Dopo venticinque anni di attesa, la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti ha visto la luce. Alla fine, il progetto di cambiamento delineato risulta debole. L’approvazione sul piano formale equivale al rinvio sul piano sostanziale.
Autore: Cristiano Gori Pagina 1 di 4
Professore ordinario di politiche sociali presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento, dove presiede il Corso di Laurea Specialistica in “Metodologia, Organizzazione e Valutazione dei Servizi Sociali” (Movass). Ha ideato e dirige il Network Non Autosufficienza (NNA), l’osservatorio www.lombardiasociale.it e la rivista www.luoghicura.it. Nel 2013 ha ideato l’Alleanza contro la povertà in Italia. Nel 2020 ha predisposto la proposta del Reddito di Emergenza insieme a Asvis e Forum DD. Nel 2021 ha ideato la proposta per introdurre la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti nel PNRR e il “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza”.
La legge delega sull’assistenza agli anziani non autosufficienti aveva come obiettivo il riordino complessivo del settore. Le misure previste nel decreto attuativo non danno vita però a un progetto per il welfare del futuro. La questione delle risorse.
L’approvazione della riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti aveva suscitato grandi speranze. La legge di bilancio rinvia l’attuazione al 2025. Rimangono così senza risposta dieci milioni di persone tra anziani, familiari e operatori.
Dopo la riforma del Reddito di cittadinanza, il diritto di ogni cittadino a una vita minimamente decente non esiste più. Per venire protetti dallo stato sarà necessario appartenere a una famiglia con un minore, un over-60 o una persona con disabilità.
Il Parlamento ha approvato la legge delega per la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Il progetto di cambiamento è condivisibile, ora si tratta di tradurlo in pratica. Decisivi i decreti delegati e le scelte sulle risorse.
Passaggio a due distinte misure, diritto ad un’esistenza dignitosa, migliore capacità di raggiungere i poveri, occupabilità come vicinanza al mercato del lavoro e percorsi d’inclusione realisticamente ambiziosi. Ecco i suggerimenti della Caritas per la riforma del Reddito di Cittadinanza.
Per individuare chi nel 2023 percepirà il reddito di cittadinanza solo per sette mesi, il governo ha scelto un criterio che non ha niente a che vedere con l’occupabilità. Semmai è una misura mal concepita per proteggere alcune famiglie.
Il Governo ha giustamente deciso di prendersi più tempo per riformare in maniera adeguata il Reddito di cittadinanza. Le modifiche che entreranno in vigore nel 2023, però, rischiano di far ripetere gli errori fatti in passato.
L’introduzione dello Sna e la riforma delle valutazioni sono passaggi positivi nel disegnare un welfare per gli anziani unitario e più semplice. Ma tradurre in pratica le nuove disposizioni sarà complesso. E resta aperta la questione delle risorse.
Nessun partito propone di cancellare gli interventi nazionali contro la povertà. Le forze politiche si dividono tra chi vuole potenziare il Reddito di cittadinanza e chi vuole sostituirlo con altri interventi. L’inclusione sociale resta in secondo piano.