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Le sanzioni alla Russia e il ruolo della politica nelle scelte d’impresa

In seguito all’invasione russa dell’Ucraina, molte imprese si sono volontariamente unite alle sanzioni decise da alcuni Paesi. Le sanzioni private derivano dal timore che, in caso di inazione, le imprese avrebbero potuto essere penalizzate dai loro stakeholder. Alcuni azionisti, lavoratori e clienti sono disposti a subire un danno economico pur di vedere rispettati i loro valori. Le imprese dovranno tener conto in modo sempre maggiore delle conseguenze politiche delle loro scelte.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha provocato la reazioni di molti Stati, con l’applicazione di sanzioni nei confronti del Paese guidato da Putin. Alle sanzioni degli Stati si sono aggiunte quelle di alcune imprese private. Circa mille imprese, che davano lavoro a più di un milione di russi, hanno scelto di non operare più nel paese. L’esempio più noto è forse quello di McDonald’s. Cosa le ha spinte a una scelta così radicale? La risposta più ovvia è che hanno risposto alle richieste dei loro stakeholder: azionisti, lavoratori e clienti.

Per capire la posizione degli stakeholder, Hart, Thesmar e Zingales, in un recente lavoro, hanno elaborato un questionario distribuito a 3 mila cittadini negli Stati Uniti in cui si chiedeva di mettersi nei panni di ipotetici stakeholder di un’impresa che opera in Russia e che decide di non chiudere. Le risposte sono molto interessanti. Il 67 per cento dei partecipanti pensa che continuare a operare in Russia sia un modo per diventare complici della guerra e che le imprese dovrebbero cessare le operazioni, senza tenere conto delle conseguenze sull’impresa stessa. Non solo. La maggior parte degli ipotetici stakeholder è disposta a pagare un costo personale per punire le imprese che non cessano le operazioni in Russia, vendendo le proprie azioni nel caso degli azionisti, cambiando occupazione nel caso di lavoratori e boicottando il prodotto nel caso dei clienti. Ovviamente la disponibilità a punire le imprese dipende dal costo personale che lo stakeholder ha dall’applicare la sanzione all’impresa. Quanto più alto è il costo personale, quanto minore è la disponibilità a punire l’impresa: in altre parole, c’è un trade-off tra valori morali e costi personali. Ma, in ogni caso, le imprese devono tenere conto del fatto che gli stakeholder sono disposti a pagare di tasca propria per vedere le imprese non avere più rapporti con la Russia.

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Ad alcuni soggetti veniva detto nel questionario che le loro scelte non avrebbero avuto alcun effetto negativo sull’impresa, perché altri clienti avrebbero comprato i suoi prodotti o altri lavoratori li avrebbero rimpiazzati velocemente. Malgrado ciò, molti dei partecipanti hanno risposto di essere disposti a boicottare ugualmente l’impresa. In particolare, la media della componente di warm glow della punizione, ossia la soddisfazione intrinseca che deriva dall’atto di punire un’impresa che non cessa le sue operazioni in Russia, indipendentemente dalle conseguenze effettive sull’impresa, è stata misurata in circa 250 dollari. Una cifra in sé non elevatissima, ma che, se moltiplicata per un grande numero di individui, può diventare molto rilevante. Altri risultati sono interessanti: i “liberal” sono più disposti a punire le imprese dei conservatori in caso di inazione e, forse sorprendentemente, i giovani sono meno disposti a punire dei più anziani.

La lezione principale che gli autori derivano dalle risposte al loro questionario è che gli stakeholder vogliono che le scelte dell’impresa tengano conto dei loro valori morali e sono disposti a pagare anche di tasca propria per danneggiare quelle imprese che non rispettano tali valori. L’idea di Milton Friedman, secondo cui un’impresa deve solo massimizzare il valore delle azioni, non sembra rispecchiare la volontà degli stakeholder. Le imprese, allora, in futuro, dovranno prestare sempre maggiore attenzione alle conseguenze “politiche” e morali delle loro azioni. Per esempio, l’outsourcing di alcune parti dei processi produttivi a imprese operanti in Paesi autocratici e con basso rispetto dei diritti umani potrebbe diventare sempre più rischioso dal punto di vista delle sanzioni degli stakeholder. Questa considerazione potrebbe contribuire ad una maggiore segmentazione dei mercati internazionali. Addirittura, la segmentazione potrebbe avvenire all’interno di uno stesso Paese, con imprese che si specializzano nel servire una frazione di clienti conservatori (o liberali) e che non hanno rapporti con imprese che servono nicchie di mercato ideologicamente diverse. Il mercato dei media (tradizionali e social) potrebbe essere un esempio. I valori contano e le imprese devono prendere atto che la loro evoluzione nei mercati dipenderà in misura crescente anche dal loro posizionamento “politico”.

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Il Punto

  1. Ponzi

    La maggior parte delle persone che vede dei soldi abbandonati su un tavolo non li prende perché pensa che sia rubare.
    Tuttavia basta che una sola persona non si faccia troppo problemi ed ecco che il meccanismo di mercato torna ad operare.
    La frase “L’idea di Milton Friedman, secondo cui un’impresa deve solo massimizzare il valore delle azioni, non sembra rispecchiare la volontà degli stakeholder” non mi sembra dica nulla di nuovo: è sempre stato così. Il punto, invece, è proprio che il mantenimento dei rapporti con la Russia potrebbe non portare più alla massimizzazione del valore delle azioni.

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