Per ridurre l’incidenza della povertà assoluta è necessario che l’economia torni a crescere stabilmente. Cartina di tornasole sono i dati del Rapporto Caritas: nel 2021, anno di ripresa dopo la crisi da Covid, il fenomeno cala al Nord e cresce al Sud.
Il Rapporto Caritas 2022
Il 17 ottobre è stato presentato il Rapporto Caritas 2022 su povertà ed esclusione sociale in Italia. Oltre a un utile compendio dei dati sull’evoluzione della povertà assoluta negli anni della pandemia, il Rapporto contiene diversi approfondimenti inediti: l’analisi delle caratteristiche delle persone che hanno chiesto aiuto presso i centri Caritas nel 2021 è seguita da due indagini quantitative sulla persistenza intergenerazionale delle condizioni di povertà. La parte finale è dedicata alla discussione delle questioni aperte sulle politiche di contrasto alla povertà nel nostro paese, in particolare quelle che riguardano il reddito di cittadinanza.
Durante la pandemia il numero dei poveri assoluti ha raggiunto il massimo storico, quasi 2 milioni di famiglie e 5,6 milioni di persone. Tra 2020 e 2021 non si sono avute variazioni significative di questi numeri. Come nelle crisi precedenti, le famiglie più colpite dalle conseguenze economiche del Covid sono state quelle giovani, con figli, con stranieri o con un solo reddito da lavoro, mentre se la sono cavata meglio i nuclei piccoli, con anziani, composti solo da italiani.
Nel corso del 2021 è aumentato il numero delle persone che hanno chiesto aiuto ai centri Caritas, una crescita che ha riguardato soprattutto gli stranieri e i bassi livelli di istruzione, mentre si riduce la domanda da parte di chi ha un lavoro.
L’indagine sulla correlazione tra le caratteristiche degli assistiti da Caritas e quelle delle loro famiglie di origine conferma che la mobilità sociale in Italia è bassa: spesso chi è povero proviene da contesti di povertà, con genitori poco istruiti, madri in gran parte fuori dal mercato del lavoro, padri di solito occupati in posizioni a bassa specializzazione. È chiaro come in questi casi un semplice trasferimento di denaro, pur necessario, sia insufficiente per modificare un percorso di vita. Serve una presa in carico di durata adeguata per offrire concrete occasioni sociali e lavorative.
Tornare a crescere
Il Rapporto, opportunamente, inserisce il fenomeno della povertà nel contesto della prolungata stagnazione dell’economia italiana, che limita anche le prospettive di mobilità ascendente soprattutto per chi ha poche risorse culturali e professionali.
Per ridurre l’incidenza della povertà assoluta è necessario che l’economia torni a crescere stabilmente. I dati relativi al 2021 – un anno di forte rimbalzo dopo la caduta del 2020 – danno alcuni suggerimenti sull’importanza della crescita economica: rispetto all’anno precedente l’incidenza della povertà assoluta è diminuita nel Nord, un’area più pronta ad agganciarsi alla ripresa, mentre è cresciuta al Sud. È inoltre diminuita per chi ha almeno il diploma e quindi ha più capacità di rispondere alla domanda di lavoro da parte delle imprese rispetto a chi ha bassa istruzione, ed è probabilmente anche più giovane. Il rimbalzo pare non essere stato sufficiente, invece, per ridurre il rischio di povertà nelle regioni con economia più debole e maggiori problemi strutturali.
Anche i dati sul reddito di cittadinanza sembrano suggerire l’importanza della crescita economica. Il grafico che segue (non presente nel Rapporto, ma realizzato dall’autore di questo articolo) mostra la relazione tra la variazione del valore aggiunto per regione tra 2020 e 2021 (escludendo le regioni con meno di un milione di abitanti, fonte Centro Studi Tagliacarne) e la variazione del numero dei percettori del reddito di cittadinanza (è esclusa la pensione di cittadinanza) tra gennaio 2021 e agosto 2022. In totale, il numero è diminuito, ed è già un possibile risultato della crescita post-Covid. Il calo dei percettori del Rdc è stato più forte nelle regioni con più alta crescita del valore aggiunto.
