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Autore: Andrea Boitani Pagina 15 di 16

Boitanijpg Si è laureato alla Sapienza di Roma e ha proseguito gli studi nel Regno Unito (M.Phil. Cambridge). Attualmente insegna Macroeconomia ed Economia Monetaria all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative. Ha fatto parte della Commissione tecnica per la spesa pubblica presso il Ministero dell’Economia (1993-2003) e delle commissioni incaricate del Piano generale dei trasporti (1998-2001), del Piano della Logistica (2004-2006 e 2010-2012). È stato consigliere economico del Ministro dei trasporti (1995-1996), componente del Consiglio di Sorveglianza e del Comitato remunerazioni di Banca Popolare di Milano (2013-2016) ed è stato “esperto” della Struttura Tecnica di Missione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (2016-2018). Fa parte del Consiglio di Amministrazione de “la Verdi”, Fondazione orchestra e coro sinfonico. Autore di “Macroeconomia” (Il Mulino, 3° ed. 2019); “Sette luoghi comuni sull’economia” (Laterza, 2017); “L’economia in tasca” (Laterza, 2017); “Scusi Prof, cos’è il populismo” (con Rony Hamaui, Vita e Pensiero, 2019) e di varie pubblicazioni nazionali e internazionali in tema di economia della regolazione e dei trasporti, di macroeconomia e di economia applicata al settore bancario. Collaboratore di Repubblica – Affari & Finanza e de Il Sole 24 Ore. È stato membro del consiglio di amministrazione di Atlantia. Redattore de lavoce.info.

Un’autostrada che porta in Spagna

La risposta del mondo politico alla fusione Autostrade-Abertis potrebbe segnare un nuovo indirizzo in termini di politica industriale. Ma per coloro che hanno a cuore gli interessi pubblici, non serve agitare lo spauracchio dello straniero o affliggersi con l’inevitabile debolezza del regolatore. Sarebbe meglio riflettere sugli errori commessi in passato e rimboccarsi le maniche per mettere in moto una buona riforma della regolazione di settore, indipendentemente dal fatto che gli operatori siano italiani o multinazionali.

La via bolognese all’aumento del traffico

Bologna sperimenterà un ticket di ingresso nella zona a traffico limitato del centro storico per i non residenti. Ma la proposta è poco convincente e corre il rischio di screditare la già scarsa “reputazione” delle politiche di road pricing. Come dimostra l’esempio londinese, per avere successo queste misure devono essere semplici e chiare, con specifici obiettivi e poche eccezioni. Tutte qualità che sembrano mancare alla soluzione bolognese. Più efficace ed equo appare invece il sistema dei crediti di mobilità studiato a Genova.

Programmi a confronto su trasporti e infrastrutture

La Cdl dedica attenzione esclusivamente alle infrastrutture. Previsto un piano decennale straordinario per il superamento della questione meridionale. Nessun numero viene citato. Né si parla dei servizi di trasporto e tanto meno dell’Alitalia. L’Unione promette di rendere obbligatoria la valutazione di impatto ambientale e l’analisi costi-benefici per ogni intervento. Preannuncia l’istituzione di un’Autorità dei trasporti, ma con compiti molto limitati. Silenzio assoluto su qualsiasi liberalizzazione nei vari comparti. Con un’eccezione per i taxi.

L’insostenibile inefficienza delle tariffe

L’attuale sistema delle tariffe autostradali, difeso con tanta passione da Gian Maria Gros Pietro, risponde a qualche criterio di efficienza allocativa o potrebbe essere utilmente riformato al fine di migliorare il sistema dei trasporti italiani nel suo complesso? Due sono i principali aspetti problematici: l’assenza di una qualsivoglia relazione tra l’attuale sistema tariffario e la politica dei trasporti e la dubbia efficienza di un sistema di tariffe che riguarda solamente una parte della rete stradale, sebbene la più qualificata.

