Il gettito della cedolare secca sui canoni di locazione è inferiore a quanto si sarebbe presumibilmente ricavato con la tassazione Irpef. Né sembra esserci stata quell’emersione massiccia degli affitti in nero che la norma si proponeva. Equità e vantaggi per i contribuenti con redditi alti.
I DATI SULLA CEDOLARE
La pubblicazione, da parte del Dipartimento delle finanze del ministero dell’Economia e Finanze, delle elaborazioni sulle dichiarazioni dei redditi 2011 (730/2012), offre l’opportunità di qualche valutazione sui primi dati relativi all’introduzione della cedolare secca per l’imposizione dei canoni di locazione delle abitazioni di proprietà di persone fisiche.
La flat tax fu introdotta dall’articolo 3 del decreto legislativo 23/2011; i primi contratti di locazione poterono essere stipulati a partire dal successivo mese di luglio. Sostituisce sia l’Irpef e le sue addizionali sia le imposte di registro e ha due sole aliquote, una del 21 per cento per i ricavi da canoni di libero mercato e una del 19 per cento per quelli da canoni concordati. (1) L’imposta si applica all’intero importo del canone, senza le deduzioni previste nel regime Irpef: canone e imponibile coincidono.
Nel secondo semestre del 2011, i proprietari di immobili che hanno optato per la cedolare secca sono stati quasi 483mila; circa 20mila risultano proprietari sia di alloggi affittati a canoni concordati (che in totale sono 65mila) sia di alloggi affittati a canoni liberi (in totale 440mila). L’imponibile complessivo è stato di poco superiore ai 4,2 miliardi di euro, per un importo a contribuente di 8.350 euro circa.
Il numero di contribuenti che ha applicato la cedolare secca è relativamente elevato, ma ancora di più lo è quello delle abitazioni interessate, calcolato considerando il canone medio annuo della totalità delle abitazioni affittate, che è di 4.393 euro secondo la Banca d’Italia, 4.488 per l’Istat e 4.700 per l’Agenzia del territorio. (2) Ipotizzando che il canone medio della abitazioni alle quali è stata applicata la cedolare secca non si discosti da questi valori medi, ne consegue che sono circa 900mila i contratti assoggettati, in sei mesi, al nuovo regime di tassazione dei canoni. Un numero che non collima affatto con quello fornito da altre fonti ufficiali.
Il 22 maggio scorso, rispondendo a un’interrogazione in Commissione finanze della Camera dei deputati, il Governo ha quantificato in 287.974 il numero di contratti di locazione per i quali nel 2011 è stata esercitata l’opzione della cedolare secca. (3) Il dato (fonte Agenzia delle entrate) è più basso non solo del numero degli alloggi che si è ottenuto dividendo l’imponibile per il valore medio dei canoni, ma è anche notevolmente inferiore al numero di contribuenti che hanno dichiarato redditi da canone tassati con la cedolare secca. Poiché il Governo sembra intenzionato a includere anche la cedolare secca nella riconsiderazione complessiva dell’imposizione relativa al settore immobiliare, un raccordo tra i dati delle dichiarazioni dei redditi e quelli dell’Agenzia delle entrate potrebbe essere utile.
Secondo i dati forniti dal Governo, il numero di contratti d’affitto a uso abitativo registrati nel 2010 è stato di circa 1.250mila, con un aumento di 100mila unità in ognuno dei due anni successivi. Quest’ultima cifra potrebbe essere assunta come un indicatore della dimensione dell’effetto di “emersione” prodotto dalla cedolare secca. Tuttavia, per sostenere che di tanto si sia ristretto il mercato degli affitti in nero, la differenza tra il numero dei contratti registrati in un anno e il numero di quelli registrati nell’anno successivo dovrebbe essere calcolata sui soli contratti relativi ad abitazioni locate di proprietà di persone fisiche. Ma il Governo non specifica affatto che i dati forniti riguardano solo queste abitazioni e nel triennio 2010-2012, sono stati registrati 4,04 milioni di contratti, a fronte di uno stock di 2,7 milioni di abitazioni locate di proprietà di persone fisiche.
LA PERDITA DI GETTITO
Il gettito complessivo della cedolare è stato di 875 milioni di euro, 772 milioni da canoni di mercato e 103 milioni da canoni concordati. L’imponibile complessivo supera i 4,2 miliardi di euro. Se questo reddito fosse stato tassato con il regime Irpef, l’erario avrebbe incassato una cifra di poco inferiore a 1,5 miliardi di euro, considerando oltre all’Irpef e alle imposte di registro incamerate dallo Stato il gettito delle addizionali incassato da Regioni e comuni, calcolato con un’aliquota complessiva dell’1,5 per cento.
