L’Enac pubblica un poderoso studio in vista dell’elaborazione di un Piano nazionale aeroporti. Il primo problema è che si prende come base per le previsioni di traffico il 2008, quando ancora le ripercussioni della crisi non si erano fatte sentire. Così come lascia dubbi la classificazione dei diversi aeroporti italiani, dove ritorna l’idea di fare di Malpensa un “hub multivettore”. Ma l’interrogativo principale è sulla scelta di redigere un Piano nazionale. Non sarebbe meglio lasciare che ciascuna Regione decida su quali scali puntare, considerate le risorse a disposizione?
Autore: Andrea Boitani Pagina 7 di 16
Si è laureato alla Sapienza di Roma e ha proseguito gli studi nel Regno Unito (M.Phil. Cambridge). Attualmente insegna Macroeconomia ed Economia Monetaria all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative. Ha fatto parte della Commissione tecnica per la spesa pubblica presso il Ministero dell’Economia (1993-2003) e delle commissioni incaricate del Piano generale dei trasporti (1998-2001), del Piano della Logistica (2004-2006 e 2010-2012). È stato consigliere economico del Ministro dei trasporti (1995-1996), componente del Consiglio di Sorveglianza e del Comitato remunerazioni di Banca Popolare di Milano (2013-2016) ed è stato “esperto” della Struttura Tecnica di Missione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (2016-2018). Fa parte del Consiglio di Amministrazione de “la Verdi”, Fondazione orchestra e coro sinfonico. Autore di “Macroeconomia” (Il Mulino, 3° ed. 2019); “Sette luoghi comuni sull’economia” (Laterza, 2017); “L’economia in tasca” (Laterza, 2017); “Scusi Prof, cos’è il populismo” (con Rony Hamaui, Vita e Pensiero, 2019) e di varie pubblicazioni nazionali e internazionali in tema di economia della regolazione e dei trasporti, di macroeconomia e di economia applicata al settore bancario. Collaboratore di Repubblica – Affari & Finanza e de Il Sole 24 Ore. È stato membro del consiglio di amministrazione di Atlantia. Redattore de lavoce.info.
Sospesa da una discussa ordinanza del Consiglio di Stato, torna la congestion charge milanese. Intanto, i dati mostrano chiaramente che Area C è stata un successo. Ha ridotto gli ingressi in città del 34 per cento. La minor congestione ha contribuito al calo delle emissioni di tutti i principali inquinanti locali. La velocità dei mezzi pubblici di superficie è aumentata del 6 per cento e gli incidenti sono scesi del 28 per cento. Paradossalmente, proprio la sospensione estiva ha fatto piazza pulita della tesi che la riduzione del traffico fosse dovuta alla crisi economica.
Nel suo ultimo libro, Paul Krugman spiega perché né gli Stati Uniti né l’Europa sono riusciti a uscire dalla crisi, con costi umani e sociali troppo alti. È tempo di governare i problemi in un quadro istituzionale e politico internazionale cooperativo, per far sì che alle carenze di domanda privata sopperisca la spesa pubblica. Uno strumento che i Piigs europei, per esempio, non possono utilizzare unilateralmente. E dunque la ricetta per l’Europa dell’euroscettico premio Nobel muove da un elemento comune alle tesi di chi chiede più integrazione nell’Unione: la Bce deve garantire la stabilità finanziaria, com’è dovere di una banca centrale.
Rigore e riforme strutturali sono certo indispensabili, ma danno risultati di lungo periodo. Nel breve, la politica per la crescita è il contrasto della recessione tramite stimolo della domanda, come sanno bene negli Stati Uniti. E nessuna politica anti-recessiva può essere fatta in un solo paese europeo, tanto che si inizia a parlare di un “growth compact”. Una boccata d’ossigeno per l’economia italiana può arrivare dal pagamento di una parte dei debiti dello Stato verso le imprese, con un intervento una tantum che non violerebbe gli impegni con l’Europa sui conti pubblici del 2012.
