Per dare sollievo ai consumatori gravati dal caro bollette si potrebbe applicare un tetto personalizzato per le diverse fonti energetiche nel mercato elettrico. Andrebbe prevista anche una modifica della regola che fissa il prezzo dell’energia.
Una nuova proposta di tetto ai prezzi
L’aumento dei prezzi dell’elettricità è un effetto indiretto dell’impennata della speculazione nel mercato del gas che, a cascata, si è riverberata sul mercato elettrico. La ricerca di una soluzione efficace e rispettosa dei meccanismi regolatori in uso continua ad alimentare il dibattito fra le burocrazie di Bruxelles e le politiche nazionali senza arrivare a un accordo. È da maggio che l’Unione europea parla di “cap” sul gas, ma non riesce a ottenere un consenso che possa essere efficace per le tasche dei cittadini.
Quello che si può fare, e che comincia a raccogliere consensi anche all’interno dei palazzi dell’Unione europea, è applicare un tetto personalizzato per le diverse fonti energetiche nel mercato elettrico, insieme a una modifica della regola di fissazione del prezzo dell’energia per offerte superiori al valore del price cap.
L’idea è veramente un uovo di Colombo.
Il mercato elettrico è un meccanismo decentralizzato che si compone di offerte competitive che vengono aggregate dal gestore del mercato (Gme) in una funzione di offerta o merit order. Funziona così in Italia, secondo un modello simile a quello di tutti gli altri paesi dell’Unione europea, risultato delle direttive al suo tempo emanate nel 1997-2003 per la regolazione dei mercati elettrici.
L’attuale meccanismo di funzionamento del mercato elettrico prevede la regola di prezzo del system marginal price, dove l’ultima offerta accettata, e quindi la più costosa, determina il prezzo marginale uguale per tutti i produttori dispacciati, indipendentemente dalle caratteristiche delle unità di produzione.
Questo meccanismo del mercato elettrico è in realtà identico a quello che opera nei mercati finanziari, detto dell’asta marginale, per il collocamento dei titoli pubblici: quando il Ministero del Tesoro presenta un’offerta di emissione, vengono considerate le offerte degli operatori e quella più vantaggiosa – cioè il rendimento più alto offerto al Tesoro – è quella che determina il prezzo per tutti. Allo stesso modo, nel mercato elettrico se un impianto fotovoltaico fa un’offerta a 0, un impianto idroelettrico offre a 20, un impianto carbone offre a 40 e l’ultimo impianto accettato è una unità a gas che offre a 60 euro/MWh, quest’ultimo determina il prezzo per tutti. I numeri che abbiamo usato sono quelli medi negli ultimi anni e la differenza fra il costo marginale di impianto fotovoltaico pari a 0 e il prezzo marginale del gas pari a 60 era considerato corretto per remunerare l’investimento in capitale dell’impianto fotovoltaico. Tutto ciò funzionava prima dell’impennata dei prezzi e della crisi iniziata con l’uscita dall’emergenza pandemica (settembre 2021) e poi con la guerra. Ora, con il prezzo del gas che determina il costo marginale di un impianto a gas pari a 400 €/MWh si crea una rendita per un impianto fotovoltaico che è sicuramente eccessiva.
Mercato diviso in due parti
Ecco allora la nuova proposta che suggerisce di fissare un price cap sul mercato, cioè un livello di prezzo al di sotto del quale continua a valere la regola del system marginal price. Il tetto di prezzo però serve a separare il mercato in due porzioni. Infatti, le quantità offerte dagli operatori a prezzi inferiori al cap continuano a essere determinate con il system marginal price, mentre le offerte superiori al cap saranno soggette alla regola di prezzo del pay-as-bid, vale a dire che ogni offerta accettata riceverà un prezzo pari al bid presentato.
Il sistema pay-as-bid è analogo alla cosiddetta asta competitiva dei titoli pubblici, dove ogni operatore viene remunerato al livello della propria offerta. In sintesi, quando per alcuni titoli di stato il Tesoro decide una emissione con offerta in busta chiusa da parte degli investitori, a ciascun investitore viene riconosciuto il prezzo pari alla sua propria offerta.
