Aumenta la dipendenza della Germania dalle importazioni cinesi, non solo nel settore dei macchinari, ma anche nella chimica. Si tratta di un fenomeno transitorio, legato alla situazione economica e geopolitica dell’Europa, o di un cambiamento strutturale?
Autore: Carlo Altomonte Pagina 1 di 3
Carlo Altomonte è Professore di Economia dell’Integrazione Europea presso l’Università “L. Bocconi” di Milano e Docente Senior di Macroeconomia e di International Business Environment presso la SDA Bocconi School of Management. Visiting Professor in diverse università internazionali, è Non-resident Fellow del think-tank europeo Brugel (Bruxelles), Senior Research Fellow dell'ISPI (Milano), Research Fellow del Centro Dagliano (Università degli Studi di Milano). Consulente sui temi del commercio e degli investimenti internazionali per diverse istituzioni pubbliche tra cui la Banca Centrale Europea, la Commissione Europea, il Parlamento Europeo, la Division of Investment and Enterprise dell’UNCTAD (Nazioni Unite) ed il Ministero dello Sviluppo Economico italiano. Attualmente è consigliere scientifico del Centro Studi di Assolombarda, e membro del Comitato di Esperti di politica economica della Presidenza del Consiglio. È autore di diverse pubblicazioni scientifiche internazionali sui temi del commercio e degli investimenti internazionali e della competitività dei sistemi economici.
Nel suo lungo cancellierato, Merkel ha preso decisioni importanti, che hanno segnato il corso dell’integrazione europea. Progressivamente si sono spostate verso l’interesse dell’Unione. Il risultato di una evoluzione dell’intero sistema politico tedesco?
Tra pochi giorni entreranno in vigore i dazi compensativi degli Stati Uniti sull’importazione di prodotti europei. Non è la soluzione ideale. Però dimostra che il sistema di regole multilaterali per la correttezza del commercio internazionale funziona.
Ceta con il Canada e Jefta con il Giappone rappresentano un modello di gestione dei rapporti tra stati basato su regole moderne. Avvantaggiano l’Europa e l’Italia. E sono un’alternativa alla politica di potenza, utile solo a Stati Uniti, Cina e Russia.
Nella battaglia dei dazi con la Cina, gli Stati Uniti cercano di ottenere il massimo prima di arrivare a un accordo. Ma il rischio è che a farne le spese sia il sistema di regole del commercio internazionale, insieme alla crescita economica globale.
Oggi è difficile essere ottimisti su una risoluzione consensuale della controversia commerciale tra Usa e Cina. Ma se le sanzioni minacciate diventassero realtà, il gioco si farebbe davvero pericoloso, per i due paesi e per gli scambi internazionali.
L’amministrazione americana ha deciso l’imposizione di tariffe sulle importazioni di acciaio e alluminio dal resto del mondo. Per farlo ha invocato la sicurezza nazionale. Ma dietro questo concetto si intravede una politica commerciale aggressiva.
Nella vicenda delle importazioni in Ue di carne contenente ormoni e dei conseguenti dazi compensativi imposti dagli Usa, i torti e le ragioni non sono così definiti come appaiono a prima vista. E anche le conseguenze non sono facili da calcolare.