soggetti a forti variazioni, che sono aumentate con l’invasione russa dell’Ucraina. Ora Mosca e Kiev hanno firmato un accordo per lo sblocco dei porti, ma gli operatori nutrono dubbi sulla sua efficacia.

L’instabilità dei mercati agricoli mondiali

I mercati dei prodotti agricoli sono generalmente caratterizzati da una volatilità dei prezzi più elevata rispetto a quella di altre materie prime e di beni manifatturieri. Accade perché di fronte a una domanda piuttosto stabile di questo tipo di prodotti, si registrano fluttuazioni annuali e stagionali dell’offerta, che ovviamente risente di fattori climatici e ambientali spesso non facilmente controllabili. In più, molte materie prime agricole possono essere prodotte a costi ragionevoli solo a determinate latitudini e in particolari aree geografiche, e dunque non è possibile modificare rapidamente i quantitativi prodotti a livello mondiale. Le quantità immesse sui mercati mondiali possono cambiare significativamente da un anno all’altro, con limitate capacità di intervento da parte dei singoli produttori, generando quindi ampie variazioni dei prezzi (figura 1).

Figura 1 – Prezzo internazionale del grano dal 2012 (dollari per bushel)

Fonte: Trading economics.

Secondo il Food Security Portal dell’Ifpri, il grano è tra le commodities dai prezzi più volatili: al 25 luglio 2022, grado duro e grano avevano registrato rispettivamente 258 e 245 giorni consecutivi di eccessiva volatilità, seguiti dai semi di soia (con 232 giorni). È un numero enorme rispetto, per esempio, ai 20 giorni di eccessiva volatilità del mais (figura 2).

Figura 2 – Giorni consecutivi di eccessiva volatilità di alcune commodities (al 25 luglio 2022)

Fonte: Food Security Portal.

Il ruolo delle scorte

Esiste una forte relazione tra i prezzi delle materie prime alimentari e il rapporto scorte/utilizzo, un importante indicatore della vulnerabilità dei mercati alimentari mondiali agli shock. Nel 2021, ben 44 sui 125 paesi per cui vi sono dati disponibili presentavano un rapporto scorte/utilizzo al di sotto del 10 per cento. L’Unione europea è appena al di sopra di questa soglia. Il gruppo più numeroso (62) dei 125 paesi ha un rapporto scorte/utilizzo compreso tra il 10 e il 30 per cento (figura 3), mentre solo pochissimi paesi (tra cui la Cina) avevano accantonato scorte superiori al 40 per cento dei consumi nel 2021 (figura 4).

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Lo stoccaggio può contribuire a mitigare il calo dei prezzi dopo un raccolto abbondante. Oppure, dopo una cattiva annata, il ricorso alle scorte può ridurre gli effetti dello shock su mercati altrimenti rigidi. Quando le scorte sono basse, viene meno il loro effetto stabilizzante in caso di carenza di offerta, il che rende ancora più grave l’aumento dei picchi di prezzo e della volatilità.

La volatilità dei prezzi genera una serie di problemi rilevanti sui mercati mondiali sia ai consumatori sia ai produttori. In molti paesi, la produzione e l’esportazione di prodotti agricoli è una fonte di reddito fondamentale per una quota consistente di popolazione, e le variazioni di questi redditi possono creare povertà e tensioni sociali. Nel 2019 oltre un quarto della popolazione mondiale risultava impiegata in agricoltura (il 27 per cento secondo i dati World Bank), con elevate differenze tra paesi più avanzati e paesi in via di sviluppo. In Ucraina, la quota di popolazione impiegata in questo settore risultava pari al 14 per cento.

Le fluttuazioni dei prezzi dei beni agricoli sono problematiche anche dal lato della domanda. Poiché si tratta di beni di base, indispensabili per la sussistenza e con una bassa elasticità, le variazioni dei prezzi hanno un impatto elevato sul potere d’acquisto della popolazione, soprattutto nei paesi più poveri, dove una quota cospicua della domanda è destinata all’acquisto di cibo, in parte importato. Aumenti improvvisi e significativi dei prezzi di materie agricole di base sono tra i fattori scatenanti di tensioni politiche e sociali, come si è visto durante le cosiddette Primavere arabe del 2011.

Il peso dell’Ucraina

Per queste ragioni, ulteriori fonti di incertezza e di instabilità che si aggiungono a quelle strutturali del settore, con inevitabili effetti sui prezzi, hanno ripercussioni a livello globale. È successo ad esempio nel caso dell’invasione russa dell’Ucraina, uno dei principali produttori ed esportatori di grano al mondo (figura 5).

Appare perciò di cruciale importanza l’accordo firmato il 22 luglio tra Kiev e Mosca per lo sblocco dei porti dell’Ucraina. Il corridoio commerciale sicuro consentirebbe all’Ucraina di vendere gli oltre 20 milioni di tonnellate di grano accumulati nei silos portuali dall’inizio della guerra, il 24 febbraio scorso, liberando al contempo spazio per le scorte in vista del prossimo raccolto.

