La transizione verde oggi non riguarda più solo il cambiamento climatico, ma offre importanti opportunità economiche. Per questo va legata a una politica industriale adeguata. A frenare quella europea sono intervenute incertezze e tensioni geopolitiche.
Autore: Augusto Ninni
Già professore ordinario di Economia Applicata presso l’Università di Parma, in precedenza associato di Politica Economica presso la Bocconi e l’Università di Urbino. Ha insegnato anche presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano e la LIUC di Castellanza; all’estero, a Toulouse e ad Hanoi. È tra i co-fondatori della Siepi (Società Italiana di Economia e Politica Industriale) e per molti anni è stato membro del Consiglio di Amministrazione dell’Associazione Italiana degli Economisti dell’Energia (Aiee). È stato Direttore di Ricerca per circa 30 anni dell’Istituto di Economia delle Fonti di Energia (Iefe) della Bocconi nonché, in anni più recenti, Direttore del Leigia (Laboratorio sull’Economia delle Imprese di Germania, Italia e Austria) dell’Università di Parma. Ora è membro dell’Osservatorio sulle Economie Emergenti di Torino (Oeet). Si occupa soprattutto di economia e politica dell’energia e del cambiamento climatico, nonché di economia e politica industriale.
L’Europa si dota di una politica che al percorso di transizione energetica unisca obiettivi di difesa della competitività e di sicurezza dell’offerta. Punta a evitare la dipendenza da un solo paese per le forniture. E segna un riavvicinamento agli Usa.
Pandemia, inflazione e guerra in Ucraina hanno reso più difficile il processo europeo di transizione energetica. In più, per il solare c’è da fare i conti con il ruolo predominante della Cina nella produzione di componenti e con la concorrenza degli Usa.