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Dalla Bce alla rata del mutuo: quanto pesa il rialzo dei prezzi

L’aumento di pochi punti percentuali dei tassi deciso dalla Bce porta a forti incrementi delle rate dei mutui a tasso variabile. Ne potrebbe derivare un problema di sostenibilità economica dei costi abitativi, pronto a trasformarsi in un problema sociale.

La situazione dei mutui a tasso variabile

I continui aumenti dei tassi di riferimento della Banca centrale europea – l’ultimo in ordine di tempo è del 2 febbraio 2023 – hanno fatto emergere il problema della sostenibilità dei mutui, in particolare quelli a tasso variabile, che per tutto il 2022 risultavano i più convenienti e quindi i più attivati sui nuovi acquisti immobiliari.

Negli ultimi tempi, la Bce si è dovuta adeguare a politiche restrittive per combattere un’inflazione galoppante, frutto soprattutto dell’aumento dei prezzi dell’energia. Come è già stato sottolineato su lavoce.info, la banca centrale opera più per garantire una forward guidance efficace che per avere effetti diretti sull’inflazione, che solo di recente sembra essersi stabilizzata in Italia intorno all’11,7 per cento.

Ma che peso hanno queste decisioni se consideriamo l’intero sistema? Sicuramente, colpiscono maggiormente alcuni ceti della popolazione, in particolare chi non ha una casa di proprietà e chi ha effettuato un acquisto negli ultimi 12 mesi. Quindi, soprattutto i giovani, già penalizzati da fenomeni endemici del mercato del lavoro italiano quali il lavoro atipico e i bassi livelli salariali.

Per capire la dimensione dell’aumento dei costi per chi deve sostenere un mutuo a tasso variabile bisogna tenere in considerazione alcuni punti: 1) molti mutui prima casa sono stati accesi con il tasso variabile nel corso del 2022, poiché offrivano rate più vantaggiose rispetto al tasso fisso, che ha iniziato a crescere a fine 2021, quindi prima dell’aumento dei tassi della Bce; 2) i prezzi degli immobili non hanno risentito in questi ultimi dodici mesi del rincaro sui mutui, ad esempio per il comune di Roma il prezzo medio è rimasto stabile a 3.300€/mq (con alta variabilità tra centro e periferia); 3) il sistema di ammortamento alla francese generalmente applicato dalle banche sfavorisce il beneficiario del mutuo applicando una maggiore quota di interessi nelle prime rate (e facendo guadagnare di più alle banche).

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La simulazione

Tanto premesso, nella figura 1 viene presentata una simulazione di rate mensili per un mutuo contratto in una situazione tipo: mutuo richiesto alla banca di 250 mila euro (che potrebbe coprire l’80 per cento del costo di un immobile di 312.500 euro), scadenza a 30 anni con tasso variabile indicizzato con Euribor a 3 mesi. La richiesta di 250 mila euro di mutuo è in linea con il reddito medio lordo di un dipendente in Italia (29.440 euro l’anno): infatti, come ulteriore clausola di salvaguardia per la solvibilità, le banche chiedono che la rata prodotta dal piano di ammortamento non superi il 35 per cento del reddito mensile. Lo spread applicato dalla banca è stato considerato nella media dell’1,50 per cento ed è l’interesse applicato sopra il tasso di riferimento considerato il margine di guadagno della banca stessa, che su questo ha completa discrezione. Il tasso di riferimento diventa quindi il “tasso finito” variabile: nel nostro caso, è passato dall’1,04 per cento di aprile 2022 al 3,47 per cento di dicembre 2022, con un aumento del 2,34 per cento.

Figura 1 – Simulazione di un mutuo a tasso variabile nel corso del 2022 (rate mensili a sx espressi in €; percentuali degli incrementi e del tasso finito a dx)

Ne deriva che per il nostro mutuatario le rate mensili sono passate da una somma di circa 808 euro al mese – che in effetti corrisponde al 33,2 per cento del reddito mensile – a una rata di circa 1.119 euro, che corrisponde al 45,9 per cento del suo stipendio. In rosso è riportato il differenziale tra le rate correnti e quella di marzo 2022, che registra un aumento tendenziale del 38,4 per cento.

Nel caso dei mutui a tasso variabile quindi, l’aumento di 2,5 per cento dei tassi di riferimento della Bce ha portato a un incremento delle rate di quasi il 40 per cento, e se continuassimo la simulazione nel mese di gennaio 2023 si supererebbe anche questa soglia. Il “battito di una farfalla a Francoforte può provocare un tornado in Italia?” verrebbe da chiedersi, parafrasando la frase di Edward Lorenz.

