In Italia l’aborto è un diritto riconosciuto dalla legge. Ma l’obiezione di coscienza e più in generale l’atteggiamento dei medici rendono l’accesso alla procedura inutilmente lungo, complicato e traumatico per le donne.
Il diritto all’aborto
La sentenza della Corte Suprema Usa ha riportato in primo piano il dibattito sull’aborto. La scienza economica ha qualcosa da dire in proposito? Il premio Nobel per l’economia Alvin Roth ha inserito l’aborto in una lista di eventi che sono o sono stati considerati “ripugnanti”, ovvero quegli eventi rispetto ai quali si prova o si è provato un disagio morale. La ripugnanza morale cambia a seconda dei contesti istituzionali e dipende da un “prezzo” implicito associato alla propria moralità. Una delle implicazioni di questi studi è che sia possibile migliorare il dibattito pubblico fornendo informazioni concrete circa i vantaggi in termini di efficienza di scelte considerate moralmente problematiche. Di converso, la strategia perseguita dall’ala più reazionaria del conservatorismo americano (e non solo) è stata quella di innalzare il costo morale associato alle interruzioni di gravidanza con ampie campagne, che sono culminate, una volta raggiunta la necessaria maggioranza alla Corte Suprema, nella decisione di ribaltare la sentenza Roe vs. Wade che garantiva il diritto di accesso all’aborto in tutto il paese, di fatto rendendo illegale la procedura in diversi stati americani e aprendo le porte a nuove restrizioni in tanti altri.
In Italia il diritto all’aborto è garantito dal 1978, ma ai medici è concesso di obiettare alla fornitura della prestazione sulla base, per l’appunto, di motivazioni morali (anche se, come vedremo, sono in pratica legate alla carriera), negando di fatto l’accesso all’aborto a molte donne – specialmente alle più povere. I metodi utilizzati per l’intervento sono poi spessi arretrati, ingiustificatamente invasivi e colpevolizzanti.
Aborto farmacologico e aborto chirurgico
Sono due i metodi utilizzati per effettuare l’Ivg: l’aborto chirurgico e l’aborto farmacologico. Nell’ambito dell’aborto chirurgico, la metodologia dipende dal periodo di gestazione. Entro le prime otto settimane, viene utilizzata l’isterosuzione che consiste nell’aspirazione dell’embrione e dell’endometrio attraverso una cannula introdotta nell’utero. Dall’ottava alla dodicesima settimana, si eseguono la dilatazione e la revisione della cavità uterina (in questo caso è prevista la dilatazione della cervice per poter utilizzare una cannula di diametro maggiore). L’aborto farmacologico non richiede invece il ricorso all’intervento chirurgico: viene indotto da un farmaco, il Mifepristone- la cosiddetta pillola RU486 o pillola abortiva. Il farmaco abortivo è solitamente associato al Misoprostolo, che viene assunto due giorni dopo, inducendo le contrazioni uterine per favorire l’espulsione dell’embrione.
Anche se l’aborto farmacologico è legale in Italia dal 2009, nel 2020 è stato utilizzato solo nel 31,9 per cento delle Ivg. Rispetto agli altri paesi europei, l’Italia si classifica quindi fra le ultime posizioni per utilizzo di questa procedura (Figura 1).
L’aborto farmacologico è sicuro, semplice e funzionante, e offre maggior privacy di quello chirurgico. Dal punto di vista fisico, l’uso della pillola RU486 permette alle donne di non dover affrontare un intervento chirurgico invasivo e non necessario; dal punto di vista psicologico, l’aborto farmacologico rende l’Ivg meno traumatica. Perché dunque insistere con altre procedure?
La letteratura scientifica stima un’associazione statisticamente significativa a livello di singoli paesi fra l’uso dell’aborto farmacologico e il livello di uguaglianza di genere. In quest’ottica, il ricorso a metodi complessi e non necessari appare nella sua funzione disincentivante e punitiva: l’aborto deve restare una procedura complicata, dolorosa e psicologicamente traumatica per scoraggiarne l’utilizzo e lasciare un marchio indelebile nella memoria di quelle donne che hanno deciso di non portare a termine la propria gravidanza. La ripugnanza morale che alcuni medici (o i loro superiori) provano rispetto all’aborto influenza così anche la procedura scelta.
La piaga dell’obiezione
L’utilizzo diffuso della pillola abortiva potrebbe inoltre facilitare l’accesso all’Ivg, reso complicato dalla mancanza di personale ospedaliero, per l’alta percentuale di medici che dichiarano obiezione di coscienza (Figura 2).
Questa situazione costringe molte delle donne che risiedono in regioni con un elevato numero di obiettori a dover uscire dalla propria regione di residenza per poter ottenere un aborto e aumenta notevolmente i tempi di attesa necessari per un’Ivg, esponendole a maggiori rischi di complicazioni.