Come riforma il reddito di cittadinanza
Infine, il Rapporto discute di come riformare il Rdc. La misura, come evidenziato dal Rapporto che la stessa Caritas le aveva dedicato lo scorso anno, raggiunge solo la metà circa dei poveri assoluti. In gran parte ciò deriva dal fatto che i criteri di attribuzione del sostegno (Isee e reddito disponibile) sono molto diversi da quelli in base ai quali l’Istat identifica i poveri assoluti (la spesa per consumi), ma in parte anche da come il Rdc è disegnato: esclude troppi stranieri a causa del requisito di dieci anni di residenza, è sbilanciato a favore dei single dato che ha una scala di equivalenza molto piatta, e non tiene conto che il costo della vita non è lo stesso in tutto il paese e che, quindi, una misura unica penalizza i poveri residenti al Nord. Finisce così per escludere molte famiglie sicuramente povere, mentre rende eleggibili soggetti non poveri (in particolare famiglie di piccola dimensione residenti in aree con basso costo della vita). È anche penalizzante per chi ha piccoli redditi da lavoro, e quindi trascura il fatto che in molte famiglie povere vi sono persone che lavorano, il cui sforzo andrebbe premiato, non punito con una riduzione rapida del sussidio per ogni euro in più guadagnato sul mercato.
Le cose da fare per riformare il Rdc e i servizi per l’inclusione lavorativa sono note da tempo. Vedremo cosa deciderà il nuovo governo.
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Savino
Conte se vuole fare il progressista ascolti Papa Francesco, visto che finora ha avuto solo a che fare con Grillo, Di Maio, Di Battista e anche con Salvini.
Maurizio Cortesi
Parlate sempre di mobilità sociale ma mai territoriale. Perché i poveri non si spostano dalle aree con più alto costo della vita a quelle dove “the living is easier”? E non si tratta solo del famigerato sud: Marche, Umbria, Viterbese e lo stesso Abruzzo-Molise che sono il nord del sud offrono ambienti non proprio “mafiosi” a prezzi più bassi della mitica padania e magari anche più gradevoli dal punto di vista naturalistico. Se i working poors del milanese si vendono la casa possono ricomprarne una di pari metratura a Terni per esempio (non ci abito a scanso di equivoci campanilistici) con 1/3 se non 1/4 del ricavato. La cittadinanza repubblicana non si identifica con la comunità locale cari catto-comunisti della Caritas e dintorni ed è proprio questo comunitarismo una delle cause strutturali della povertà, sulla quale poi si specula per invocare la mitica crescita che si risolve sempre in maggior debito pubblico e maggiore ricchezza dei catto-comunisti.
Savino
Nessuno ha fatto niente di male per essere nato in un posto scomodo e in una famiglia povera.
Marco
Faccio un caso estremo: reddito 50.000 euro, patrimonio 500.000 euro, casa di proprietà, pranzi e cene dai genitori o sfruttando l’orto di famiglia, poca propensione nello spendere, per l’Istat è un povero assoluto. Quanti sono in condizioni simili o comunque senza particolari esigenze, ma considerati poveri assoluti dall’Istat?
Credo che se non si inizierà a raccogliere i dati nella maniera corretta, a poco servano i ragionamenti e le teorie per trovare delle soluzioni per chi effettivamente ha bisogni impellenti. Il rischio è quello di fare solo delle chiacchiere, o al massimo regalare qualche pesce, anziché insegnare a pescare.
Massimo Taddei
Ma, abbia pazienza, quante persone conosce che guadagnano 50 mila euro l’anno e pranzano e cenano dai genitori o con i frutti dell’orto? Ci saranno eh, ma la statistica è anche fatta così dai… Altrimenti paghiamo 30 milioni di ispettori che vadano a controllare casa per casa se gli altri 30 milioni di cittadini sono poveri o meno
Marco
A dir la verità, ne conosco parecchie. In una grande città, dove il centro degli interessi è legato al business, il calcolo della povertà assoluta ha più senso, ma in piccoli comuni, oppure in campagna, dove la maggior parte delle persone ha casa di proprietà, un terreno, magari meno esigenze indotte, non dico che sia la regolarità, ma non è difficile trovarne. Ci sono ancora persone che sono state educate a non andare dietro sempre all’ultima moda e che sanno cercare la felicità in quei valori un po’ più consistenti. Semplicemente non sentono il bisogno di spendere, mentre d’altra parte il conto in banca non piange, rimpinguato da eredità di famiglia e onesto lavoro. Purtroppo le mie sono solo osservazioni e posso essere ben smentito da studi fatti seriamente. Ci sono tanti modi per calcolare le statistiche ed ogni modo ha i suoi difetti ed i suoi range di errori. Però calcolare la capacità di spesa basandosi sul numero di acquisti fatti mi pare proprio un errore di impostazione. Non servono 30 milioni di ispettori, basterebbe avere un metodo migliore. Oltretutto, ormai lo stato ha talmente tante informazioni su di noi, che basterebbe mettere in fila quelle, e non parleremmo pià di stime, ma di medie reali.