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Le soluzioni possibili

Le politiche nazionali si sono occupate solo ultimamente del fenomeno: nella legge di bilancio 2023 (legge n. 197/2022, comma 322) sono previste alcune condizioni per rinegoziare i mutui ipotecari per tutta la durata del contratto, concedendo di fatto l’applicazione del tasso fisso in luogo del tasso variabile. Una delle condizioni – l’importo massimo del mutuo di 200 mila euro – sembra per lo meno discutibile. Ma, in generale, andrebbero pensate misure più concrete, volte ad aiutare famiglie che già oggi spendono metà dei loro proventi per pagare la “prima casa”, ovvero per pagare un diritto sancito dall’Onu (Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali in vigore dal 1976) e ribadito negli obiettivi dell’Agenda 2030.

Tra le soluzioni, si potrebbe proporre, ad esempio, di rinforzare l’Assegno unico familiare a chi ha un mutuo prima casa a tasso variabile; creare un “bonus mutui” (una tantum in relazione all’Isee); affiancare provvedimenti dedicati all’accesso al mutuo (vedi bonus prima casa under 36 e agevolazioni su imposte) a misure assicurative garantite dallo stato in caso di aumenti rilevanti dei tassi; invitare le banche ad adottare l’ammortamento “all’italiana”, che distribuisce più convenientemente per i clienti le quote interessi; agire con incentivi alle banche perché riducano lo spread per specifici piani di mutuo “sociale”.

A marzo è previsto un ulteriore aumento dei tassi Bce e, oggi, nulla ci garantisce che i ritocchi non continuino per tutto il 2023, sotto il segno della coerenza delle politiche monetarie, ma non sotto il segno della sostenibilità economica e sociale.

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  1. Savino

    La BCE, coi rialzi dei tassi, scoraggia gli investimenti improduttivi e fa bene. Ad esempio, è saggio che nel mattone ci investa chi ci deve abitare, non per evitare di diversificare. La soluzione al caro-vita è incrementare il salario in adeguamento (scala mobile, do you remember?) e tutelare il lavoratore-consumatore-risparmiatore dalle truffe e dalle furberie che sono dietro l’angolo.

  2. Pizzarelli Pietro

    Parlo agli esperti io un mutuo di 210.000 euro ,ho un mutuo variabile pagavo una rata da 1437 euro adesso con tutti questi aumenti sono arriva a pagare una rata di 1798, Ho un pensione di 1800 euro ,non so ancora per quando riuscirò a tamponare, voi ché siete esperti del settore se potete darmi consigli sul com’è muovermi,vi ringrazio anticipatamente.

  3. Graziano

    Savino la scala mobile non è uno strumento adeguato, porterebbe a un a continua crescita dell’inflazione e gli stipendi non si aumentano per una scelta a tavolino, bisogna incrementare la produttività che per conseguenza permette di alzare gli stipendi.

  4. Mauro

    Forse sarebbe stato più prudente fare un mutuo a tasso fisso. Chi ha stipulato mutui a tasso variabile negli ultimi 10 (dieci, non uno) ha sicuramente pagato meno in tutti questi anni ma ha perso la scommessa (perché di questo si è trattato) . Servirebbe una maggior cultura finanziaria

  5. Raffaele Paolo Lavia

    Intanto, un ammortamento alla francese non favorisce necessariamente le banche, perché se è vero che all’inizio il debitore paga in prevalenza interessi, alla fine dell’ammortamento accade proprio il contrario, e poi perchè, in alternativa, l’ammortamento all’italiana costringerebbe il debitore a pagare inizialmente delle rate molto più alte a parità di capitale, tasso e scadenza. Contrariamente quindi a quanto sostiene l’autore, l’ammortamento francese permette una maggiore omogeneità delle rate, normalmente anche in presenza di un tasso variabile. Poi, seguendo il ragionamento per cui chi stipula un mutuo a tasso variabile andrebbe ora aiutato, naturalmente a spese della collettività, implica che i debitori di mutui a tasso fisso, originariamente più cari, siano i soliti fessi, e simili principi destano come minimo delle perplessità, anche considerando che i tassi di riferimento, pur maggiori rispetto a un anno fa, sono storicamente tutt’altro che alti.

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