Il cambiamento nella regola di pricing separa il mercato, determinando strategie diverse a seconda della tipologia e della posizione nell’ordine di merito delle diverse tecnologie.
Facciamo un esempio: nel mercato elettrico Arera in accordo con il governo stabilisce un cap per il fotovoltaico considerando la giusta remunerazione e facendo attenzione non solo al recupero dei costi di investimento ma anche alle spese di esercizio e alla giusta profittabilità pari, ad esempio, a €70/MWh. Se lo stesso calcolo per un impianto eolico fosse pari a €80/MWh, si fisserebbe un cap in modo analogo.
Un impianto a carbone potrebbe essere considerato must-run. Alcuni impianti devono infatti obbligatoriamente funzionare tutte le ore del giorno per tutto l’anno per mantenere in sicurezza la gestione della rete elettrica. In questo caso, il cap all’impianto viene calcolato con lo stesso metodo e riceverà una remunerazione massima pari al costo su base annua dell’investimento più i costi variabili più una normale profittabilità dell’investimento.
Tutti gli altri impianti variabili, tipicamente a gas, che coprono le punte di offerta e che subiscono il costo elevatissimo della materia prima, verrebbero invece remunerati con meccanismo del pay-as-bid, ovvero col metodo di prezzo discriminativo.
I vantaggi per i consumatori
La teoria economica ha in realtà dimostrato che in un mercato perfettamente competitivo non c’è differenza nel risultato allocativo tra la regolazione col pay-as-bid e la regolazione con il system marginal price. Questo perché nell’equilibrio strategico del pay-as-bid gli operatori anticipano il prezzo marginale pari a X e si adeguano con un bid marginalmente inferiore al valore X medesimo. In questo modo massimizzano la probabilità di entrare all’interno delle offerte che vengono accettate e, nel contempo, di ottenere la massima remunerazione possibile, visto che viene riconosciuto loro un prezzo pari alla loro offerta. Il grafico 1 spiega qual è il vantaggio del sistema proposto.
Nel sistema attuale l’equilibrio del mercato si determina con l’incontro della domanda e dell’offerta nel punto C. L’area del triangolo ABC rappresenta l’intera rendita dal lato dell’offerta, dato un prezzo marginale del gas molto elevato nel punto C.
Supponiamo che venga messo un price cap per le fonti meno costose che generano una quantità Q1, al livello del punto D. La rendita di questi impianti sarà quindi limitata al triangolo ADE.
L’offerta degli impianti marginali a gas si allineerà al livello C. Quindi la nuova curva di offerta sarà data dalla spezzata AEFC. E la rendita di questi impianti sarà il triangolo EFC. Si vede chiaramente che questo meccanismo avvantaggia i consumatori perché consente loro di risparmiare l’area del rettangolo BEDF.
Infatti, il costo totale nel primo caso è dato dal rettangolo ABCQ2 (prezzo per quantità totale). Invece il costo totale con il meccanismo del cap è dato dalla somma dei rettangoli ADEQ1 più Q1FCQ2. LA differenza è proprio BEDF.
È un meccanismo che, almeno nel mercato italiano caratterizzato da unit committment, può essere applicato immediatamente. Farebbe risparmiare alla bolletta dei consumatori, ai prezzi attuali di 400 €/MWh e con un cap di 100 €/MWh – molto generoso per gli impianti a fonti rinnovabili – un valore pari al rettangolo di area 300 X Q1, dove Q1 rappresenta l’offerta da fonti rinnovabili sottoposta al cap (che è circa il 50 per cento dell’offerta totale).
In altri termini, i consumatori risparmierebbero circa il 75 per cento sulla metà della elettricità che consumano, ovvero un risparmio rispetto alla bolletta attuale del 37,5 per cento, subito e senza oneri aggiuntivi per i conti pubblici.
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Paolo
Questa proposta è praticamente identica a quella che ha fatto la Grecia in sede europea, e che pare sia stata accantonata immediatamente.