In queste ultime settimane la questione della Tav Torino-Lione è andata di nuovo fuori binario. È tornata a essere luogo privilegiato di contrapposizioni ideologiche, di violenze fisiche e verbali, di atti sconsiderati e inaccettabili, di mezze verità e, soprattutto, di parole in libertà.
Noi abbiamo sempre cercato di riportare la discussione sui numeri: dalle previsioni di traffico (in genere ottimisticamente esagerate dai pro-Tav) allimpatto ambientale (in genere pessimisticamente esagerato dai no-Tav). Soprattutto, abbiamo insistentemente richiamato lattenzione sullesigenza di valutare i costi sociali e i benefici sociali (vedi la scheda “Analisi costi-benefici: ecco di cosa si parla“) complessivi di questo progetto e di confrontare i risultati con quelli relativi ad altri progetti, data la cronica scarsità delle risorse pubbliche. Siamo perfettamente coscienti che i nostri richiami alla razionalità della decisione possano essere stati strumentalizzati da chi a questopera si oppone senza se e senza ma e, soprattutto, senza troppo ragionare.
Recentemente abbiamo mostrato come le successive revisioni del progetto (detta fasizzazione) abbiano consentito di ridurne consistentemente i costi e solo marginalmente i benefici (vedi l’articolo “La Torino-Lione si fa low cost: perché solo ora?“). Così, se i conti sembrano indicare che i costi siano ancora superiori ai benefici, la differenza si è molto ridotta; tanto che ora è probabilmente inferiore a quella che si otterrebbe per altri progetti ferroviari (tipo Terzo valico o Napoli-Bari) che pure non suscitano tutta lopposizione che suscita la Torino-Lione. Viene da chiedersi perché sia così scarsa lattenzione su questi fatti e perché poco ci si interroghi su cosa abbia spinto a discutere per anni intorno a un progetto faraonico, mentre unalternativa più economica (anche se non proprio low cost) era a portata di mano. Viene anche da chiedersi cosa spinga il movimento no-Tav a credere che compiendo reiterati atti illegali – compreso il blocco di strade e autostrade che colpisce il diritto di tutti alla mobilità – si possa ottenere qualcosa di diverso dal convincere tutti gli italiani che sono solo degli estremisti senza ragioni, che odiano qualsiasi grande opera pubblica a prescindere.
Senza per forza dar credito a identità propagandistiche (tipo: Tav = Modernità, oppure Tav = rimanere attaccati allEuropa) o ad affermazioni molto dubbie (tanto i soldi ce li mette lEuropa), sarebbe il caso di accantonare il confronto di piazza, ragionare seriamente e in tempi brevi su quali ulteriori fasizzazioni potrebbero contribuire a ridurre ulteriormente i costi e poi lasciar finalmente partire i lavori per la realizzazione di unopera su cui ben sette governi diversi hanno messo (a torto o a ragione) la faccia. Semmai si dovrebbero concentrare gli sforzi a controllare che i lavori finiscano nei tempi previsti e senza lievitazione dei costi rispetto alle previsioni. Allo stesso tempo, bisognerebbe pretendere che anche per altre opere si arrivi a un ragionevole down-sizing dei progetti e che questi (e non quelli grandiosi) vengano sottoposti subito al confronto con gli interessi locali, per poi passare il vaglio di unaccurata valutazione dei costi e dei benefici effettuata da qualche serio e indipendente organismo internazionale.
Una serie di veti incrociati dei partiti nella X Commissione del Senato sembra stia riducendo la portata delle liberalizzazioni previste nel decreto cresci Italia del 24 gennaio scorso. Quel provvedimento, lo avevamo scritto, andava rafforzato per essere davvero incisivo nello stimolare la crescita. Invece, viene sistematicamente diluito. I partiti pretendono che sui taxi si rimettano le decisioni sulle licenze e sulle tariffe nelle mani dei sindaci, da sempre straordinariamente attenti alle richieste e, talvolta, ai ricatti dei tassisti e poco alle esigenze di chi il tassista vorrebbe fare e dei cittadini che un taxi vorrebbero prendere. Alla costituenda Autorità dei trasporti verrebbe lasciato il compito di esprimere un parere in materia: si dovrebbe trattare di un parere obbligatorio e quindi i sindaci dovrebbero motivare adeguatamente le loro eventuali decisioni difformi, ma si sa che la politica locale tende ad avere un senso della vergogna piuttosto basso. Lassalto lobbistico sta anche rimettendo in discussione la possibilità di aprire nuove farmacie e la liberalizzazione dei farmaci di fascia C. Sta anche cercando di diluire nel tempo (fino forse a perderla in un indeterminato futuro) la separazione tra Snam (rete gas) ed Eni, e di azzerare quel pochissimo che il decreto conteneva sulle banche. E quando si parla del settore dellenergia e di quello del credito nessuno può dire che si tratti di noccioline!
