Insieme ai maltesi, i giovani italiani quelli che restano più a lungo nella famiglia di origine. Le ricerche comparative lo spiegano con l’interagire di più cause, economiche e culturali. Ma un modello sociale che si affida esclusivamente alla solidarietà familiare nella fase di ingresso nella vita adulta può avere effetti perversi: dalla cristallizzazione della riproduzione intergenerazionale della disuguaglianza ai rapporti di coppia “sbilanciati”, con uomini che divengono autonomi sempre più tardi e donne che hanno aspettative di parità e reciprocità. Alessandro Rosina commenta l’intervento; la controreplica dell’autore.
Autore: Chiara Saraceno Pagina 6 di 7
Già docente di sociologia della famiglia presso l'università di Torino e successivamente professoressa di ricerca presso il Wissenshaftszentrum Berlin fuer Sozialforschung, attualmente è emerita presso quest'ultimo e honorary fellow al Collegio Carlo Alberto di Torino. Si occupa di famiglia, politiche sociali, povertà, diritti dell'infanzia e adolescenza. È co-coordinatrice dell'Alleanza per l'infanzia.
La diminuzione dell’offerta di lavoro e della disoccupazione evidenziata dai dati sulle tendenze del mercato del lavoro è pressoché tutta dovuta al calo del tasso di attività, in particolare delle donne e in particolare nel Mezzogiorno. Continua così a indebolirsi il fattore che dal 1998 aveva maggiormente contribuito all’innalzamento del tasso di occupazione. In generale, aumenta di poco e con differenze territoriali l’occupazione maschile a tempo pieno e indeterminato. L’occupazione femminile, là dove non diminuisce, rimane più facilmente in contratti temporanei o a tempo parziale.
La riforma fiscale rafforza la tendenza a utilizzare la via fiscale come strumento principale di politica della famiglia e di sostegno ai redditi più modesti, mostrando tutti i limiti di questa scelta. E tra nuova Ire e Finanziaria, niente si dice della riforma degli ammortizzatori sociali, che avrebbe dovuto accompagnare la legge Biagi. Né del Rui, reddito di ultima istanza. L’Italia rimane così, con la Grecia, l’unico paese dell’Europa a quindici a non avere una misura di garanzia del reddito per i poveri, tra i quali ci sono anche molti minori.
La manovra correttiva appena approvata cancella la riduzione del 50 per cento dellaliquota fiscale finora prevista per le fondazioni bancarie perché enti non a fini di lucro. I benefici per il bilancio dello Stato saranno relativamente modesti e soggetti a un probabile contenzioso. Possono essere consistenti invece gli effetti sulle risorse disponibili per servizi e interventi vari garantiti dal settore privato non profit. Non sarebbe meglio incentivare, anziché comprimere, il ruolo delle fondazioni nel traballante welfare mix italiano?
Al di là dei dati, che pure sembrano segnalare un abbassamento del tenore di vita medio, condizione oggettiva e percezione soggettiva di povertà non sempre coincidono. Vale soprattutto per i lavoratori a reddito fisso. Per loro diminuisce il potere di acquisto degli stipendi, ma anche la speranza di un miglioramento delle condizioni di vita per sé o per i propri figli. Tanto più quando la stessa laurea non è garanzia di mobilità sociale.
La promessa di portare tutte le pensioni basse ad almeno un milione al mese rischia di rivelarsi un boomerang per migliaia di pensionati. E molti altri, pur poveri, non possono ottenere lintegrazione. Qui si mostra come lassenza di un approccio sistematico e non categoriale ai problemi della povertà crei nuove divisioni e nuove ingiustizie.
Complessivamente le famiglie povere in Lombardia sono la metà di quelle sotto la soglia più bassa in Basilicata. E anche se si registrano importanti differenze allinterno di ciascun raggruppamento di Regioni, resta evidente il dualismo economico tra Centro Nord e Mezzogiorno. In particolare, al Sud la più elevata incidenza della povertà è sistematicamente accompagnata da una maggiore intensità. Per portare tutti alla linea di povertà relativa servirebbero 6,6 miliardi. Ma la Finanziaria ha solo vaghe parole sul reddito di ultima istanza.
Offrire mille euro una tantum alla nascita del secondo bambino non è un sostegno alla maternità, ma un regalo poco equo e quasi irresponsabile. Perché i costi di mantenimento di un figlio sono alti e aumentano con letà. Perché in mancanza di servizi adeguati sono ancora molte le madri che rinunciano al lavoro. Con rischi di impoverimento della famiglia nel breve e nel lungo periodo. E perché in Italia i figli sono considerati di principio e di fatto dipendenti economicamente dai genitori molto a lungo, spesso ben oltre la maggiore età.
La Finanziaria 2004 regala mille euro per ogni figlio successivo al primo. Un intervento pro-natalità, si è detto. Ma in una situazione di risorse scarse non cè alcun bisogno di una tantum costose per il bilancio pubblico e insignificanti per le famiglie, perché non incidono sui costi che si dovranno sostenere durante la crescita del bambino. Inoltre, forti dubbi sullequità del provvedimento nascono dallesclusione dallassegno dei figli di extracomunitari regolarmente residenti e dal finanziamento attraverso il fondo di disoccupazione.
Nella Finanziaria nessun impegno di spesa per il reddito di ultima istanza, la misura che dovrebbe servire a contrastare la povertà. Si parla genericamente, e senza specificarne l’entità, di un co-finanziamento alle Regioni, lasciando a queste la decisione finale sull’introduzione o meno del sussidio. Si perpetua così una disparità tra zona e zona del paese. Troppo restrittiva la definizione dei beneficiari: molti i poveri che non potranno ricevere assistenza sotto questa forma.