Peraltro essa non esclude l’applicazione del “tope al gas” alla spagnola (si potrebbero tranquillamente applicare entrambe), ed è affetta dalla medesima problematica: occorre un intervento che escluda dal cap l’energia scambiata con l’estero, viceversa parte del beneficio economico sarebbe erogato ai paesi confinanti interconnessi (e pazienza la francia, ma la svizzera è pure fuori dalla UE!).
Nicola
Chi decide la giusta remunerazione e sulla base di cosa? Se decidiamo una giusta remunerazione per l’energia elettrica la possiamo decidere anche per qualsiasi altra cosa?
Ad esempio la apple guadagna moltissimo rispetto al costo di produzione, così come per esempio la Nike o la Ferrero, ma nessuno si é mai sognato di mettere un price cap alla Nutella, o di definire i profitti della Ferrero “extra-profitti”.
Inoltre se mettiamo un cap, allora sarebbe giusto mettere anche un floor, perché ci si potrebbe trovare nuovamente in futuro anche in situazioni di sotto-remunerazione, così come in passato ci sono state ore con prezzi dell’energia pari a zero o anche negativi.
Carlo
A prescindere dal fatto se sia praticabile o meno, la proposta dell’articolo non parla di un bene qualsiasi come la nutella, ma di un bene che ha caratteristiche di servizio di pubblica utilità. Per beni di questo tipo vale il criterio di regolamentazione del mercato più che per i beni qualsiasi, come insegna la storia delle public utilities (anche quella dei paesi dove non si è mai nazionalizzata la produzione di tali beni)
Nicola
Se questa è la visione, cioè l’energia elettrica è un bene pubblico, la cosa giusta da fare sarebbe questa: dire “Signori, abbiamo scherzato! Ci siamo accorti che il mercato libero è un grossissimo errore per i servizi di pubblica utilità!!, torniamo indietro!” e si ri-nazionalizza tutto.
Il mio parere è che le vie di mezzo fanno solo più danni.
Però poi dobbiamo definire anche quali siano tutti i settori di pubblica utilità e soprattutto dei prezzi consoni per tutti.
paolo
negli ultimi 10 anni il prezzo dell’energia in borsa non è mai stato sopra 100 €/MWh e questo non ha mai fermato lo sviluppo della nuova potenza rinnovabile, anzi. inoltre esiste lo strumento dei PPA (contratti tra privati in cui un grande consumatore acquista energia prodotta da fonte rinnovabile ad un prezzo fisso a lungo termine, diciamo dieci anni), che aggiudica tra i 70 e i 90 €/MWh.
quindi se pure è vero che non esiste un prezzo “giusto” inteso come valore numerico esatto, è abbastanza semplice identificare delle soglie, o almeno delle fasce di prezzo sopra le quali l’investimento è comunque altamente remunerativo, e quindi lo sviluppo delle FER non viene rallentato dal cap.
Nicola
è vero, solo che la nuova potenza rinnovabile è sempre stata incentivata. Guardando gli ultimi 10 anni, anche parecchio: nei conti energia del fotovoltaico il prezzo dell’energia incentivata era tranquillamente sopra i 200 €/MWh 10 anni fa. Ultimamente è molto calato.
Comunque il mio discorso non è legato allo sviluppo delle rinnovabili, è legato al mercato libero. O si ritiene che il mercato libero sia “cosa buona” e allora lo si accetta, oppure si torna indietro.
Questa via di mezzo secondo me è assurda perchè in nessun altro settore viene penalizzato chi investe in migliori tecnologie o in efficientamento con la scusa che, producendo prodotti di uguale qualità rispetto alla concorrenza, ad un costo più basso, ottiene degli extra-profitti.
Chi negli anni ha investito in fonti rinnovabili, è giusto che oggi ottenga i propri profitti.
Le modalità per abbassare i costi energetici a famiglie e imprese, se veramente si volessero adottare, non dovrebbero a mio parere toccare i profitti di imprese che li ottengono, fra l’altro, in modo legale. In tutto ciò andandogli a cambiare le regole del mercato a investimento in corso…
Davide
Di questo, come di altri articoli presenti sul sito, non si capisce niente. A meno che non sia indirizzato a specialisti, non serve a niente.