L’Abi sostiene che le banche italiane non possono supportare pienamente l’economia reale perché non riescono a ottenere risorse sufficienti attraverso depositi e obbligazioni. Se così fosse, basterebbe aumentare i rendimenti offerti sulla raccolta bancaria. Ma il vero problema non è il risparmio.
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Economista, data scientist, consulente indipendente su tematiche finanziarie e macroeconomiche. Collabora con primari istituti di ricerca economica italiani. E’ inoltre docente a contratto presso l’Università degli Studi Roma Tre e redattore del sito di informazione finanziaria del Dipartimento di Matematica del Politecnico di Milano, www.finriskalert.it. Svolge prevalentemente la sua attività di ricerca nel campo del banking, ambito nel quale ha pubblicato diversi studi su riviste nazionali e internazionali. E’ autore del libro “Alle radici della crisi finanziaria. Origini, effetti e risposte” (Egea Editore).
La Banca d’Italia ha di recente imposto politiche di accantonamento più severe. Ciò deprimerà ulteriormente la già asfittica redditività bancaria. Ma renderà anche più solide le banche italiane, facilitandone l’accesso ai mercati finanziari. Dopo la crisi, cresce infatti l’avversione al rischio.
Dal 2009 l’incidenza delle sofferenze bancarie, più o meno gravi, è continuamente aumentata. E le banche hanno reagito riducendo l’erogazione di finanziamenti. Come uscirne? Da valutare con cautela l’idea di una bad bank, sull’esempio spagnolo. Andrebbe ripreso il discorso sulle cartolarizzazioni.
In Spagna è stata costituita una società apposita per raccogliere i crediti in stato di insolvenza delle banche che hanno ricevuto sussidi pubblici. L’esperienza potrebbe essere molto utile anche da noi, per rompere il circolo vizioso che lega sofferenze e politiche sui nuovi finanziamenti.
La depressione del mercato immobiliare italiano non sembra essersi ancora arrestata. Influiscono la flessione del reddito delle famiglie e l’aumento della disoccupazione. Ma anche le condizioni del mercato del credito: sempre più compravendite si concludono senza la stipula di un mutuo.
Dopo lo scoppio della crisi dei subprime, le autorità di regolamentazione finanziaria si sono concentrate sul tema della liquidità delle banche. Anche il Comitato di Basilea ha cercato di imporre un approccio prudenziale nella scelta delle attività possedute. Ma difficoltà e rischi non mancano.
Con il permanere della crisi aumentano le sofferenze bancarie. Non tutte dichiarate nei bilanci dagli istituti maggiori, che temono di dover ricorrere a indesiderate ricapitalizzazioni. Ma tutto ciò ha conseguenze sull’erogazione di credito all’economia reale.
La stretta creditizia continua a serrare il suo morso sulle imprese italiane. Le evidenze sull’andamento del credito erogato alle società non finanziarie, nel contesto europeo, disegnano un quadro particolarmente negativo per l’Italia.
Il dibattito sulle strategie industriali intraprese dalla Fiat negli ultimi tempi è stato ed è molto intenso. Ci si concentra, in particolare, sulla scelta di limitare l’immissione sul mercato di nuovi modelli di automobili.
Restano i dubbi sulla salute dei grandi gruppi bancari
Di Carlo Milani
il 27/12/2012
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Riuscire a determinare se i bilanci di una banca, soprattutto quando dispone di asset che si avvicinano o superano, in dimensione, il Pil del paese in cui opera, siano completamente trasparenti, è estremamente difficile. Di norma, solo il management della banca è in grado di stabilire quanti prestiti, o più in generale quante attività, sono di cattiva qualità. Ciò costituisce un tipico esempio di asimmetria informativa, per cui né gli analisti di mercato né le autorità di vigilanza sono in grado di avere un quadro preciso della situazione dei conti. La situazione si inasprisce ulteriormente in contesti di turbolenza finanziaria ed economica, come quelli che stiamo vivendo in questi anni.
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