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Vizi e virtù del profit-sharing

Il meccanismo del profit-sharing introdotto per incentivare raccolta e riutilizzo dei rifiuti è senz’altro utile, ma ha alcuni difetti. Per premiare le iniziative migliori andrebbero previsti obiettivi di circolarità e una deduzione standard dai costi.

Le regole in vigore

Il meccanismo di regolazione applicato da Arera nel settore dei rifiuti prevede l’innovativo principio del profit-sharing applicato ai ricavi che il gestore ottiene dalla valorizzazione dei materiali o dell’energia. In pratica, il metodo tariffario riconosce al gestore il 100 per cento dei costi sostenuti, al netto di una frazione di questi ricavi che varia dal 30 al 60 per cento in funzione delle valutazioni che si fa dell’impegno profuso nel raggiungere gli obiettivi minimi di riciclo e recupero di materia, e nella riduzione dei flussi conferiti a discarica.

Quindi, a titolo di esempio, se un gestore ricava 100 dalla vendita dei materiali, solo il 30-60 per cento viene dedotto dal costo totale; il resto rimarrà al gestore e varrà come incentivo a impegnarsi verso gli obiettivi indicati dalle direttive europee.

Il coefficiente viene leggermente maggiorato se i materiali vengono conferiti a uno dei sistemi collettivi creati in attuazione del principio di responsabilità estesa del produttore (come, ad esempio, il Conai per gli imballaggi); ciò perché questi soggetti riconoscono un prezzo minimo di riferimento, contrattato a livello nazionale con Anci, e quindi implicano un minore rischio industriale da parte del gestore.

Se così non fosse, il gestore perderebbe ogni incentivo a utilizzare in modo efficiente le infrastrutture assegnate in uso (ogni euro di margine generato da queste attività aggiuntive comporterebbe una riduzione di un euro delle entrate da tariffa, e pertanto una variazione nulla dei risultati aziendali).

Il meccanismo ha però qualche inconveniente.

In primo luogo, se il gestore del servizio integrato (assoggettato alla regolazione) conferisse i materiali raccolti a una società di comodo, anziché al mercato o ai sistemi collettivi di compliance, potrebbe ottenere un vantaggio enorme: il meccanismo di profit-sharing intercetterebbe infatti il ricavo di comodo (al limite zero o perfino negativo), mentre l’intero margine verrebbe spostato sulla società esterna, fuori dal perimetro regolato.

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La congruità dei prezzi di trasferimento è infatti molto difficile da valutare, data l’eterogeneità dei materiali raccolti, il diverso grado di purezza, le molteplici opportunità che vi sono di mescolare flussi di diversa provenienza per ottenerne frazioni più o meno pure e atte al riciclo.

Anche nel caso in cui l’impianto di destinazione fosse assoggettato alla regolazione delle tariffe al cancello (cosiddetti “impianti di chiusura del ciclo minimi”, ad esempio biodigestori o termovalorizzatori), il profit-sharing è comunque escluso; ciò consente al gestore di trattenere per intero non solo i margini, ma tutto il ricavo, potendo i costi essere scaricati sulla tariffa al cancello.

Ciò è comprensibile e rientra nella logica della divisione del lavoro e della specializzazione tipica di qualsiasi settore industriale; presta tuttavia il fianco a possibili comportamenti scorretti, che sfruttano le possibilità di arbitraggio tra mercato regolato e non regolato, specie se la filiera è lunga e richiede fasi di trattamento in successione svolte in impianti diversi sia per proprietà che per collocazione geografica (o perfino nazionalità).

Inoltre, spesso i gestori affidano le fasi di raccolta e spazzamento a imprese esterne, con un’ampia gamma di contratti che possono lasciare a queste ultime la proprietà e la successiva valorizzazione dei materiali raccolti, in cambio di corrispettivi inferiori.

Il meccanismo consente quindi ai gestori di scaricare tutti i costi del recupero di materia ed energia sui cittadini attraverso la tariffa, trattenendo l’intero ricavo. Inoltre, si produce un incentivo a spingere il recupero oltre il livello efficiente, dal momento che un’azione che ne produce un miglioramento anche marginale risulterebbe conveniente per il gestore pur nell’ipotesi che il costo risulti essere maggiore.