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Ma i mercati sembrano poco fiduciosi che l’intesa risolva la crisi di offerta: sarebbe necessario movimentare in poco tempo le 100 navi ferme da oltre quattro mesi e altre 300 navi, poiché molto presto – almeno in teoria – giungeranno nei porti i cereali del raccolto 2022. Il bombardamento russo del porto di Odessa a 24 ore dalla firma dell’accordo e la richiesta – arrivata il 27 luglio – di avere in cambio il via libera per tutte le esportazioni agricole russe hanno sollevato ulteriori dubbi. Eppure, lo sblocco delle esportazioni di grano dall’Ucraina con il controllo russo potrebbe essere strumentale per Mosca per mantenere – e possibilmente aumentare – la sua sfera di influenza sull’Africa (soprattutto settentrionale): si rivela centrale in questo senso l’Egitto, principale importatore di grano sia dalla Russia sia dall’Ucraina.

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  1. giorgio sacerdoti

    Molto interessante.
    Mancano però nell’articolo i dati sui paesi esportatori e relative quantità ( e non solo sui produttori e importatori)
    Inoltre si legge spesso che la volatilità è molto dovuto ad un fattore che voi non citate cioè il mercato ( speculativo) dei futures (Chicago, Londra). Cosa dicono gli autori in merito?

  2. Leonardo Bargigli

    Perché nell’articolo non viene menzionato l’impatto sulla sicurezza alimentare delle sanzioni contro la Russia che impediscono a molti paesi di acquistare il grano russo?

  3. Luciano Leonetti

    Articolo interessante riguardo al tema, ma molto parziale, e, soprattutto, devianti i dati e le statistiche fornite e discutibili le conclusioni.
    – Le importazioni senza le esportazioni dicono poco. L’Unione Europea risulta quindi uno dei maggiori importatori di grano, mentre e’ uno dei maggiori esportatori; inoltre la situazione e’ molto diversa per il grano tenero da quello duro. Potrebbe addirittura essere che il dato “importazioni UE” indicto nella tabella sia la somma delle importazioni dei paesi membri. In breve, il dato cosi’ come e’ presentato risulta incomprensibile e, in ultima analisi, deviante.
    – Anche la mappa sul rapporto scorte/utilizzo e’ totalmente deviante. Cosa significa “utilizzo”? Domanda interna al netto dei flussi commerciali internazionali? Domanda totale (consumo+import-export)? E che senso ha la mappa se non legata ad un indice complesso? E che senso ha usare dati del 2021 per parlare del mercato del grano nel 2022 senza adeguata premessa? Certo, i dati 2022 non ci sono o sono stime ma, gli economisti, specie quelli agrari, servono proprio a fornire dati significativi a sostegno delle proprie tesi.
    – Grottesca la confusione fra mappa e tabella 2 successiva: In una, lo 0,53 dell’Ucraina (che puo’ essere 53% o 0,53%, dipende dall’unita’ di misura usata) diventa 0,53% (mappa), in un’altra 53% (tabella 2). La Russia, questa sconosciuta (0,29% di scorte rispetto all'”utilizzo”?).
    Per esempio, risulta dalla mappa che Ucraina e Russia avevano elevate scorte nel 2021 (improbabile, ma chissa’: la mappa e tabella 2 sono incoerenti), mentre l’Egitto era in una condizione tutto sommato positiva. In una parola, quella mappa ha errori metodologici tali, da renderla non solo inutilizzabile, ma deviante.
    – Si ripete da mesi la quantita’ mitica di 20 milioni di tonnellate (a volte 29, considerando, forse, chissa’, anche tutti gli altri “grains”, l’olio di semi e i semilavorati). Ma da dove viene questo numero? Non e’ cambiato in quattro mesi? Prima hanno detto che i raccolti non si potevano fare perche’ c’era la guerra, poi che non si sapeva dove mettere il raccolto, poi che si’ pero’ il raccolto ancora non e’ stato fatto (parzialmente falso), ma sara’ fatto e non si sa dove metterlo; mai uno straccio di dato verificabile. Non sarebbe il caso di scrivere che quel dato e’ almeno incerto?
    – L’articolo parla di Ucraina e Russia, i paesi per cui le informazioni fornite sono le piu’ carenti nell’articolo stesso e per le quali i dati che sono forniti sono chiaramente errati e/o contraddittori.
    – Non si parla del ruolo negativo giocato dalle dogane europee per l’esportazione di grano e dell’incapacita’ assoluta di migliorare la logistica. Come e’ possibile che ci vogliano dalle tre alle cinque settimane dalla partenza di un treno di grano all’arrivo in un paese europeo?
    Ref:https://www.railjournal.com/freight/eu-to-set-up-solidarity-lanes-to-support-ukrainian-grain-exports/
    da allora la situazione non e’ migliorata, anzi. In tre mesi, la Commissione non ha saputo o voluto trovare una soluzione (e neanche i ministri dei trasporti, le aziende di logistica ecc). Non si e’ neanche riusciti ad usare in modo adeguato i porti fluviali danubiani ucraini, moldavi e romeni, che avrebbero potuto svolgere un ruolo sostanziale per portare a Costanza le derrate ucraine.
    – Il ruolo della finanziarizzazione delle commodities e’ prevalente rispetto a qualunque considerazione su domanda, offerta, scorte ecc. L’andamento dei mercati e’ ampiamente slegato dai flussi reali. Dalla crisi del 2008 la situazione e’ ulteriormente peggiorata, con un ruolo assolutamente spropositato giocato dai derivati e dagli strumenti finanziari basati sui derivati. Nell’articolo non se ne parla.

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