La differenza di gettito tra i due regimi si aggira sui 600 milioni di euro. Tuttavia, l’ammontare dello sconto fiscale di cui hanno beneficiato i proprietari degli immobili è leggermente inferiore: precisamente di circa 40 milioni di euro, pari all’importo della parte dell’imposta di registro a carico degli inquilini. Non si dispone di dati per valutare se e in che misura questa cifra sia un saldo tra il gettito aggiuntivo dovuto all’eventuale emersione di canoni relativi ad alloggi in precedenza affittati in nero e la riduzione di gettito derivante dall’applicazione della cedolare secca sui canoni già assoggetti a Irpef. Se non vi è stata emersione, la cifra costituisce la perdita massima di gettito sull’imponibile da contratti già registrati. In ogni caso, il gettito della cedolare applicata a canoni in precedenza non tassati non è stato sufficiente a compensare l’ammanco di gettito sui canoni già in regola con il fisco.
CEDOLARE PER TUTTI?
La riduzione del gettito fiscale del 2011 è attribuibile per circa la metà ai proprietari degli alloggi con un reddito superiore a 75mila euro, sebbene il loro numero costituisca solo il 20 per cento del totale. Naturalmente, i proprietari di case appartenenti alle classi di reddito più alte sono anche i maggiori beneficiari dell’introduzione della cedolare secca: il vantaggio cresce con l’aumento del livello delle aliquote marginali Irpef che la nuova imposta sostituisce. Ma sull’entità del vantaggio influiscono anche le differenze negli importi medi dei canoni (coincidenti con l’imponibile tassato con la flat tax), che hanno una forte relazione positiva con il reddito dei proprietari: è plausibile ipotizzare che anche il numero di alloggi posseduti e i canoni percepiti crescano con i loro redditi.
L’importo degli affitti dichiarati dai proprietari con un reddito superiore a 75mila euro è di circa 16.500 euro l’anno nel caso di canoni liberi e di circa 14.500 nel caso di canoni concordati. Concentrando l’analisi – con le classi di reddito proposte dal dipartimento delle finanze – su questo segmento di proprietari (tabella 2), si evidenziano imponibili medi molto elevati a partire dai (55mila circa) percettori di redditi superiori a 100mila euro: superano i 20mila euro per i soggetti con un reddito compreso tra i 200 e i 300mila euro, per attestarsi addirittura sui 35mila per i contribuenti con un imponibile superiore a 300mila euro.
Sono cifre di canoni e di redditi che dovrebbero indurre una riflessione sull’opportunità di continuare ad applicare la cedolare secca anche quando ricorrono queste condizioni. L’applicazione dell’imposta sostitutiva dell’Irpef ai canoni percepiti dai proprietari con un reddito superiore a 100mila euro “spiega” un terzo del totale della perdita di gettito: 200 milioni per il 2011. Non sarebbe più equo finanziare con tale cifra una politica che preveda un contributo di 2mila euro per il pagamento dei canoni a 100mila inquilini in difficoltà economiche?
Tabella 1. Numero di contratti assoggetti alla cedolare secca, importi canone e gettito (Ml di euro)
Tabella 2. Canoni medi e % di perdita di gettito per classi di reddito superiore a 75mila euro
(1) Per approfondire l’analisi della cedolare secca si rinvia a Lungarella R., “Una valutazione degli effetti della cedolare secca sul mercato dell’edilizia residenziale in affitto”, paper per la Conferenza Espanet 2011,
(2) Vedi rispettivamente: Banca d’Italia, “I bilanci delle famiglie italiane nel 2011”, Istat, “I consumi delle famiglie. Anno 2010”; Agenzia del territorio, “Gli immobili in Italia 2012”,
(3) si veda qui
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Sarastro
L’articolo è molto interessante nella parte analitica ma non ne comprendo le conclusioni. Mi sembra ovvio che la cedolare secca doveva costituire, nelle intenzioni di chi l’ha introdotta, un incentivo a dichiarare i redditi da locazione in cambio di un trattamento di favore. Se la mia aliquota marginale è del 23%, molto probabilmente continuerò a percepire i canoni in nero; se invece è il 43% (più addizionali locali), allora potrei essere indotto a mettermi in regola. Ciò che manca è un efficace meccanismo di individuazione e sanzione degli evasori, che nel caso specifico non può non passare attraverso la contrapposizione di interessi con il locatario. Ad esempio, al locatario che segnala il padrone di casa evasore si potrebbe estendere de iure il contratto in essere per dieci anni, al canone corrente: si tratterebbe di una minaccia significativa per il locatore e avverrebbe a costo zero per l’erario.
