Il declino demografico non è solo una questione di calo della popolazione. È soprattutto un problema di squilibri tra generazioni, con implicazioni sociali ed economiche. Favorire la ripresa delle nascite non basta. Per salvaguardare il nostro benessere futuro, è necessario agire in tre direzioni.
Autore: Alessandro Rosina Pagina 3 di 6
Alessandro Rosina è professore è ordinario di Demografia e Statistica sociale alla Facoltà di Economia dell'Università Cattolica di Milano, dove dirige il "Center for Applied Statistics in Business and Economics". E’, inoltre, Consigliere esperto del CNEL, coordinatore scientifico dell’”Osservatorio giovani” dell’Istituto Toniolo, co-coordinatore di Alleanza per l'Infanzia, membro del comitato di direzione di Osservatorio senior e di Futura Network (ASviS).
Torna di attualità il bonus bebè. Ma la misura non favorisce la natalità, è uno strumento contro il rischio povertà delle famiglie con figli. Per garantire alle giovani generazioni le sicurezze di cui hanno bisogno prima di avventurarsi nella genitorialità, servono altri e più stabili interventi.
L’Italia ha attraversato varie fasi di crescita della popolazione nel secondo dopoguerra. Per la prima volta nel 2015 si è registrato un declino. Lieve di per sé, ma preoccupa il fatto che i dati reali sono sensibilmente peggiori rispetto alle previsioni. Perché è un errore ignorare la demografia.
Si può misurare la meritocrazia? Si può cercare di farlo costruendo un indicatore che sintetizza le varie dimensioni in cui si articola un sistema sociale ed economico orientato, appunto, alla promozione del merito. Rispetto agli altri paesi europei, i risultati dell’Italia sono sconfortanti.
Mentre il tasso di disoccupazione giovanile sale, scende la fiducia dei giovani nella possibilità di trovare un lavoro, tanto più se adeguato al livello di istruzione. Forse anche perché le politiche sulla fase di ingresso nel mercato del lavoro si sono spesso rivelate inadempienti e inefficaci.
Nel 2013 l’Italia ha registrato il più basso numero di nascite dai tempi dell’unificazione del paese. Colpa anche della crisi e del generale clima di sfiducia. In attesa di cambiamenti più strutturali e incisivi, il bonus di 80 euro per i neonati non va bocciato senza appello. Misura da valutare.
I giovani italiani restano a casa dei genitori più a lungo dei propri coetanei stranieri. In molti mettono in evidenza le spiegazioni antropologiche di questo fenomeno, dando la colpa ai figli “bamboccioni” o ai genitori “iper-protettivi”, ma non si tratta solo di un problema culturale. Pesano le carenze del nostro welfare, incapace di sostenere i giovani in un momento di forte incertezza. E numerose indagini mostrano che sono sempre più i giovani che auspicano di essere autonomi, ma che hanno problemi a trovare un lavoro o una casa.
Le grandi democrazie sono nate in unepoca in cui il peso elettorale delle giovani generazioni era consistente e crescente. Ora invece è sempre più preponderante la presenza di popolazione anziana, tendenzialmente più interessata alle condizioni immediate che a investire sul futuro. Tanto più in Italia. Per riequilibrare la situazione si può pensare di attribuire a ogni elettore un voto il cui peso dipenda dall’aspettativa di vita, così come è avvenuto per la riforma delle pensioni. Il sistema responsabilizza elettori e candidati di tutte le età.
I paesi in cui si dà più spazio e importanza all’innovazione sono anche quelli in cui i giovani hanno maggiori incentivi a essere autonomi, pienamente attivi e protagonisti nel mercato del lavoro. E sono anche i paesi che crescono di più. L’Italia non è tra questi. Non stupiamoci allora se più di quattro giovani italiani su dieci sono pronti ad andarsene all’estero alla prima occasione.
L’invito all’umiltà recentemente rivolto ai giovani italiani dal ministro Meloni è ingiusto e ingeneroso, ma anche sbagliato. Perché il limite maggiore del nostro sistema paese è proprio l’incapacità di valorizzare al meglio il capitale umano delle nuove generazioni. Inoltre siamo uno dei paesi che meno riducono gli svantaggi di partenza. E dove, di conseguenza, sul destino dei singoli pesano di più le risorse della famiglia di origine, indipendentemente dalle effettive capacità e potenzialità di ciascuno. Non è certo così che possiamo ottenere un’Italia migliore.