Al di là dellimportanza dei pezzi persi dal provvedimento nel suo passaggio parlamentare, rimane il segnale politico. Il presidente del consiglio aveva invitato i partiti a non stravolgere limpianto del decreto. Oggi proprio questo sta avvenendo. Inoltre ad avere un impatto significativo non sono tanto le singole misure, sui taxi o sulle farmacie, ma linsieme dei provvedimenti. Se linsieme si assottiglia, il rischio è che il risultato finale sia molto rumore per nulla. Ci sono tanti veti incrociati anche nella trattativa sul mercato del lavoro. Al punto che, cercando misure condivise da tutti, delle tante riforme messe sul piatto non sembra rimanere proprio nulla. Come pensa il governo di andare avanti senza il consenso dei partiti e delle parti sociali nella cruciale (ma ancora poco delineata) riforma del mercato del lavoro quando appare disponibile a cedere ai veti incrociati di lobbies ristrette ma ben rappresentate in Parlamento?
Le liberalizzazioni nel settore dei trasporti sono ancora un cantiere aperto: il governo vi si sta applicando con crescente intensità. Dopo l’articolo 37 del decreto salva-Italia, adesso è il turno dell’articolo 36 e di vari punti degli articoli 26 e 27 dedicati ai servizi pubblici locali. I servizi ferroviari regionali tornano tra quelli assegnati tramite procedure di gara. E si inverte una tendenza anti-concorrenziale più volte denunciata dall’Antitrust. Sempre più centrale appare il ruolo della nuova Autorità dei trasporti. A questo punto va istituita in fretta.
La politica del governo Monti nei trasporti non ha assunto ancora una fisionomia definita. L’aumento delle accise sulla benzina e sul gasolio appare un intervento di sicuro impatto inflazionistico. E non certo equo. Si dà molta importanza alle liberalizzazioni, come fattore di crescita, di efficienza e di risparmio di risorse pubbliche. Bene la scelta di affidare la regolazione del settore a un’Autorità indipendente. Ma mancano indicazioni su questioni cruciali. Dubbi anche sull’opportunità di affidare le competenze sui trasporti a un’Autorità già in attività.
Non è con l’accordo raggiunto faticosamente l’8 dicembre che l’Unione Europea raggiungerà una vera unione fiscale. Perché il presupposto per imporre una rigida disciplina fiscale ai singoli Stati è l’esistenza e la consistenza di un bilancio federale. E solo un forte potere federale, dotato di legittimità democratica, può imporre sanzioni severe agli indisciplinati. Se l’Europa si dotasse di un bilancio federale sarebbe anche più ovvio emettere Eurobond e non sarebbero più necessari complessi fondi salva Stati. La miopia politica non aiuterà a calmare l’ira dei mercati.
Fs va alle grandi manovre per non doversi cimentare con la concorrenza. Nei decreti economici d’estate è comparso un comma che obbliga le imprese concorrenti a rispettare il generoso contratto nazionale dei ferrovieri. Non appena si parla di autorità di regolazione per il settore, si invoca la necessità che sia europea, per rimandarla a un futuro lontano. Senza dimenticare il ruolo di Grandi Stazioni nella gestione dei servizi in stazione con possibili trattamenti discriminatori verso i nuovi entranti. O quello delle società miste Trenitalia-Regioni nella gestione delle ferrovie regionali.