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Studenti in cerca di un orientamento

Spesso studenti e studentesse scelgono il corso di laurea a occhi chiusi, senza informazioni. Un esperimento mostra che se gli si presentano dati precisi su costi, grado di selettività e prospettive occupazionali delle varie facoltà, le decisioni cambiano.

Come si sceglie la facoltà

Le attività di orientamento delle scelte degli studenti che concludono la secondaria superiore sono in Italia piuttosto deboli. Lo dimostra anche l’interesse dei decisori pubblici, che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza stanziano cifre importanti per rafforzarle: 250 milioni per l’orientamento attivo nella transizione scuola-università e 1.500 milioni per gli Its.

Un orientamento adeguato potrebbe contribuire ad affrontare problemi endemici del nostro paese come l’alto tasso di abbandono degli studi universitari, il ridotto vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma e la costante denuncia da parte delle aziende della mancanza di competenze tecnico-scientifiche di alto livello. Non si tratta solo di questioni di efficienza, ma anche di giustizia sociale: in Italia le disuguaglianze di classe nella probabilità di laurearsi sono relativamente elevate in prospettiva comparata.

Numerosi studi sottolineano come le scelte degli studenti vengano compiute in condizioni di elevata incertezza e di rilevanti carenze di informazione rispetto ad alcuni parametri fondamentali, ma di non facile reperimento, quali i costi dell’istruzione terziaria, i rischi di abbandono, i ritorni occupazionali, le differenze tra corsi di laurea. Interventi di orientamento post-diploma che affrontino questi temi dovrebbero favorire scelte più consapevoli, intercettando il bisogno di informazioni affidabili avvertito da studenti e famiglie.

La letteratura sul tema mostra che le risposte degli studenti a questo tipo di stimoli sono molto eterogenee e non è ancora del tutto chiaro in che modo sia possibile influenzare i loro comportamenti, quali siano i più ricettivi. Né è chiaro se l’informazione risulti benefica per chi ne fa uso, per esempio garantendo un minor tasso di abbandono.

L’esperimento

Questi interrogativi hanno animato un progetto di ricerca Prin, volto a testare in modo sperimentale l’efficacia di un intervento informativo evidence-based sulle scelte post-diploma di un campione di diplomandi. Il progetto, condotto tra il 2013 e il 2015, ha coinvolto le classi quinte di 62 scuole secondarie superiori di quattro province italiane (Milano, Bologna, Vicenza e Salerno), per un totale di circa 9 mila studenti. Analisi parziali dei dati raccolti sono già apparse su varie riviste internazionali e sono state recentemente completate in un articolo di sintesi.

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L’intervento era costituito da un ciclo di tre incontri (per un totale di 5 ore) tenuti in classe da educatori professionisti, che hanno presentato, per ciascun tipo di corso di laurea, dati attendibili e dettagliati sui costi, sul grado di selettività e sulle prospettive occupazionali. Per queste ultime le informazioni riguardavano non solo i salari e i rischi di disoccupazione, ma anche l’allineamento tra lavoro e studi. È stata proposta agli studenti una categorizzazione dei corsi di laurea che distingueva quelli “forti” sul mercato del lavoro, che hanno un buon rendimento medio rispetto a un diploma sia con le lauree triennali che magistrali in tutti gli indicatori lavorativi utilizzati (per esempio, il comparto medico-sanitario, ingegneria, informatica), i corsi “intermedi”, con esiti mediamente bassi alla laurea triennale, ma buoni alla magistrale (per esempio, economia, giurisprudenza, architettura e altre materie Stem) e infine i corsi “deboli”, che hanno prospettive occupazionali relativamente basse rispetto al diploma anche con la magistrale (discipline umanistiche e sociali). In aula gli studenti sono stati invitati a confrontarsi con i dati e a riflettere sulle motivazioni della propria scelta.

Per valutare l’intervento è stato utilizzato un disegno di ricerca sperimentale, nel quale metà delle scuole, selezionate casualmente, ha ricevuto subito l’intervento (gruppo di trattamento), mentre l’altra metà ha atteso un anno (gruppo di controllo). Gli studenti sono stati seguiti longitudinalmente per due anni dopo la maturità. Le analisi di validità interna (equivalenza e tassi di risposta) non mostrano differenze degne di nota tra gruppi, il che permette di interpretare le differenze negli esiti come genuini effetti causali dell’intervento.

