Il confronto con altri paesi mostra che a rendere fragile il sistema pensionistico italiano sono due aspetti di contesto: la sostenibilità delle finanze pubbliche e la bassa crescita economica. Da sola, una nuova riforma delle pensioni servirebbe a poco.
Il confronto tra sistemi pensionistici
La valutazione e la comparazione dei sistemi pensionistici nazionali è un esercizio importante e complesso. È importante perché, in un contesto generalizzato di invecchiamento della popolazione, è centrale avere misure sull’efficacia degli strumenti di cui le singole nazioni si sono dotate per garantire un reddito adeguato alle persone anziane, senza compromettere la sostenibilità finanziaria dei conti pubblici. È al tempo stesso complesso perché proprio nell’articolazione dei sistemi pensionistici si caratterizzano gli aspetti peculiari dei welfare nazionali e quindi la comparazione diventa un esercizio non semplice e a rischio di scelte arbitrarie da parte del ricercatore.
Il rapporto del Mercer CFA Institute propone la comparazione di un corposo gruppo di sistemi pensionistici. Per il 2022 il confronto interessa 43 nazioni, tra cui l’Italia. Il nostro sistema pensionistico guadagna valutazioni positive su due delle tre dimensioni che compongono l’indice finale, l’adeguatezza e l’affidabilità. La terza dimensione, la sostenibilità, ottiene invece una valutazione poco lusinghiera, che ci porta ad avere una posizione medio-bassa nella graduatoria finale, al cui vertice troviamo nazioni come l’Olanda, l’Australia e l’Islanda. L’Italia si colloca più in basso anche rispetto a nazioni, come la Svezia, la Finlandia e la Norvegia, che hanno adottato la regola contributiva per il computo della pensione pubblica. Ma siamo su livelli più bassi anche di nazioni come Francia e Germania, vicine a noi geograficamente e con cui condividiamo alcuni centrali aspetti del sistema di protezione sociale. Il giudizio complessivo inserisce l’Italia nel gruppo di nazioni di grado C (con Spagna, Brasile, Polonia, Austria, tra le altre), mentre il massimo è A e il minimo D. Quelle del gruppo C, sempre secondo gli estensori del rapporto, di sono nazioni che hanno un sistema pensionistico con buone caratteristiche, ma anche con rischi maggiori, che dovrebbero essere affrontati. La mancanza di interventi per ridurli potrebbe infatti mettere in discussione la sostenibilità di lungo periodo del sistema. In termini numerici il giudizio finale per l’Italia è di 53.4 (media ponderata di un indicatore di adeguatezza pari a 68.2, uno di integrità pari a 74.9 e uno di sostenibilità pari a 28.2). Le prime due nazioni, Islanda e Olanda, raggiungono un valore complessivo superiore a 85.
Il sistema pensionistico ideale
Il risultato, pur con le necessarie cautele legate alle complessità dell’esercizio di valutazione, di cui i ricercatori del Mercer CFA Institute danno ampiamente conto, è per certi versi sorprendente. La narrativa, ormai pluridecennale, ci racconta che i nostri maggiori sforzi di riforma si sono concentrati proprio verso la costruzione di un sistema pensionistico finanziariamente solido e sostenibile e che le preoccupazioni, in particolare quelle prospettiche, riguardano l’adeguatezza delle prestazioni, che nel futuro potrà essere raggiunta solo aumentando l’età di pensionamento in maniera ancora più forte di quanto non sia successo negli ultimi anni. Come spiegare quindi questa incoerenza?
La risposta va ricercata nel modello ideale di sistema pensionistico cui gli estensori del rapporto ispirano i loro giudizi: una componente di base come forma di contrasto alla povertà tra gli anziani, una componente pubblica legata alle retribuzioni passate, una componente privata di tipo aziendale e finanziata a capitalizzazione sono gli elementi fondanti di un “buon sistema pensionistico”. A questi elementi di base si aggiungono una componente volontaria e forme di risparmio individuale. In generale, poi, la salute e soprattutto la sostenibilità di un sistema pensionistico viene collegata a un’economia con adeguati tassi di crescita del Pil, alta partecipazione al mercato del lavoro da parte della popolazione anziana e finanze pubbliche in ordine – questa ultima condizione definita da livelli sostenibili del rapporto tra debito pubblico e Pil e da livelli non elevati del rapporto tra spesa pubblica per pensioni e Pil. Non stupisce quindi che Olanda e Australia siano in cima alla lista: si tratta di nazioni con una composizione del portafoglio pensionistico più equilibrata, forme importanti di pensioni di base e relativamente elevati tassi di crescita e di partecipazione al mercato del lavoro.