Il doppio ruolo dei pedaggi autostradali

Le autostrade rappresentano oggi il sistema più strategico del paese per la mobilità di lunga distanza, ma non solo per quella. (1) Viceversa, l’attuale assetto tariffario è esclusivamente dominato dall’esigenza di remunerazione dei gestori e di finanziamento degli investimenti. Problemi di ripartizione modale, o di tipo ambientale, o di ottimizzazione complessiva dell’uso della rete non sono nemmeno considerati.
Eppure, il tuttora vigente Piano generale dei trasporti e della logistica, seguendo le linee indicate dalla Commissione europea, prevedeva esplicitamente che il principale compito delle tariffe autostradali dovesse essere quello di promuovere l’efficiente allocazione del traffico, cioè di ridurre la congestione e accrescere la sicurezza, separando il più possibile il traffico pesante da quello delle auto, ma anche di accrescere la sostenibilità ambientale del sistema di trasporto. (2)
Nel Pgtl si manifestava scetticismo circa la concreta possibilità di procedere a un’ottimizzazione generalizzata del sistema delle tariffe. Si riteneva, invece, possibile procedere in modo graduale per muovere il sistema nella direzione auspicata.
A tale fine si suggeriva di “separare” il livello e la dinamica delle tariffe percepite dai gestori, che hanno il compito di garantire l’equilibrio finanziario degli stessi (compreso di un ragionevole rendimento sugli asset impiegati), dal livello e dalla dinamica dei pedaggi pagati dall’utenza.
Per definire gli introiti percepiti dai gestori, su cui poi applicare il price cap, il traffico previsto dai concessionari doveva essere perciò reso certo, trasformandolo in “traffico virtuale“, sulla base del quale calcolare i corrispettivi di cui i concessionari debbano godere. In questo modo, i gestori verrebbero isolati dal rischio determinato dalle scelte allocative della pubblica autorità, mentre il rischio di impresa sarebbe dovuto permanere pieno sui parametri di efficienza produttiva e qualitativa propri del price cap.
Tra l’altro, al di là delle scelte allocative, il traffico autostradale non dipende certo dall’efficienza del concessionario, ma dall’andamento dell’economia, dal prezzo della benzina, dalle alternative stradali o di altri modi di trasporto e così via: tutte variabili al di fuori del controllo del concessionario. (3) Che i concessionari si siano a lungo opposti al metodo proposto nel Pgtl e abbiano voluto mantenere su di sé un rischio sostanzialmente fuori dal loro controllo può essere legittimamente interpretato come un forte indizio che l’attuale impianto regolatorio offre abbondanti garanzie sui ricavi.

Una tariffazione generalizzata

Il secondo problema è quello dell’inefficienza intrinseca di imporre tariffe solo su parte della rete stradale, quando esistono estesi collegamenti con caratteristiche molto simili (svincoli, numero di corsie, eccetera). Anche in questo caso, le raccomandazioni europee (e il buon senso) non lasciano dubbi: occorre muoversi verso “tariffe efficienti” per l’intera mobilità su gomma. La tecnologia è già sperimentata: si tratta di sistemi satellitari che azionano “tassametri di bordo” in tempo reale, e inducono gli utenti a scelte “razionali” (almeno in relazione alla situazione presente) di orari e percorsi su tutte la rete. Occorre cioè che le tariffe rispecchino la politica complessiva dei trasporti. Ma anche la più semplice tecnologia delle “targhe elettroniche”, cioè di trasponder resi obbligatori (il costo di tali dispositivi e dei relativi “lettori” è oggi irrisorio) può estendere gradatamente il sistema di pedaggi all’intera rete stradale.
In questa direzione si muove con decisione il “Patto per la logistica“, sottoscritto l’11 luglio 2005 anche dall’associazione dei gestori autostradali (Aiscat), oltre che da Anas e da Confindustria (di cui fa parte Federtrasporto, presieduta da Gros Pietro). Tra gli interventi prioritari per l’autotrasporto, il Patto prevede proprio l’avvio di un road pricing “da estendere a interi corridoi e alle aree dei grandi centri urbani, con una differenziazione in base alla qualità delle infrastrutture” e “uno schema di pedaggi articolato in modo tale da separare il traffico passeggeri da quello merci e quindi da incoraggiare il traffico pesante nelle ore notturne”.

Un’occasione da non perdere

Dunque, l’unico vero documento di politica dei trasporti messo a punto nel corso della legislatura che sta per finire si riallaccia, sulla questione delle tariffe (auto)stradali, al Piano messo a punto nella legislatura precedente, esprimendo una continuità di indirizzi che supera la diversità delle maggioranze politiche. C’è da augurarsi che tale continuità prosegua nella prossima legislatura e che si passi finalmente dai buoni propositi all’attuazione delle misure necessarie. Certo, molto dipenderà dall’atteggiamento più o meno collaborativo dei concessionari autostradali, tra i quali va assumendo forza il nuovo capitalismo delle province, attirato dai copiosi cash flow garantiti dall’attuale meccanismo di regolazione delle tariffe. Così come dipenderà dal se e dal come verranno concretamente attuate le disposizioni della Legge finanziaria 2005 in materia di nuove strade a pedaggio e dal se e dal come verranno attuate le disposizioni della legge 203 del 2 dicembre 2005 (articolo 6 ter) in materia di subconcessioni da parte dell’Anas di tratte stradali e autostradali. Se questo complesso insieme di disposizioni non verrà semplicemente lasciato cadere o non verrà utilizzato soltanto come strumento per aggirare i vincoli europei in materia di finanza pubblica, o per costituire una nuova concessionaria pubblica da collocare sul mercato in un prossimo futuro, potrebbe presentarsi l’occasione di un cambiamento significativo e nella giusta direzione del sistema di tariffazione della rete stradale e autostradale. Sarebbe bene non perderla.