Il meccanismo favorisce l’esternalizzazione dell’impianto, soprattutto quando ci si trova in un regime di strozzatura all’offerta e gli impianti tendono a essere usati al massimo della capacità. Qualora ci si trovasse invece in una situazione di eccesso di offerta, verrebbe meno la ragione stessa della regolazione.

La proposta

Un modo per evitare questi inconvenienti, e che ci permettiamo di suggerire al regolatore, è il seguente.

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Si potrebbe calcolare l’importo da mettere in deduzione ai costi totali in modo standardizzato, ad esempio in funzione di un indicatore di performance nella circolarità da assumere come obiettivo (crescente di anno in anno in modo da risultare più sfidante, eventualmente parametrandolo rispetto al punto di partenza), e di un prezzo standard, rappresentato dal corrispettivo offerto come “ultima spiaggia” dai consorzi di filiera.

In tal modo, il gestore che raggiungesse esattamente gli obiettivi di raccolta e si limitasse a cedere i materiali ai consorzi di filiera, otterrebbe una deduzione standard. Chi fosse capace di raccogliere di più o di valorizzare in modo migliore i materiali raccolti otterrebbe un premio, mentre al contrario chi raccogliesse meno o valorizzasse peggio otterrebbe una penalità.

Un meccanismo simile potrebbe essere impiegato anche per gli altri sottoprodotti (energia elettrica, calore, compost, biogas), estendendolo anche agli impianti “minimi”. La tariffa sarebbe calcolata sottraendo ai costi un ricavo standard, incentivando quindi il gestore dell’impianto sia a investire per migliorarne il potenziale di recupero, sia a selezionare i rifiuti in ingresso, pur con l’obbligo di garantire la messa a disposizione della capacità richiesta dal piano regionale.

Un ulteriore vantaggio del meccanismo proposto è quello di prestarsi a fornire incentivi differenziati e calibrati sui singoli materiali e flussi prioritari, anziché applicare un forfait generico che tratta in modo indistinto qualsiasi tipo di ricavo. Si potrebbero così premiare le iniziative volte a separare alla fonte in modo selettivo determinati materiali, per esempio quelli contenuti nei rifiuti elettronici.

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  1. mauro

    Forse sarebbe ora di non considerare il cittadino sempre come prestatore d’ultima istanza , ma come utente in grado di valutare le qualità dei servizi erogati, compartecipando agli utili per il buon lavoro , erogando le penali per i pessimi lavori e, finalmente ,vedersi ridurre le bollette.

  2. Iva

    Una domanda: il meccanismo è descritto come già in vigore. A quale delibera fa riferimento?. Mi chiedo poi se le Sue obiezioni non fossero state sollevate già in fase di formazione del provvedimento, durante la consultazione pubblica. Si può avere qualche dettaglio su ciò? Grazie

    • Antonio Massarutto

      Il meccanismo del profit-sharing è stato introdotto nel Metodo Tariffario Rifiuti applicato per il biennio 2020-2021, e riproposto tale e quale nel MTR-2 (2022-2024).
      Ignoro sinceramente se obiezioni analoghe alla mia siano state sollevate in sede di consultazione pubblica.
      Al momento, i ricavi dalla cessione di sottoprodotti sono dedotti dai costi riconosciuti in misura pari al loro valore contabile, con un coefficiente di sharing che l’Ente Territorialmente Competente fissa nell’intervallo 0,3 – 0,6

      • Iva

        Grazie mille della risposta. La sua analisi degli effetti distorcenti dell’attuale metodo mi sembra molto corretta (e anche la proposta) e per tale motivo mi chiedevo se la procedura di formazione del provvedimento regolatorio non avesse portato ad anticipare la problematica (o che forse può meglio cogliersi in fase di monitoraggio). Approfondirò perché mi interessa capire anche l’efficacia delle procedure consultive (e di valutazione degli effetti) nel settore dei rifiuti

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