Per l’Italia, sono le condizioni relative alla sostenibilità delle finanze pubbliche e alla crescita corrente e prospettica dell’economia gli elementi di maggiore criticità. Sono estremamente indicativi gli indirizzi di (ulteriore) riforma segnalati nel rapporto per il nostro paese: i) aumentare la copertura della previdenza privata; ii) continuare nel processo di crescita della partecipazione al mercato del lavoro da parte degli individui con più di 60 anni; iii) restringere la generosità delle prestazioni quando vengono erogate prima dell’età legale di pensionamento; iv) ridurre il debito e la spesa pubblica.
In sintesi, più risparmio e più offerta di lavoro. Almeno nel lungo termine, questo dovrebbe portare l’economia su sentieri di crescita più adeguati rispetto a quelli sperimentati negli ultimi decenni. Dal punto di vista individuale, del resto, è quasi lapalissiano affermare che l’importo della pensione (o del reddito durante la vecchiaia) dipende positivamente da quanto risparmiato da giovani e da quanto a lungo si è rimasti nel mercato del lavoro. Il messaggio fondamentale sulle criticità del sistema pensionistico e sulla sua sostenibilità sembra quindi riguardare in modo prevalente il contesto complessivo all’interno del quale si trova, il peso eccessivo della componente pubblica e la scarsa crescita dell’economia. Fino a quando questi aspetti non troveranno una risposta, le “riforme” pensionistiche continueranno a essere chiamate a risolvere problemi distributivi in un contesto nel quale il prodotto dell’economia risulterà sempre più scarso rispetto alla numerosità di coloro che vanteranno diritti ad averne una parte.
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bob
Le incongruenze borboniche- bizantine del nostro sistema sono tante ed una cosa è certa: il sitema non potrà reggere!
Tra le tante gliene segnalo una:
Ci sono centinai di migliaia di persone “con età avanzata” che hanno versato 18-19 anni di contributi presso la cassa di previdenza integrativa ENASARCO (+ gli anni versati all’ INPS), e che oggi vivono con indignitose pensioni erogate dall’INPS, costretti a rivolgersi ai servizi sociali per avere dei supporti di sopravvivenza, pur avendo versato ingenti somme di denaro nelle casse della previdenza integrativa, senza avere la corresponsione in diritto”.
Questa tematica non e complessa come si vuol far credere; allungando i tempi per la risoluzione del caso, farà un danno alle casse dello Stato, se le istituzioni non interverranno immediatamente; perché questo problema verrà certamente riconosciuto nel diritto. Secondo i bilanci tecnici 2014-2017 della fondazione Enasarco, i soggetti silenti tra quelli in vita e gli eredi sono 692.000, che hanno versato nelle casse previdenziali ENASARCO circa 9,2 miliardi di euro, somme che lo Stato se ne farà carico in base all’arti. 28 della Costituzione.
Lantan
“…continuare nel processo di crescita della partecipazione al mercato del lavoro da parte degli individui con più di 60 anni; ” Non mi pare che questo corrisponda alla volontà delle aziende e dei politici. Oggi nelle grandi aziende si cerca di mandare via il personale con più di 60 anni sia perché “costa” (detto in termini brutali ma chiari) sia perché in tal modo si svecchia la forza lavoro introducendo i giovani nelle posizioni lasciate libere, che oltretutto costano anche meno – viste le agevolazioni che ci sono, e aggiungo: giustamente, nell’assumere giovani. Quindi i principii e le regole necessari in linea teorica ad edificare un buon sistema pensionistico, in Italia trovano difficoltà di attuazione per via della situazione oggettiva appena illustrata. Aggiungo che quando si fanno i confronti tra i sistemi pensionistici, spero che gli autori dello studio abbiano pure tenuto in conto il fatto che in alcuni paesi (i.e. Germania) lo Stato riscatta a sue spese gli anni del Corso di Laurea per i Laureati, mentre in Italia i Laureati devono sborsare i soldi di tasca propria.