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Cambia il clima, cambia l’economia*

I cambiamenti climatici avranno ripercussioni significative sull’attività economica, nei più disparati settori. Un progetto di ricerca vuole misurarne gli effetti e dare un contributo all’individuazione di politiche di mitigazione e adattamento.

Misurare gli effetti del clima

Secondo i rapporti del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc), solo una drastica riduzione delle emissioni di gas a effetto serra può scongiurare aumenti della temperatura media della superficie terrestre superiori a 1,5°C o 2°C nel corso del XXI secolo (rispetto ai livelli pre-industriali). Oltre al riscaldamento globale, le emissioni indurranno sostanziali variazioni nei possibili valori dell’umidità, della forza dei venti, della frequenza e intensità delle precipitazioni. Si avrà un aumento del livello del mare, con conseguenti inondazioni ed erosioni delle coste. Si intensificherà lo scioglimento del permafrost, quello dei ghiacciai e della calotta polare.

Quali saranno gli impatti di questi cambiamenti sull’economia e sulla società? Su questo versante la ricerca ha fatto progressi significativi. La disponibilità di dati capillari e una maggiore e diffusa potenza di calcolo, assieme allo sviluppo delle tecniche statistiche di tipo controfattuale, ha permesso un progresso notevole per quanto riguarda lo studio degli effetti (positivi o negativi) del clima sulle variabili socio-economiche. Un recente progetto di ricerca della Banca d’Italia, presentato lo scorso mese, contiene una serie di lavori di approfondimento per l’economia italiana.

Danni diffusi tra i settori

Dai lavori emerge che i danni economici causati dal cambiamento climatico saranno pervasivi e coinvolgeranno tutti i settori economici, non solo quelli direttamente esposti alle variabili metereologiche come l’agricoltura (Accetturo e Alpino, 2022) e il turismo (Mariani e Scalise, 2022). Come accade, ad esempio, nel caso degli eventi idro-geologici quali frane, alluvioni e inondazioni, analizzate in un lavoro condotto congiuntamente da economisti e geologi (Clò, David e Segoni, 2022) sfruttando una base dati raccolta automaticamente dall’algoritmo Secagn (Semantic Engine to Classify and Geotag News). Incrociando tali informazioni con quelle sui bilanci e sui lavoratori delle imprese dei territori colpiti (dati di fonte Inps e Infocamere), emergono due conclusioni. Da una parte, i disastri idrogeologici comportano un aumento significativo dei fallimenti delle imprese (4,8 per cento in più rispetto alle imprese localizzate in zone non colpite). Dall’altra, nonostante la loro resilienza, anche le imprese che sopravvivono subiscono gli effetti dei dissesti idrogeologici: successivamente al disastro, il fatturato e l’occupazione calano significativamente (del 4 e del 2 per cento, rispettivamente), per tornare sui livelli precedenti allo shock solo dopo cinque anni. I danni sono concentrati tra le imprese di minori dimensioni, sono più forti nelle costruzioni e nei servizi, e su aziende localizzate in territori più soggetti a rischio idrogeologico.

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I costi delle più alte temperature

Anche l’innalzamento delle temperature avrà impatti diffusi. Ne risentiranno il mercato immobiliare (Cascarano e Natoli, 2022), anche per via degli effetti del caldo sull’attività di ricerca degli immobili, le imprese (Cascarano, Natoli e Petrella, 2022) e persino le performance degli studenti, che ai test Invalsi conseguono risultati peggiori (specie in matematica) quando il caldo diventa asfissiante (Ballatore, Palma e Vuri, 2022). La pervasività e l’entità dei danni si riflette anche sulle variabili macroeconomiche aggregate, come mostrato da un altro lavoro multidisciplinare, frutto della collaborazione di economisti e climatologi (Brunetti, Croce, Gomellini e Piselli, 2022). Grazie a una preziosa ricostruzione delle temperature di ogni provincia italiana dalla fine dell’Ottocento, i ricercatori hanno stimato la relazione fra temperatura media annuale e livello del Pil pro capite. In linea con l’evidenza internazionale, la relazione risulta avere la forma di una U rovesciata con un punto di inversione a circa 15°C. In altre parole, quando la temperatura è inferiore a tale soglia, i suoi aumenti hanno un effetto positivo sull’attività economica; gli effetti sono invece negativi quando la temperatura è superiore a 15°C. Queste stime possono essere utilizzate per calcolare quali saranno i danni economici futuri dovuti al cambiamento climatico, a seconda dei diversi scenari di crescita delle emissioni (e di conseguenza della temperatura). Secondo i calcoli degli autori, in uno scenario non pessimistico tra quelli elaborati dall’Ipcc (si tratta di quello indicato come SSP2 4.5), il livello del Pil pro capite nel 2100 risulterebbe inferiore di un valore compreso tra il 2,8 e 9,5 per cento, rispetto a uno scenario controfattuale senza cambiamenti di temperatura.

Cosa fare

Gli impatti avversi del cambiamento climatico potranno essere scongiurati da politiche che incentivano la riduzione delle emissioni. Il progetto di ricerca della Banca d’Italia include la valutazione di alcuni di questi interventi, come ad esempio quelli relativi all’Ets, l’Emission Trading Scheme dell’Unione europea,  per cui si valuta se l’aggravio di costi dovuto all’acquisto dei permessi di emettere CO2 ha avuto effetti sulla produttività e sulle esportazioni delle imprese (Dal Savio, Locatelli, Marin e Palma, 2022), e alle semplificazioni autorizzative per l’installazione di impianti fotovoltaici (Daniele, Pasquini, Clò e Maltese, 2022), di cui si è già scritto su queste colonne.

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* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente agli autori e non investono la responsabilità delle organizzazioni di appartenenza.

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  1. Savino

    Cambia in peggio anche il portafoglio della gente. Le transizioni hanno senso solo se c’è una convenienza economica e un corretto rapporto costi-benefici.

  2. marcello

    il 6 rapporto dell’IPCC descrive in modo molto chiaro cosa ci si possa ragionevolmente attendere nei vari scenari climatici. Le conseguenze sono disastrose seppure associate a probabilità, soprattutto se si ragiona in termini di tipping point (punti di non ritorno) dei principali ecosistemi planetari. Detto questo, che é ben noto, non capisco perché gli economisti continuino a ignorare quello che la teoria economica e ahimé la realtà ci mostrano da alcuni decenni: la transizione energetica è sicuramente necessaria, ma assolutamente insufficiente a contenere il riscaldamento globale. Quando tutti parlano a vanvera di sostenibilità, gli economisti dovrebbero ricordare e spiegare che l’unica sostenibilità economica, in grado cioè di garantire un consumo non decrescente nel tempo e la conservazione ambientale, la si ottiene solo e sottolineo solo agendo sulla funzione di utilità e quindi sulle preferenze. La vs analisi disegna solo e sottolineo solo un mondo diverso, non l’apocalisse, e non é detto che ceteris paribus sia peggiore…come ben noto dipende dall’ordinamento delle preferenze e dai tassi di sconto. sappiamo poco, ma quel poco almeno divulghiamolo.

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