(1) Secondo alcune stime, il 78 per cento del traffico pesante sulla rete gestita da Aspi ha origine e destinazione nella stessa Regione.

(2) Si vedano, in particolare, il libro bianco Fair Payment for Infrastructure Use del 1998, e il libro verde Towards Fair and Efficient Pricing in Transport del 1996.

(3) In aggregato, il traffico autostradale cresce grosso modo a un tasso pari a quello di crescita del Pil, moltiplicato per 1,5.

Sulla Torino-Lione una pausa di riflessione produttiva

La sospensione dei lavori permette una riflessione seria sul progetto di linea ferroviaria Torino-Lione. Si potrebbe rimodularlo in funzione della sola domanda merci e della sua realizzazione graduale nel tempo. Rinunciando all’alta velocità, i costi sarebbero molto ridotti, così come i rischi di una domanda insufficiente. In ogni caso, l’esame deve essere pubblico, condiviso nella metodologia e affidato a soggetti indipendenti. E considerato nell’ambito dell’insieme degli altri grandi progetti infrastrutturali inseriti nelle reti europee.

Autostrade, galline dalle uova d’oro e polli da spennare

Perché alcune infrastrutture, e le autostrade in particolare, sono così redditizie da scatenare
“guerre commerciali” tra soggetti pubblici e privati e conflitti tra amministrazioni locali? Si tratta spesso di rendite di monopolio, generate dalle tariffe consentite da un regolatore debole, e quindi facilmente “catturabile”. Sostanzialmente, una tassa impropria, che potrebbe rivelarsi efficiente se fosse tarata per il controllo della congestione. Quanto alla Serravalle, un privato ha lucrato enormi plusvalenze da un monopolio mal regolato.

Ad alta velocità verso l’immobilismo

Sono in molti a considerare la Torino-Lione strategica per il futuro dell’Italia. Ma come può definirsi tale un’opera i cui costi superano largamente i benefici, pur stimati molto generosamente? Altre infrastrutture sarebbero più urgenti. Per esempio, il quadruplicamento dell’asse ferroviario del Brennero ha costi minori. E già oggi la domanda per merci e passeggeri sulla tratta Verona-Monaco è assai elevata e con un alto tasso di crescita. Ma con risorse pubbliche molto limitate, la dispersione dei finanziamenti rallenta tutte le realizzazioni, utili e inutili.

La concorrenza è un’opzione. Per il futuro

L’Europa sembra aver perso la funzione propulsiva che ha avuto in passato nella liberalizzazione del settore dei trasporti. Una proposta di regolamento sancisce la sostanziale rinuncia all’obbligo delle gare per l’assegnazione di contratti di servizio pubblico, richiamandosi a principi di flessibilità e sussidiarietà. E in Italia? Il Governo ha di recente varato un decreto legislativo sulla liberalizzazione delle autolinee interregionali di competenza statale. Prevede che le vecchie concessionarie mantengano il diritto di esclusiva fino al 31 dicembre 2010.

Il metrò a Parma: un piccolo ponte sullo Stretto?

A Parma saranno costruite due linee della metropolitana. Le previsioni di traffico indicano che i passeggeri saranno circa un quinto di quelli stimati necessari per sostenere economicamente un progetto. Anche la riduzione attesa del traffico privato su gomma e delle emissioni inquinanti è molto bassa. Forse, altri interventi sarebbero più efficaci in una città di quelle dimensioni. Ma lo Stato finanzia opere infrastrutturali “strategiche”, non un programma di spesa per la mobilità sostenibile. E tutti si affannano a presentare progetti anche se di dubbia utilità.

Per la liberalizzazione del trasporto locale

Gli eccessivi costi di gestione e le basse tariffe del trasporto pubblico locale su gomma sottraggono risorse pubbliche che potrebbero essere destinate alla mobilità sostenibile. Tuttavia, può ora ripartire il processo di liberalizzazione fondato sulla concorrenza, avviato dalla riforma della scorsa legislatura. Fondi nazionali accessibili solo a Regioni e comuni che passano dal monopolio pubblico locale a un sistema di mercato basato sulle gare potrebbero vincere le resistenze politiche e corporative. E dotare il settore dei necessari ammortizzatori sociali.

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