Ma se l’obiezione di coscienza nasce per concedere ai medici la possibilità di non dover intraprendere una transazione moralmente ripugnante, oggi le ragioni dietro tale scelta hanno spesso poco a che fare con la moralità individuale. Al di là di quest’ultima, le motivazioni più citate riguardano le minori possibilità di carriera (dovute al fatto che la maggioranza dei primari sono obiettori) e la corrispondente stigmatizzazione dei non obiettori all’interno degli ospedali. A ciò si aggiungono la mancanza di incentivi economici, l’eccessivo carico di lavoro e l’inadeguato training medico.
Il riemergere degli aborti clandestini
I problemi di accesso, uniti allo scarso utilizzo dell’aborto farmacologico, spingono molte donne ad auto-amministrare illegalmente la procedura. Da un lato, limitare il diritto all’aborto non riduce il numero effettivo degli aborti, ma spinge solo le donne nell’illegalità; dall’altro, molte donne preferiscono utilizzare la pillola abortiva all’interno delle proprie mura domestiche, sia perché molto meno invasiva di un intervento chirurgico, che per avere maggior privacy ed evitare giudizi e umiliazioni da parte del personale medico. Le ormai numerose testimonianze riguardo il pessimo trattamento riservato in ospedale alle donne che vogliono abortire, si ricollegano alla funzione punitiva e disincentivante della metodologia, e adesso anche del contesto, in cui praticare le Ivg.
Per concludere, il quadro che emerge è quello di un paese in cui il diritto all’aborto è garantito dalla legge, ma il modo in cui la legge viene applicata rende l’accesso alla procedura spesso lungo e complicato, a causa dell’alto numero di obiettori. E la procedura stessa è ingiustificatamente dolorosa e traumatica, come conseguenza del ricorso alla chirurgia e dell’atteggiamento scortese e giudicante che molti medici riservano alle donne che vogliono abortire. Come Alvin Roth ha ben illustrato, la ripugnanza morale di alcuni porta a risultati pessimi (e inefficienti) per molti. Nel caso dell’aborto, in nome di un supporto (tutto sommato facile dato che non genera obblighi specifici in chi lo sostiene) per vite che non ci sono ancora si compromettono quelle di coloro che già ci sono.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Fabrizio
Perché l’aborto viene considerato un diritto? Perché viene fatto credere che la vita del nascituro sia di proprietà della mamma? La vita del nascituro è del nascituro stesso, e la madre non dovrebbe decidere al posto suo se può nascere oppure no. Questo è il grande equivoco. È triste vedere che la sinistra, che a parole difende i più deboli, preferisca difendere i diritti delle donne a discapito dei diritti dei nascituri, che sono gli esseri più deboli e indifesi del mondo. Il fatto che sia legale non significa che sia moralmente giusto.
Mauro
E se non sei in grado di allevarlo? E se la contraccezione è poco accessibile?
Emanuele
Inquadrare la questione in termini di “proprietà” e usi valori morali superiori per “espropriarlo”, in termini logici, rimani nella concezione della “proprietà” che critichi (e a questo punto non si capisce se c’è un disvalore al concetto o quale sia il discredito); a livello pragmatico, presuppone una assoluta autonomia e indipendenza del nascituro dalla volontà della madre che di fatto, come ribadisci considerandolo la “parte debole”, oltre a non avere in assoluto, lo renderebbe completamente alla mercé delle decisioni della madre. E i valori morali di ripugnanza dove sono? Con l’utile “velo dell’ignoranza”, immagina se sia preferibile nascere scoprendo dalla prima infanzia che la persona a cui ci si affida completamente per l’accudimento si rifiuta proprio perché non voleva. Mettersi dalla parte del più debole con il velo dell’ignoranza dovrebbe scaturire ripugnanza a maggior ragione. Oppure credere o nella benevolenza fatalistica della ipotetica madre (possibile, si cambia idea nel tempo ma rimane una speranza) o nel surrogato di una comunità sociale pronta a sostituirla, magari con il supporto di uno Stato altrettanto benevolente.
Davide
L’aborto é già un evento incredibilmente traumatico per una donna, che poi per ragioni personali si voglia negare a loro una scelta che costa sofferenza – se non addirittura negarla anche in caso dove questo rappresenta un pericolo per il suo benessere fisico o psicologico – é un fatto che a mio parere ci riavvicina al Medioevo. Perché non le mettiamo alla gogna dato che ci siamo? Dopotutto devono essere possedute dal diavolo per volere interrompere una gravidanza.
Ma ovviamente in un paese bigotto come questo e considerando il livello dei politici da repubblica delle banane non è che ci si possa aspettare chissà quale lungimiranza e scelte basate sulla ragione.
Angelo
Non capisco perché un medico possa dichiararsi obiettore oggi. Nel 1978 aveva un senso. Era nata una nuova legge e un medico poteva non condividerla. Ma oggi sono passati quasi 50 anni, se un medico non vuole fare aborti per sue motivazioni morali che non li faccia.
E ovviamente che non venga assunto per fare il ginecologo.
Scelga un’altra branca della medicina.