AM
La situazione è complessa e non si debbono trarre affrettate conclusioni. Certo, con la cedolare secca sono avvantaggiati i contribuenti che hanno aliquote marginali più elevate, che in genere non praticano affitti in nero. Con la cedolare secca l’aliquota è relativamente bassa, ma non sono deducibili le spese inerenti alla locazione e le spese condominiali. Per i proprietari con bassi redditi la cedolare secca non risulta particolarmente conveniente.
Legione
Sapete che c’è? Io sono in aliquota marginale 43%, ma il reddito del mio appartamento (lasciato proprio ieri dall’inquilino) era di 6600 euro…ora tra IMU (aliquota massima) e probabile eliminazione della cedolare secca, ho deciso di vendere l’appartamento perché il gioco non vale più la candela (considerato anche il rischio di metterti in casa qualcuno che non paga); così tutti ci perderanno a parte (forse) il sottoscritto: lo stato perderà l’irpef sull’affitto e il comune perderà l’imu (se la casa viene acquistata da qualcuno come abitazione principale)…
samboc2
La legge sulla cedolare, a mio parere, è l’unica che ha cercato di dare equità nel settore delle locazioni, anche se l’aliquota inizialmente doveva essere al 19% e doveva valere anche per locazioni commerciali. Io possiedo 3 appartamenti, che mi danno un reddito mensile di 1.250 Euro lordi mensili; la mia aliquota marginale è del 38%, oltre Ici/Imu. Non è tutto oro quello che luccica, nel mio comune, est veronese di 20.000 ab., ci sono tra i 600e gli 800 appartamenti sfitti.- Quello della casa è un mercato che è stato strozzato. Alla bisogna non vendi più e comunque il prezzo lo farebbe il compratore. Le insolvenze sono dietro l’angolo ed anch’io ci sono passato, ti ci vogliono anni per recuperare il danno, e lo stato vuole pure l’irpef sul non riscosso. Finanziariamente, mi salvo perchè ho una buona pensione, non perchè ho 3 app. a disposizione. Se si vuole eliminare il ‘nero’ come da più parti si fa notare, basta una task force tipo quella che consegna il questionario sul censimento: casa per casa e si controlla la situazione, e dopo un anno se te ne fregavi del censimento, scattava un reato penale. E poi smettiamola di unificare realtà di una cittadina come la mia con città come Verona o Padova che solo per la presenza dell’università, conoscono una domanda di alloggi che ormai non esiste più, a livello generale.
Decebalo
Il calcolo non è completo. Infatti nel caso di applicazione dell’aliquota marginale il contribuente oltre che le spese può detrarre anche il 50% delle fatture della ristrutturazione e il 60% delle fatture relative al risparmio energetico. Quest’ultima possibilità è invece preclusa al proprietario che non ha altri redditi. Il Fisco quindi in questi casi ci guadagna e di questo guadagno si deve tener conto per fare un calcolo corretto dei pro e contro per l’Erario.
Marcello
Non è una sorpresa che una aliquota del 21% dia entrate minori delle aliquote IRPEF, ma lo scopo della cedolare secca era di equiparare l’investimento immobiliare a quello in obbligazioni dove l’aliquota è 12,5% o 20%. Inoltre nessuno dice che il vero beneficiario è l’inquilino che grazie al blocco degli aggiornamenti ISTAT ottiene un vantaggio crescente nel corso degli anni, che in caso di inflazione maggiore del 5-6% potrebbe annullare i benefici per il proprietario. Il fatto che calando l’imposta potesse emergere il nero era un possibile ulteriore vantaggio, ma non si poteva contarci.
diego
come volevasi dimostrare.
e non è corretto dire che “Il fatto che calando l’imposta potesse emergere il nero era un possibile ulteriore vantaggio, ma non si poteva contarci”, perchè il maggior gettito da emersione del nero avrebbe dovuto dare copertura finanziaria al decreto.
adesso chi lo paga il conto?