I risultati

La tabella 1 mostra i risultati principali dello studio. Gli effetti si possono interpretare come probabilità di trovarsi, nel mese di novembre dell’anno successivo all’inizio del secondo anno di università, in una di queste quattro condizioni: non iscritto; iscritto a una laurea debole, intermedia o forte.

Nel campione complessivo (prima colonna), si osserva che i trattati hanno una minore propensione a iscriversi a una laurea debole di circa 2 punti percentuali, mentre aumenta specularmente la loro probabilità di non iscriversi. Considerando che tra i controlli le iscrizioni alle lauree deboli sono circa il 17 per cento, si tratta di un effetto non trascurabile.

Se suddividiamo il campione in quattro gruppi generati dall’incrocio tra sesso ed estrazione sociale della famiglia, risulta chiaro che l’effetto si concentra in particolare su due raggruppamenti: i maschi provenienti da famiglie di bassa estrazione sociale e le femmine di estrazione elevata. L’impatto negativo del trattamento sull’iscrizione è concentrato tra i primi, che hanno una probabilità di non iscriversi di 5 punti percentuali più alta dei loro omologhi non trattati. L’effetto negativo sui settori deboli è concentrato tra le femmine di elevata estrazione, che si orientano invece maggiormente nei corsi “intermedi” (+5-6 pp). Per gli altri due gruppi non si osservano effetti significativi.

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È importante sottolineare che questi cambiamenti non sono andati a discapito dei risultati ottenuti: dopo un anno e mezzo dalla maturità gli studenti trattati che non si sono iscritti all’università avevano una probabilità di essere occupati di quasi 4 punti percentuali in più rispetto ai controlli, mentre i risultati accademici dei trattati che si sono iscritti non risultano differenti da quelli dei controlli in termini di tassi di abbandono, crediti, voti e frequenza alle lezioni.

Si tratta di risultati di un certo interesse per le politiche universitarie. Fornire informazioni evidence-based sembra cambiare significativamente le scelte degli studenti di secondaria superiore, senza peggiorarne le opportunità, sia che scelgano di proseguire gli studi che di andare a lavorare. Il costo di interventi di questo tipo è relativamente basso, il che li rende potenzialmente ampliabili ed estendibili.

I nostri risultati dovrebbero portare a qualche riflessione anche nei dibattiti sul basso numero di laureati nel nostro paese e alle proposte, piuttosto popolari, di aumentare indiscriminatamente il numero degli immatricolati. È un obiettivo condivisibile, però ad alcune condizioni che per il momento non sussistono, quali un sistema di contrasto agli alti tassi di abbandono e, dopo la laurea, un buon raccordo con il mercato di lavoro. Dati trasparenti rivelano la debolezza di molti percorsi universitari e delle scelte degli studenti, ma soprattutto delle studentesse trattate. Una debolezza che è normalmente coperta proprio dalla mancanza di informazioni, con una opacità che contribuisce a renderne difficile un miglioramento.

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  1. Emi

    Ricerca molto utile, seria e rigorosa. Una lettura direi necessaria, meritoria, per migliorare le lente e incerte transizioni scuola-lavoro e l’abbandono scolastico e universitario… ma come si definisce una laurea forte? Infatti, ampia e’ la letteratura sulla transizione tecnologica e le ricadute sulle professioni del futuro, su nuovi skills, su nuove attitudini e sensibilita’ che difficilmente rientrano nella dicotomia lauree forti-deboli del recente passato. Seconda questione: in un paese come il nostro con una domanda di lavoro qualificato modesta e alta informalita’ nella collocazione le leggi di mercato sono deboli e quindi i risultati potrebbero essere inibiti dalla struttura economica e sociale oltre che creare dei percorsi che potrebbero portare a congestione da orientamento, un boomerang per chi segue le indicazioni. Infine, sono certo che non sia l’intento dei promotori della ricerca, ma il rischio di scoraggiare alcune discipline classiche in un paese come il nostro potrebbe essere inopportuno rafforzando l’idea di lauree e università’ di serie A e serie B. buon anno.

  2. Giuseppe

    Dov’è reperibile il materiale presentato alle scuole? Sarebbe assai utile diffonderlo proprio perché difficilmente disponibile.

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