Tutte le volte che ho fatto un colloquio di lavoro mi veniva descritta la posizione e le mansioni, ma a nessuno dei selezionatori ne tanto meno io pensavamo che era possibile fare tutto quello che veniva richiesto ad esclusione di quella specifica cosa che non amo fare. Se una persona ha un disturbo e soffre di tremori alle mani, non può fare il chirurgo. Magari può essere un ottimo medico in tantissime altre specialità. Ma come chirurgo non è adatto. Dal 1978 ad oggi la quasi totalità dei medici che si erano dichiarati obiettori sono andati in pensione e oggi esisterebbe un problema in meno per le donne.
Catullo
È un diritto anche quello all’obiezione, si può togliere ma quando si tratta di diritti è meglio andarci parecchio piano perché poi ne possono essere tolti altri.
Una mia domanda, ci sarebbe da capire perché si è obiettori credo che la parte legata al credo religioso sia solo una parte, gli altri?
Angelo
Esistono diritti ed esistono privilegi. L’obiezione penso faccia parte dei secondi. Ripeto, ad un colloquio di lavoro non ho mai potuto scegliere le mansioni, nel caso potevo scegliere un altro colloquio. Se ci sono lavori dove questo è possibile si tratta di privilegi.
Martin
Si può anche pensare che sia vita, anche senza avere una fede nel trascendente.
Francesca M
Il problema non è definire la vita, ma l’essere umano. Una cellula fecondata è sicuramente viva, ma non tutto ciò che è vivo è anche degno di essere protetto. Io non mi faccio problemi ad uccidere una zanzara, anche se è viva. In che momento lo spermatozoo e la cellula uovo diventano esseri umani?
Sara Bellei
“Il problema non è definire la vita, ma l’essere umano”. Quindi, stando al suo ragionamento, l’uovo di una donna fecondato dallo spermatozoo di un uomo è sì identificabile come vita, ma non è univocamente e inequivocabilmente identificabile essere umano. Esattamente cosa sarebbe allora? Andiamo per esclusione: una zanzara? Una rana? Un papavero? Un fungo?
Francesca M
Concordo pienamente. E’ ora di togliere la possibilità di scelta ai ginecologi.
Angelo
Perché l’aborto viene considerato un diritto?
L’aborto viene considerato un diritto perché esiste una legge.
Concordo con lei che il fatto che sia legale non significa che sia moralmente giusto. Personalmente credo che sia moralmente giusto per tantissimi altri motivi, non perché esiste una legge. Forse trattandosi di morale bisognerebbe avere l’umiltà di riconoscere che la propria morale non è per forza quella giusta. Questo è un grande equivoco.
Lorenzo
Grazie Angelo per aver trovato le poche sobrie parole per indicare la differenza fra democrazia e teocrazia. Del resto, forti delle proprie convinzioni morali, stuoli di professionisti del mondo sanitario (farmacisti, infermieri e anche operatori socio-sanitari) ostacolano protervamente il già difficile cammino delle donne nel loro peggior stato di debolezza.
Federico
Questo articolo avrebbe potuto avere il merito di fornire un’analisi obiettiva e avalutativa sul fenomeno, come si richiede sempre quando si trattano argomenti con approccio scientifico (come si addice a questa bella testata online). Invece ecco spuntare le solite affermazioni ideologiche pro-aborto buttate lì a mo’ di polemica, in particolare l’ultima frase. Ma su quali basi si afferma che si tratta di vite che non ci sono ancora? Per non parlare del titolo: “la piaga dell’obiezione”. Un principio fondamentale di libertà di scelta, che in questo sito si dovrebbe elogiare, che non perde di valore se in certi casi viene abusato. E sulle alternative all’aborto non si dice niente? Peccato, sarà per la prossima.
Pietro
Non entro nella discussione, perché tanto saremmo su lati opposti, e entreremmo nella valutazione morale della questione.
Contesto assolutamente, però, che si possa parlare di un diritto all’aborto, in quanto lo Stato italiano non assicura nessun diritto di questo tipo.
Lo Stato stabilisce alcuni diritti e alcune possibilità. Nella costituzione italiano è chiaro come i diritti facciano parte di quegli aspetti che sono buoni, auspicabili e lo Stato è chiamato a promuovere e garantire. La Legge 194, che è di riferimento in materia, non parla di alcun diritto ma anzi di una promozione che lo Stato è chiamato a fare per evitare che si verifichino gli aborti (spero che almeno le autrici l’abbiano letta, e si dovrebbe leggere prima di scrivere in materia).
Detto questo, diciamo anche che a livello economico e sociale l’aborto, per l’Italia, è disastroso. Siamo in una situazione di low low fertility, non avremo più soldi per le pensioni né per una sanità di livello. A livello economico, pensare di favorire l’aborto è un assurdo.
Francesca
Non si tratta di “favorire” l’aborto, ma di consentire l’aborto sicuro e legale. Perchè l’aborto illegale è sempre esistito, a volte con conseguenze molto gravi per le donne.